Sebbene il matrimonio sia un contratto ed un’istituzione con ancora molto valore, anche questo tipo di unione sacra può finire. Al giorno d’oggi, infatti, le coppie sono giunte alla consapevolezza che non si sta più insieme per dovere ma per assecondare i propri sentimenti e l’amore. Se quest’ultimo dovesse finire, ci si lascia.
In passato, il divorzio o la separazione non erano contemplati. In Italia, infatti, la prima legge che lo regolamentava venne introdotta nel 1970. Di seguito faremo un excursus per comprendere meglio la natura del divorzio, la sua storia ed il funzionamento attuale.
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Come ci si separava prima del divorzio
Come funzionava prima dell’introduzione di leggi che regolamentassero separazioni e divorzi? In passato a dettare le regole, per così dire, era la dote. In pratica, la donna fino al matrimonio era proprietà del padre. Con il matrimonio, invece, passava nelle mani del marito, insieme ad una parte consistente dei suoi beni, come terreni e case. Questi beni rappresentavano la dote che più era alta, più assicurava alla donna un buon matrimonio.
In alcuni casi, per la donna era possibile lasciare il marito ma, tale separazione, non si risolveva altro che in un ritorno sotto il tetto paterno. La sua dote diventava l’unico modo per lei di sostentarsi. Se la separazione dal marito avveniva perché la moglie era stata adultera, non solo veniva rispedita a casa ma la dote le veniva sottratta dall’uomo.
Nell’Antico Egitto (negli anni che vanno dal 2700 al 2192 a. C.) le mogli avevano un’autonomia più ampia: esse, infatti, potevano gestire a piacimento il loro denaro, anche se divorziavano. Per la legge, infatti, erano uguali agli uomini.
Ciò non accadeva nell’Antica Roma dove il divortium venne disciplinato da Augusto imperatore. La donna adultera veniva privata di metà della sua dote e veniva mandata in esilio su un’isola.
Con l’avvento del Cristianesimo, i tempi divennero ancora più duri. Se la donna veniva lasciata dal marito, poteva scegliere di tornare alla casa del padre oppure farsi monaca. Se, invece, era lei ad aver commesso adulterio, veniva allontanata senza dote. A meno che non si trattasse di una donna importante, figlia di un papa, come Lucrezia Borgia. La donna, infatti, divorziò a causa dell’annullamento delle nozze, e poté risposarsi.
La Rivoluzione Francese, a partire dal 1789, introdusse un po’ più di libertà: consentiva il divorzio anche se marito e moglie fossero incompatibili per differenze caratteriali. Tale libertà proseguì anche dopo. Infatti, a partire dal 1792, alcune leggi prevedevano che nessuno dovesse essere obbligato a vivere con una persona che non voleva. Tali leggi stabilirono anche il principio della comunione dei beni e dell’eventuale mantenimento. Tuttavia, era ancora troppo presto per uno scenario così ricco di libertà. La famiglia, infatti, era ancora considerata come l’istituzione più importante della società. Ecco, dunque, che in epoca di restaurazione si fece un passo indietro, mettendo avanti il bene della famiglia piuttosto che quello del singolo.
Sin dalla rivoluzione industriale, però, iniziarono ad essere recuperate alcune norme individuate già dalla Rivoluzione Francese. Si vide, dunque, la reintroduzione di alcuni valori individualistici.
In sostanza, i coniugi dovevano resistere anche se non andavano d’accordo. La Chiesa, infatti, prevedeva delle condanne. La prima risaliva al 1208 e venne emanata da Papa Innocenzo III, secondo cui il matrimonio è un sacramento. Legge presa di nuovo in mano dal Concilio di Trento del 1545 secondo cui si stabilì: “Sia anatema chi dice che il matrimonio si può sciogliere per l’adulterio dell’altro coniuge”.
Chi voleva sciogliere il matrimonio poteva chiedere aiuto al tribunale della Sacra Rota, spesso pagando. Si trattava di un tribunale ecclesiastico sancito da una bolla papale del 1931, che permetteva ai coniugi di sciogliere la propria unione soltanto in alcuni casi. Il primo era unione imposta, il secondo infedeltà, il terzo incapacità di concepire o fecondare.
Chi ha introdotto il divorzio in Italia
Erano i primi anni del 1800 quando in Italia venne introdotto per la prima volta, il termine divorzio. Fu il Codice di Napoleone, infatti, a permette di annullare i matrimoni avvenuti in comune. In ambito applicativo, però, si trattò di una Legge che fu difficile da mettere in pratica. Gli sposi, infatti, per poter procedere alla separazione, avrebbero dovuto ricevere il consenso sia dei loro genitori che di entrambi i nonni. Un secolo dopo, tale legge venne riformata.
Infatti, il Governo di Giuseppe Zanardelli, nel 1902 pensò di emanare una Legge che regolamentasse la separazione in caso di adulterio, condanne di tipo grave oppure danni al coniuge. Tale legge non venne approvata mai a causa dell’avvento del primo conflitto mondiale che, naturalmente, mise da parte tutte le questioni di tipo sociale. Le cose non andarono meglio con la salita al potere di Mussolini. Il duce, infatti, firmò i patti Lateranensi dimostrandosi contrario, in tutto e per tutto, a qualsiasi legge sullo scioglimento del matrimonio.
