I numeri dicono che sono circa 3000 le donne che ogni anno in Italia si ammalano di tumore della mammella sotto i 40 anni, nell’età in cui si programma di avere un bambino. E la scienza dice che in almeno il 20 per cento dei casi avere una gravidanza è possibile, anche nei casi più complessi, quelli in cui il tumore è legato al cosiddetto gene “Jolie”, ovvero a mutazioni a carico di BRCA 1 e 2. La buona notizie viene dallo studio Positive, pubblicato su JAMA, e presentato nell’ambito del congresso “Back from San Antonio”.
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Cosa dice la ricerca
Di oncofertilità si è discusso appunto al San Antonio Breast Cancer Symposium, appuntamento internazionale per fare il punto sulle ricerche nella patologia. ed è stato presentato un approfondimento dello studio internazionale POSITIVE.
“Si è dimostrato come l’utilizzo di tecniche di procreazione medicalmente assistita sia sicuro senza aumentare il rischio di recidiva del cancro mammario – sottolinea Matteo Lambertini, Professore Associato Convenzionato di Oncologia Medica all’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Università di Genova. Questo è stato riscontrato tra le pazienti con carcinoma mammario positivo ai recettori ormonali che hanno sospeso temporaneamente la terapia endocrina per cercare volutamente una gravidanza”.
Ma non basta. Matteo Lambertini in Texas ha presentato un’altra ricerca, apparsa simultaneamente sulla prestigiosa rivista americana JAMA. In questo studio, sono stati coinvolti più di 70 centri in tutto il mondo e arruolate oltre 4.700 giovani donne con un tumore del seno ereditario per la presenza di una mutazione ai geni BRCA.
Dopo aver completato le cure oncologiche e un corretto periodo di osservazione, una donna su cinque è riuscita ad avere una gravidanza. Inoltre, avere una gravidanza dopo la diagnosi di tumore al seno in donne BRCA mutate, sottoposte a precedente chemioterapia, è risultato sicuro sia per le mamme (cioè senza alcun rischio aumentato di recidiva del tumore) sia per i bimbi (cioè senza alcun rischio aumentato di malformazioni o altre complicanze della gravidanza).
Come si protegge il desiderio di maternità
Le principali tecniche di preservazione della fertilità nella donna sono costituite dalla crioconservazione, cioè dal congelamento, degli ovociti o del tessuto ovarico e dall’utilizzo di farmaci (analoghi LH-RH) per proteggere e mettere a riposo le ovaie durante la chemioterapia.
Possono essere applicate alla stessa paziente e hanno un tasso di successo relativamente elevato, con possibilità di concepire un bambino dopo la guarigione che varia a seconda dell’età della donna, dei trattamenti chemioterapici ricevuti e del numero di ovociti crioconservati. Il prelievo degli ovociti è eseguito con una sonda ecografica, invece quello del tessuto ovarico è più complesso e richiede un intervento in laparoscopia. Il materiale biologico può rimanere crioconservato per anni ed essere utilizzato quando la paziente ha completato le cure oncologiche.
Importante preservare il benessere psicofisico della donna
“La probabilità di guarigione definitiva da un tumore del seno supera attualmente il 60% – spiega Lucia Del Mastro, Professore Ordinario e Direttore della Clinica di Oncologia Medica dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Università di Genova -. Sempre più dobbiamo porci l’obiettivo di preservare il benessere psico-fisico delle nostre pazienti anche dopo la somministrazione di cure spesso ancora invasive. Il desiderio di maternità è un diritto che l’oncologia può e deve riuscire a garantire ad un numero crescente di donne”.