Fine vita, la storia di Ada e l’appello: “Ogni attesa imposta è una tortura”. Il punto sulla legge

La donna campana di 44 anni ha lanciato un video-appello chiedendo di fare presto, insieme all'Associazione Luca Coscioni. In Italia finora 16 casi di autorizzazioni al suicidio assistito

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Eleonora Lorusso

Giornalista, esperta di salute e benessere

Milanese di nascita, ligure di adozione, ha vissuto negli USA. Scrive di salute, benessere e scienza. Nel tempo libero ama correre, nuotare, leggere e viaggiare

Pubblicato: 6 Ottobre 2025 11:27

Ada non riesce più a parlare, perché è affetta da Sla, ma ha affidato il suo accorato appello alla voce della sorella Celeste. “In meno di 8 mesi la malattia mi ha consumata. Con una violenza fulminea mi ha tolto le mani, le gambe, la parola”, ha fatto sapere, per poi ribadire la propria richiesta di suicidio assistito, che al momento le è stato rifiutato. “Ho intenzione di combattere per questo diritto finché ne avrò le forze. Ma quanto è crudele dover sprecare le ultime forze per una guerra?”, si chiede ancora Ada, che si è affidata all’Associazione Luca Coscioni per portare avanti la sua battaglia.

La storia di Ada

Inizialmente Ada, 44 anni, aveva scelto un nome di fantasia, per far conoscere la sua storia e sensibilizzare sul tema del fine vita. Si faceva chiamare Coletta, ma ora ha deciso di rinunciare all’anonimato e dare nuova forza alla sua richiesta di suicidio assistito, tramite un video-appello. La donna, di origini campane, ha ricevuto il diniego alla pratica dalla propria azienda sanitaria e quindi ha deciso di presentare un ricorso d’urgenza al Tribunale di Napoli, tramite il collegio legale coordinato dall’avvocata Filomena Gallo, Segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni. Durante l’udienza, è stata concordata una nuova valutazione delle condizioni di Ada. Le visite sono già state effettuate, ma ora si attendono gli esiti e la donna chiede tempi ristretti.

L’appello di Ada a fare presto

La vita è una cosa meravigliosa finché la si può vivere e io l’ho fatto. Ho vissuto con ardore gioie e dolori, e ho sempre combattuto per quello in cui credo, come la libertà di scelta – ha fatto sapere nel video – Mi sono rivolta alla mia Asl, coinvolgendo anche il tribunale, chiedendo ora quella libertà per me stessa: poter scegliere una vita dignitosa e una morte serena, vicino alla mia famiglia, nel mio Paese, quando la mia condizione diventerà definitivamente insopportabile”.

Perché le è stata rifiutata la pratica

La Asl aveva respinto la domanda di Ada perché ha ritenuto che mancassero tre dei quattro requisiti previsti dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale (la cosiddetta “Cappato-Antoniani”, frutto del caso del Dj Fabo) per accedere al suicidio assistito in Italia. L’unico che invece era stato riconosciuto era la patologia irreversibile di cui soffre Ada, alla quale hanno diagnostica la Sla lo scorso anno. Secondo l’azienda sanitaria mancano la volontà di procedere con la morte volontaria assistita, la dipendenza da trattamento di sostegno vitale e la presenza di sofferenze ritenute intollerabili dalla paziente.

La posizione dell’Associazione Coscioni

“Ada sta affrontando una prova straordinariamente difficile. La legge e la Corte costituzionale tutelano il diritto all’autodeterminazione dei cittadini, anche nelle scelte riguardanti la vita e la morte. È responsabilità delle istituzioni e delle autorità sanitarie garantire che questo diritto venga rispettato senza indugi”, ha commentato Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni. “Siamo in attesa della relazione e del parere dell’azienda sanitaria, affinché Ada possa decidere della propria vita nel pieno rispetto della sua volontà, senza ulteriori ritardi burocratici”, ha aggiunto.

Il suicidio assistito in Italia

Nonostante i solleciti al legislatore da parte della Corte costituzionale, in Italia manca tuttora una legge nazionale sull’aiuto al suicidio assistito, che è regolato sulla base della sentenza numero 242 del 2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato-Antoniani. Il pronunciamento ha di fatto normato l’accesso alla procedura, che è possibile in presenza di 4 requisiti, che hanno a che fare con le condizioni di salute dei pazienti che ne fanno richiesta. La Consulta ha disposto, con una sentenza di incostituzionalità parziale dell’articolo 580 del codice penale, che la persona malata che vuole accedere all’aiuto al suicidio assistito deve essere: capace di autodeterminarsi; affetta da patologia irreversibile; che tale patologia deve essere fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che la persona reputa intollerabili; che il paziente essere dipendente da trattamenti di sostegno vitale.

Chi verifica i requisiti

Ad accertare la sussistenza dei requisiti di legge e a decidere le eventuali procedure specifiche di suicidio assistito è il Servizio Sanitario Nazionale, con le modalità previste dalla legge sulle Dat (le Disposizioni anticipate di Trattamento, ossia il “testamento biologico”) agli articoli 1 e 2 che riguardano le “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, 219/17. Il tutto previo parere positivo del comitato etico territorialmente competente. È compito dell’azienda sanitaria anche la verifica delle modalità di esecuzione, in modo da evitare qualsiasi forma di abuso che dovesse presentarsi a danno di persone ritenute vulnerabili, come pazienti terminali, in modo da garantire la dignità del paziente e, al contempo, da evitargli sofferenze.

Quanti casi di suicidio assistito in Italia

Finora sono 16 le persone che hanno ricevuto l’autorizzazione all’accesso al suicidio assistito in Italia. Di queste 11 hanno posto fine alla loro vita tramite la pratica. In 7 sono state assistite dal team legale dell’Associazione Luca Coscioni, mentre 4 hanno proceduto con accesso agli atti (tre in Toscana e una in Emilia Romagna). Altre 5 persone che avevano presentato richiesta, invece, hanno poi deciso di non procedere o non sono state in grado di farlo per altri motivi, come la sopravvenuta morte. Come sollecitato da Ada, da altri pazienti nelle stesse condizioni e dall’Associazione Coscioni, è importante che l’iter burocratico si svolga nel minor tempo possibile, perché spesso proprio le tempistiche non rendono possibile l’accesso alla pratica e rappresentano un ulteriore fattore di sofferenza per il paziente, che si aggiunge alla malattia stessa.