Giornata Mondiale dell’epilessia, a caccia di nuove cure

Nonostante la pandemia, la ricerca sull'epilessia non si è fermata e sono stati compiuti importanti passi avanti

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Colpisce il messaggio della Giornata Mondiale dell’Epilessia scelto da LICE (Lega Italiana contro l’Epilessia): “Troviamo una cura per tutte le epilessie”. È un invito forte che passa attraverso la ricerca e deve essere condiviso, anche per aiutare chi soffre di questa malattia e chi vive con i pazienti.

L’informazione è fondamentale e per questo si prevede una maratona su Facebook con video pillole a tema per chiarire, con un pool di esperti, tutti i dubbi e le domande della community. LICE pubblicherà sulla propria pagina Facebook, a partire dalle 11.00, circa 18 video pillole firmate da alcuni dei principali esperti italiani sull’epilessia. I temi? Come gestire l’epilessia nel bambino, oppure l’epilessia durante la gravidanza, il rapporto tra l’epilessia e altre patologie come i tumori. E poi ancora, epilessia e patente, epilessia e vaccinazioni, terapia chirurgica dell’epilessia, la terapia con cannabinoidi,

Ecco perché nascono le crisi

Nei Paesi industrializzati, l’epilessia interessa circa 1 persona su 100. Questa patologia si può verificare in tutte le età, con due maggiori picchi di incidenza, uno nei primi anni di vita e l’altro – sempre più elevato – nelle età più avanzate. Attualmente si calcola infatti che in Italia ogni anno si verifichino 86 nuovi casi di epilessia nel primo anno di vita, 20-30 nell’età giovanile/adulta e 180 dopo i 75 anni.

Alla base dell’alto tasso di incidenza nel primo anno di vita ci sono soprattutto fattori genetici e rischi connessi a varie cause di sofferenza perinatale, mentre per gli over 75 la causa risiede nel concomitante aumento delle patologie epilettogene legate all’età: ictus cerebrale, malattie neurodegenerative, tumori e traumi cranici. Le crisi, per chi ne soffre, sono favorite da fattori che aumentano l’eccitabilità elettrica delle cellule nervose: ad esempio una febbre elevata o protratta carenza di sonno.

La diagnosi di epilessia non viene effettuata dallo specialista dopo una comune convulsione, quale può essere quella legata ad una febbre molto alta. Per parlare di epilessia, infatti, occorre che ci siano almeno due crisi distanziate nel tempo tra loro, con ricadute successive. La crisi epilettica è legata fondamentalmente ad un eccesso di attività elettrica di un determinato gruppo di cellule cerebrali. Queste in pratica si “liberano” dal controllo generale e tendono a inviare stimoli elettrici alterati, che si ripercuotono sul corpo nella zona che viene normalmente “governata” da quei neuroni. La crisi può durare pochi secondi o alcuni minuti e poi termina autonomamente non appena la situazione elettrica cerebrale diventa di nuovo normale.

Gli impulsi elettrici che assicurano il corretto passaggio del segnale tra le cellule cerebrali e in caso di crisi epilettica si alterano nascono soprattutto nell’encefalo. Questo è diviso in due parti, che i medici chiamano emisferi, e rappresenta la struttura operativa centrale del nostro sistema nervoso. Ad esso infatti arrivano tutte le informazioni (ad esempio gli stimoli dolorifici, quanto vediamo e sentiamo) e da esso partono gli ordini di risposta. I due emisferi non lavorano autonomamente. Infatti sono collegati tra loro da un serie di “ponti” nervosi che permettono il costante passaggio delle comunicazioni da una zona all’altra. Gli emisferi sono a loro volta divisi in quattro porzioni, i lobi: davanti c’è il lobo frontale, lateralmente quello temporale e più in basso il parietale, dietro il lobo occipitale. Ad ognuno di essi è più specificamente delegata una particolare funzione, per cui in base alla sede in cui si trovano le cellule che rilasciano le scariche elettriche anomale si possono avere sintomi diversi. A volte ci sono movimenti inconsulti di braccia e gambe, in altri casi si respira a fatica, in altri ancora si hanno difficoltà a parlare.

In alcuni casi, infine, l’epilessia non è solamente caratterizzata da una sola tipologia di crisi, ma assume un quadro clinico tipico. Per cui esistono vere e proprie “sindromi” specifiche come l’epilessia del lobo temporale, l’epilessia rolandica, le epilessie miocloniche dell’infanzia e dell’età giovanile, l’epilessia con assenze, la sindrome di West e la sindrome di Lennox-Gastaut.

La ricerca avanza

Partiamo dai dati positivi: la ricerca sta andando avanti, nonostante le difficoltà legate alla pandemia da Covid-19. E soprattutto la scienza conferma come non esista l’epilessia ma piuttosto ci siano diverse forme, che vanno riconosciute con una corretta diagnosi e poi trattate, caso per caso. “Nell’ultimo anno – spiega Oriano Mecarelli, Presidente LICE, Dipartimento di Neuroscienze Umane La Sapienza (Roma) – la ricerca scientifica mondiale è stata costretta a incentrare tutti i propri sforzi nella lotta al Covid-19. Nondimeno, l’accesso ai fondi risulta ancora più problematico. Ma nonostante questi grandi ostacoli, sono stati compiuti importanti passi avanti nella cura di due gravi forme di epilessia: è stato approvato, infatti, il primo trattamento a base di cannabidiolo in grado di ridurre in oltre il 40% dei pazienti, in particolare per quelli che soffrono della sindrome di Lennox Gastaut e della sindrome di Dravet, la frequenza delle crisi epilettiche, anche dopo 12 mesi di trattamento. Si tratta di un risultato straordinario, ma la strada è ancora tutta in salita e dobbiamo compiere grandi sforzi affinché tutte le epilessie trovino una possibilità di cura”.

Infine, ecco preziose informazioni per chi è affetto dalla patologia in tempo di Covid-19 e prevede la vaccinazione. “Come per ogni altro vaccino, alcune persone possono sviluppare un rialzo termico. E questo – sottolinea l’esperto – in alcuni casi può abbassare la loro soglia epilettogena a breve termine e, raramente, portare ad una nuova crisi o alla ricorrenza di crisi in rari e particolari quadri clinici. Ma i benefici del vaccino sono nettamente superiori ai potenziali rischi di eventuali effetti indesiderati, in genere di lieve o moderata entità, che si risolvono entro pochi giorni dalla vaccinazione. La vaccinazione contro questo nuovo virus costituisce una importante modalità di prevenzione, minimizzando il rischio di contrarre una patologia per cui attualmente non sono disponibili terapie etiologiche”.