Emicrania, cervello troppo “veloce”, donne a rischio

I casi di emicrania nelle donne potrebbero essere dovuti all'eccessiva velocità di pensiero: uno studio ha approfondito questo aspetto

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Quando si pensa alla velocità, ovviamente in chiave positiva, si ragiona in termini di vantaggio. Ed in effetti, sul fronte della reazione del sistema nervoso, saper rispondere tempestivamente ad uno stimolo è sicuramente utile. Ma a volte avere un cervello eccessivamente “veloce” può diventare anche un problema. E sarebbe anche questa caratteristica femminile, con tanti altri fattori a partire dalla genetica per giungere fino agli ormoni, a spiegare il netto predominio (certo non voluto) dei casi di emicrania nel gentil sesso. Così sui quasi 15 milioni di persone che hanno avuto almeno un attacco di emicrania nel corso della vita in Italia, 11 milioni sono donne. Bisogna riflettere sul tema, come propone Fondazione Onda con il suo documento “Emicrania: una patologia di genere” che contiene il Manifesto in dieci punti “Uniti contro l’emicrania”.

Non solo ormoni

A spiegare il ruolo della “velocità” di pensiero declinata al femminile ci sono le osservazioni della scienza. Soprattutto, ormai la ricerca ha fattto luce sui diversi moventi che possono favorire lo scatenamento delle crisi, in chiave di genere.

“Gli ormoni sessuali femminili hanno un ruolo cruciale nella determinazione delle differenze di genere che si osservano nell’emicrania”, segnala Piero Barbanti, Presidente dell’ANIRCEF, Associazione Neurologica Italiana per la Ricerca sulle Cefalee e Presidente AIC Onlus, Associazione Italiana per la Lotta contro le Cefalee. “Esiste, infatti, una correlazione tra le cicliche variazioni ormonali, in particolare degli estrogeni, e la ricorrenza degli attacchi emicranici. L’emicrania compare nella donna tipicamente dopo il menarca, presentando durante l’età riproduttiva una caratteristica periodicità che correla con le fluttuazioni ormonali: le fasi di maggiore severità si osservano infatti nel periodo mestruale e ovulatorio. Ma la prevalenza dell’emicrania nella donna non è solo questione di ormoni. La maggiore velocità del cervello femminile lo espone infatti a maggiore rischio di attacchi. È essenziale una diagnosi tempestiva per instaurare le cure corrette, ridurre il rischio di cronicizzazione e di iperuso di farmaci ed evitare inutili peregrinazioni”.

Purtroppo, a fronte di questa necessità, sono ancora molte le persone che arrivano tardi all’osservazione di uno specialista e magari procedono con tentativi di autocura che, nelle forme di emicrania vera e propria, non risolvono ed anzi possono rivelarsi controproducenti. Basti pensare a quanto emerge dal progetto IRON (parte del registro italiano dell’emicrania I-GRAINE) – condotto su 866 pazienti affetti da emicrania cronica visitati presso 24 centri cefalee italiani – che ha infatti documentato che l’intervallo che intercorre tra l’esordio dell’emicrania ed il primo accesso ad un centro cefalee è pari a circa 20 anni e che l’80 per cento degli esami diagnostici eseguiti nel frattempo è perfettamente inutile.

Non solo: “Lo studio IRON ha dimostrato che il paziente con emicrania cronica consulta in media da 8 a 18 diversi specialisti nel corso della propria vita, a causa dell’emicrania – riprende l’esperto. Occorre dunque elevare il livello di preparazione dei medici sul tema dell’emicrania cominciando dalla formazione universitaria, molto carente a questo riguardo. Ma occorre anche allargare il numero dei centri cefalee universitari, ospedalieri e territoriali sul territorio nazionale, definendo allo stesso tempo percorsi specifici affinché ciascun paziente incontri la giusta figura medica per la propria emicrania, sulla base della sua complessità”.

Una condizione che “pesa”

L’emicrania ha altissimi costi umani, visto che davvero può influire sulla qualità di vita facendo rinchiudere la persona in una sorta di mondo parallelo, segnato dalle crisi e dal timore che compaiano. Ma non bisogna sottovalutare il peso economico della patologia. In Italia, stando ai dati raccolti dallo studio My Migraine Voice, è stato calcolato che il costo annuale legato alla perdita di produttività in persone con 4 o più giorni di emicrania al mese ammonti a 7,6 miliardi di euro.

Non solo: stando ad uno studio di qualche tempo fa, Gema – Gender&Migraine del 2018, effettuato su un campione di 607 pazienti adulti con almeno quattro giorni di emicrania al mese, e realizzato dal Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale (Cergas) e dall’Università Bocconi, il costo annuale stimato per paziente con emicrania è pari a 4.352 euro di cui il 25 per cento per prestazioni sanitarie, il 36 per cento per perdite di produttività, il 34 per cento per assistenza informale e il 5 per cento per assistenza formale. Come se non bastasse, soprattutto nelle donne è più comune il “presentismo” ovvero ci si reca al lavoro anche se si sta male.