Fertilità femminile, il rischio delle microplastiche nascoste

Scoperte microplastiche nei fluidi follicolari di donne: quanto sono pericolose e come incidono sulla fertilità femminile

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Si incuneano ovunque. Senza ovviamente che ce ne accorgiamo. Se qualche tempo fa si è parlato della presenza di microplastiche nei vasi sanguigni e nel cuore, ora arriva la conferma che anche sul fronte della sterilità di coppia queste sostanze invisibili possono avere un ruolo. La notizia rimbalza da Bari, dove si tiene il Congresso Nazionale della Società Italiana di Riproduzione Umana (SIRU) che vede a confronto, fino al 13 aprile, i maggiori esperti nazionali e internazionali nel campo della cura dell’infertilità.

Come e dove si sono scoperte le microplastiche nascoste

Al convegno viene presentato uno studio, attualmente disponibile prima della pubblicazione sulla piattaforma Medxriv, che mostra per la prima volta, la presenza di microplastiche nei fluidi follicolari di donne che si sottopongono a Procreazione Medicalmente Assistita (PMA).

La ricerca  è stata realizzata da Luigi Montano, Salvatore Raimondo, Marina Piscopo, Maria Ricciardi, Antonino Guglielmino, Sandrine Chamayou, Raffaella Gentile, Mariacira Gentile, Paola Rapisarda, Gea Oliveri Conti, Margherita Ferrante, Oriana Motta. Lo studio, attraverso un approccio metodologico innovativo, non solo ha rilevato la presenza di nano e microplastiche (concentrazione media di 2191 particelle per millilitro), ma anche la dimensione al di sotto di 10 micron (diametro medio di 4.48 micron), evidenziando una correlazione fra la concentrazione di microplastiche e alcuni parametri collegati alla funzione ovarica.

“Questo ultimo aspetto, alla luce degli effetti negativi sull’apparato riproduttivo femminile ben documentati in campo sperimentale nel mondo animale, ci preoccupa non poco  –  commenta Luigi Montano, UroAndrologo dell’ASL di Salerno, Coordinatore del progetto di ricerca EcoFoodFertility, nonchè Past President della Società Italiana della Riproduzione Umana (SIRU).

Queste stesse sostanze, infatti, non solo hanno un effetto diretto di danno sulla funzione ovarica attraverso diversi meccanismi, in primis lo stress ossidativo, ma fanno anche da cavallo di Troia ad altre sostanze notoriamente tossiche, come metalli pesanti, ftalati, bisfenoli, diossine, policlorobifenili e secondo recenti studi, anche veicolo di virus, batteri e protozoi.

Si tratta di sostanze dalle dimensioni pulviscolari, che penetrano in profondità nel nostro organismo e che vengono introdotte nell’organismo con l’acqua che beviamo, il cibo che mangiamo, l’aria che respiriamo e anche attraverso la pelle con i cosmetici ad esempio”.

Già la presenza di microplastiche era stata individuata, sempre per la prima volta, dal gruppo guidato da Montano nelle urine e nello sperma e pubblicate rispettivamente sulle riviste internazionali Toxics nel gennaio 2023 e Science of The Total Environment nel luglio 2023. “In conclusione, questa scoperta rappresenta una conferma di quanto la contaminazione della plastica sia da considerare un’emergenza da affrontare nell’immediato e che il ritrovamento di microplastiche nel liquido follicolare che è a diretto contatto con i gameti femminili rappresenta di per sé una minaccia significativa all’integrità del nostro patrimonio genetico che viene trasmesso alle future generazioni  – affermano coralmente gli autori dello studio”.

Quanto pesa l’infertilità di coppia

L’infertilità in Italia è un problema diffuso che riguarda quasi una coppia fertile su cinque  – commenta Paola Piomboni, Presidente SIRU  – e proprio il percorso della coppia infertile sarà al centro del dibattito e del confronto congressuale, con particolare riferimento all’importanza dell’approccio multidisciplinare.  A tal fine la SIRU ha recentemente pubblicato le linee guida per il trattamento della coppia infertile su cui potranno essere definiti finalmente i percorsi diagnostici e terapeutici sulla base di evidenze scientifiche (PDTA)”.

Tra i temi in discussione c’è anche il rinvio dell’entrata in vigore dei Livelli Essenziali di Assistenza per le cure di riproduzione medicalmente assistita all’inizio del prossimo anno. Gli esperti sono preoccupati per le possibili ripercussioni di questo rinvio.

“Considerando che l’età media nelle donne che afferisce ai centri di riproduzione medicalmente assistita in Italia è pari a 36,8 anni, una età molto avanzata quando già per natura la capacità riproduttiva delle donne risulta diminuita – segnala Antonino Guglielmino, socio fondatore della SIRU – rimandare il progetto genitoriale di un altro anno significa ridurre ulteriormente la possibilità di successo dei trattamenti di riproduzione assistita. Ne abbiamo avuto prova durante il periodo della sospensione dell’attività a causa del lockdown, in occasione del quale l’autorità inglese ha calcolato che nelle donne nella fascia di età dai 36 ai 39 anni, il ritardo di 12 mesi ha provocato una diminuzione della capacità riproduttiva in termini percentuali che va dal 12 al 19%, in termini assoluti pari al 3.2 – 3.8%. Ciò significa che una donna di 36-37 anni ha mediamente il 26.6% di probabilità di avere una gravidanza, ma dopo un ritardo di 12 mesi la probabilità scende al 23.4%, con una diminuzione quindi di 3.2 punti percentuali. Tutto questo si tradurrà in migliaia di bambini in meno che nasceranno”.

La media italiana dei bambini nati con la riproduzione assistita risulta quindi pari al 4,2% contro il 12% che si registra in Danimarca, dove non esistono blocchi all’accesso ai trattamenti riproduttivi che vengono considerati una pratica medica come le altre. La riproduzione medicalmente assistita potrebbe rappresentare una possibilità concreta e immediata per contribuire in parte a contrastare il calo demografico a cui assistiamo nel nostro Paese, che è tra le nazioni che fanno meno figli al mondo. L’Italia registra un indice di fecondità (numero di figli per donna in età fertile) di 1,2, rappresentando così il fanalino di coda in Europa.