Fegato grasso, il sushi può aiutare chi soffre di steatosi epatica non alcolica

Uno studio dimostra come la dieta giapponese a base di cibi a basso contenuto di grassi aiuta chi soffre di steatosi epatica non alcolica

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Pubblicato: 17 Maggio 2023 15:30

Lo studio arriva dal Giappone. Quindi occorre comprendere bene il significato della ricerca, visto che viene proprio dal Paese in cui il pesce crudo è una consuetudine pressoché quotidiana. Detto questo, è sicuramente interessante osservare con la classica alimentazione del Sol levante potrebbe aiutare, ponendo un freno allo sviluppo del quadro patologico del fegato, chi soffre di steatosi epatica non alcolica (Nash).

L’indagine, apparsa su Nutrients e condotta da studiosi dell’Università di Osaka, rivela una volta di più come e quanto l’alimentazione rappresenti un potenziale supporto per frenare (e se poco intelligente accelerare) la sofferenza del fegato.

Cosa dice lo studio e cosa significa Nash

L’indagine ha preso in esame quasi 150 persone con steatosi epatica non alcolica, quindi con il fegato infarcito di tessuto adiposo, seguiti presso l’ospedale universitario di Osaka. Le abitudini dietetiche sono state valutate con una scala particolare, il Japanese diet index (mJDI12), sulla base di 12 gruppi alimentari tipici, dal riso, alla zuppa di miso, da piatti a base di soia, a funghi e frutti mare, per fare qualche esempio.

Per valutare l’avanzamento del danno epatico, si è utilizzato il Fibroscan. Chi aveva un punteggio mJDI12 più alto ha mostrato un grado inferiore di progressione della malattia. Tre i gruppi alimentari più virtuosi: prodotti a base di soia, frutti di mare/pesce e alghe. Chi consumava maggiormente prodotti a base di soia, inoltre, presentava una massa muscolare più pronunciata. Come si spiegano questi effetti? A detta degli esperti, tutto dipenderebbe dal ridotto contenuto di grassi di questi cibi.

I semi di soia  in particolare sono ricchi di fibre vegetali e a basso contenuto di grassi saturi, oltre che di proteine della socia. Poi il pesce che contiene calcio e fosforo ed è un’ottima fonte di minerali, come ferro, zinco, iodio, magnesio e potassio, aggiunge valore assieme alle alghe, sono ricche di polifenoli, vitamine e minerali.

Si tratta, va detto di una ricerca che sicuramente andrà confermata. Ma in ogni modo si conferma come il sushi e la cucina giapponese presentino caratteristiche che possono aiutare il benessere del fegato, anche di fronte ad una situazione che appare sicuramente preoccupante. Secondo quanto emerso al recente congresso dell’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato (AISF) la prevalenza di steatosi epatica, spesso nota come fegato grasso o con l’acronimo NAFLD (Non Alcoholic Fatty Liver Disease, Steatosi epatica non alcolica) è in continuo aumento. Colpisce circa il 25% della popolazione in età adulta, arrivando a oltre il 50% tra i soggetti obesi o diabetici. Con la NAFLD aumentano anche i rischi di evoluzione in Nashe di complicanze, fino a cirrosi scompensata e tumore del fegato. Le cause sono obesità, invecchiamento della popolazione, diffusione del diabete mellito di tipo 2, consumo di cibi processati.

Cosa significa steatosi epatica

“La steatosi epatica rappresenta la causa di malattia cronica di fegato con la maggiore prevalenza nel mondo occidentale – è il commento di Vincenza Calvaruso, del Comitato Scientifico AISF.  La diffusione di obesità e diabete mellito di tipo 2 ha comportato una manifestazione clinica di interessamento epatico che si è espansa in maniera significativa.

Diventa quindi prioritario identificare il paziente a rischio. Su questo hanno lavorato molto gli epatologi italiani, offrendo così alla Medicina Generale strumenti utili per diversi fini: serviranno a riconoscere chi tra i pazienti sia a rischio di malattia metabolica, favorendo una diagnosi precoce, mentre per i pazienti in follow up con diagnosi istologica o con cirrosi si potranno gestire meglio le complicanze. Questi studi sono anche uno spunto per incrementare la collaborazione con gli altri specialisti coinvolti sulle malattie metaboliche”.

La Nash si caratterizza per comorbidità come obesità, cardiopatie e soprattutto diabete. E le abitudini a tavola sono fondamentali per contrastare l’evoluzione del quadro, a partire dal controllo del peso e da una regolare attività fisica.