In questo scenario, è facile comprendere come la Penisola, restò a lungo senza una legge che regolamentasse il divorzio. Le prime mobilitazioni in materia si ebbero negli anni ‘60. In particolare, nel 1965 Loris Fortuna, deputato, fece una proposta di legge alla Camera. Tale proposta regolamentava il divorzio. Seguirono numerose proteste in piazza guidate dal Partito Radicale e dalla Lega Italiana che desideravano a tutti i costi l’approvazione di una legge in materia.
Divorzio in Italia, nuova legge
Bisognò attendere il 1 dicembre 1970 per avere in Italia la prima legge sul divorzio. Se da un lato Radicali, Partito socialista Italiano, Partito Comunista Italiano e Partito Liberale Italiano erano a favore, la Democrazia Cristiana votò a sfavore. La legge si chiamava Fortuna-Baslini ed era la n. 898. Venne ideata da Loris Fortuna e da Antonio Baslini e si chiamava: Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio.
Nel 1974 gli italiani, proprio da parte dell’Italia divorzista della DC, vennero chiamati alle urne per un referendum che chiedeva l’abrogazione di tale legge. Com’è storia, a quel referendum vinsero i no (60% dei votanti), lasciando in vigore la legge sul divorzio che, soprattutto per le donne, rappresentò una vera rivoluzione. Il sesso che fino ad allora veniva definito debole, si vedeva riconosciuta la possibilità di scegliere se vivere con il marito oppure lasciarlo per andare a vivere altrove.
La strada per arrivare alla Legge Fortuna-Baslini non è stata dritta ma in salita e piena di buche. Tanto che, ancora oggi, fa muovere critiche e volontà di rinnovamento.
Come funziona il divorzio in Italia
Con il divorzio si sciolgono o cessano tutti gli effetti dell’unione matrimoniale. I due coniugi, però, devono dimostrare di non avere più motivi, ne spirituali, ne materiali, per continuare a vivere insieme e condividere la propria esistenza. Il matrimonio civile si può sciogliere quando vengono meno tutti i suoi effetti. La separazione legale va registrata e, attraverso essa, si dimostra di non vivere più sotto lo stesso tetto.
Se la legge del 1970 prevedeva il periodo di separazione pari a 5 anni, con le modifiche apportate dalle leggi 436/1978 e 74/1987, i tempi vengono ridotti a tre anni. I tempi si sono ridotti ancora di più con la legge n.55/2015 detta anche del divorzio breve. È previsto soltanto un anno per la separazione giudiziale se non si arriva a quella consensuale. Per quest’ultima, infatti, i tempi possono accorciarsi fino a sei mesi.
Nel corso dei decenni, si è creduto che la Legge sul Divorzio avesse incentivato gli italiani a separarsi. Ciò non è stato del tutto vero poiché, per i primi 20 anni dalla sua approvazione, i numeri dei divorziati furono molto bassi. Bisognò attendere il 1995 per vedere un boom di divorzi, per arrivare ad oggi, dove le separazioni hanno sfiorato la quota 65% e i divorzi sono duplicati.
Parallelamente, è diminuito il numero di coppie che decide di convolare a nozze in favore di convivenze, rivoluzionando la famiglia tradizionale di un tempo. Per comprendere meglio lo scenario, si possono prendere in esame alcuni dati forniti dall’Istat. Nel 1995, ad esempio, c’erano 80 divorzi, e 158 separazioni ogni 1000 matrimoni. La cifra dei divorzi salì a 181 nel 2009. L’età più frequente a cui gli italiani divorziano è 45 anni.
Per poter ottenere il divorzio, è necessario rispettare alcune condizioni. In primis, come abbiamo detto anche poco più sopra, non bisogna vivere sotto lo stesso tetto del coniuge in modo stabile. I valori sentimentali, quali amore e affetto, oltre che comprensione e condivisione, devono essere venuti meno. Il divorzio, inoltre, si può ottenere dopo che sono passati dodici mesi dalla sentenza del giudice per la separazione (separazione giudiziale) oppure sei mesi nel caso in cui ci sia stato accordo tra i coniugi (separazione consensuale).
In questo caso, in virtù delle nuove leggi sul divorzio breve, i due coniugi possono divorziare anche davanti al Sindaco, anche se non sono stati assistiti da un avvocato. Ciò, però, ha delle limitazioni. Se ci sono dei figli minori, portatori di handicap o incapaci e non sufficienti dal punto di vista economico, il divorzio breve dovrà svolgersi in tribunale, con l’aiuto di un avvocato, al fine di tutelare i diritti dei figli.
Il divorzio si può ottenere anche se uno dei due coniugi è stato condannato all’ergastolo oppure ad una pena detentiva per reati gravi. Oppure, nel caso in cui uno dei due abbia cambiato sesso. Quando un matrimonio finisce significa che viene sciolto il vincolo che è stato celebrato davanti all’ufficiale di stato civile.