Raccontiamo qui la storia di una nostra lettrice – Sono cresciuta in una famiglia dove l’affetto non è mai mancato, né da parte dei miei genitori, né tanto meno da quei tre fratelli maggiori che mi hanno viziata e protetta dal mondo lì fuori, anche quando non glielo chiedevo, anche quando non ne avevo bisogno.
Crescendo abbiamo iniziato a frequentarci sempre meno, ma non abbiamo mai smesso di volerci bene. Gli incontri fissi del pranzo della domenica, però, sono diventati saltuari, del resto abbiamo tutti una famiglia, i figli, il lavoro e altri impegni. Nessuno biasima o incolpa nessuno perché siamo grandi abbastanza da capire che purtroppo le priorità della vita ci allontanano, a volte.
Eppure, le mie priorità non sono mai abbastanza importanti per gli altri. Perché non importa quali impegni di lavoro io abbia o come riesca a mantenere l’equilibrio tra la carriera, la casa e i figli, quello che conta è che io trovi il tempo per i nostri genitori, perché sono io a dovermene occupare.
Lo faccio quando si tratta di prenotare delle visite, e poi di accompagnarli, di gestire le questioni legate alla casa, alla pensione e ai soldi. Lo faccio anche quando loro non chiedono niente, ma io so che hanno bisogno d’aiuto, perché gli acciacchi dell’età si fanno ogni giorno più prepotenti. E lo faccio sempre da sola, come se fossi figlia unica, ma non lo sono. Al contrario però sono colpevole di essere l’unica donna tra i figli, e quindi questo compito mi spetta di diritto.
Ma loro ci sono, intendiamoci. Ci sono quando si tratta di organizzare un pranzo o una cena, quando c’è il compleanno di qualcuno, quando nonostante abbiamo vite e carriere avviate hanno ancora bisogno dei loro genitori, che sono anche i miei. Quando hanno bisogno di soldi. E no, non è così che dovrebbe essere.
L’affetto che ho ricevuto io per tutta la vita è lo stesso che hanno ricevuto anche loro, ma con molte meno responsabilità però. E per questo ammetto che sono arrabbiata con mamma e papà, anche se non gliel’ho mai detto. Lo sono perché me lo ricordo bene che quando ero piccola toccava a me sbrigare quelle piccole faccende di casa. Toccava sempre a me sparecchiare quando loro correvano a giocare la play dopo cena ed ero sempre io a rinunciare a uscire con le amiche la domenica mattina per aiutare mamma a cucinare o a sistemare casa.
Erano i piccoli prezzi da pagare per essere nata donna, gli stessi che oggi mia figlia non pagherà mai. Ma quelle che ai tempi mi sembravano dei piccoli compromessi per ottenere un ruolo di tutto rispetto in famiglia, oggi si sono trasformate in qualcosa che non riesco più a sostenere.
E non si risolverà prendendo una badante a tempo pieno come suggeriscono i miei fratelli lavandosene le mani, perché i nostri genitori hanno bisogno di noi. E io non voglio abbandonare mamma e papà, non potrei mai. Quello che chiedo è solo di avere una mano, anzi tre, e un po’ di comprensione ed empatia verso i miei sforzi, un po’ di tempo per respirare. Ecco, è questo quello che chiedo ai miei fratelli, nient’altro.