Un grande amore, lungo, arrivato dopo anni terribili segnati dal dolore e dall’orrore della Guerra, Alfredo Belli Paci era il marito di Liliana Segre, senatrice a vita che ha preso la sua esperienza terribile di deportata ad Auschwitz e l’ha condivisa con il mondo, perché quello che ha vissuto lei e che hanno subito altre migliaia di persone non accada più.
Ma chi era Alfredo Belli Paci? Prima è stato un militare, poi un avvocato. Deceduto nel 2007, ha vissuto un lungo legame con Liliana Segre, matrimonio da cui sono nati tre figli: Alberto, Luciano e Federica.
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Alfredo Belli Paci, chi era il marito di Liliana Segre
Alfredo Belli Paci è nato nelle Marche e da giovane ha studiato presso l’Accademia militare, questo lo ha portato ad affrontare la Seconda Guerra Mondiale come sottotenente di artiglieria in Grecia.
Ed è mentre si trova ad Atene, lui aveva 23 anni, che arriva l’8 settembre. Alfredo viene fatto prigioniero. A ricostruire quello che gli è accaduto un articolo del Corriere della Sera in cui si legge che, il 23 dello stesso mese, il gruppo di cui faceva parte è arrivato nel primo lager, sette in totale quelli in cui è stato portato. È stato prigioniero per 19 mesi, pochissimo il cibo, nessun modo per coprirsi se non la sua divisa estiva, obbligati poi a fare lavori – anche se si erano rifiutati – per poter salvare la vita a un loro compagno. Si legge sul Corriere: “Dopo qualche giorno, per la nostra inabitudine al lavoro manuale e per lo stato di denutrizione in cui versavamo, ci riducemmo in condizioni fisiche di estremo esaurimento”.
È stato uno dei 600mila che non ha accettato di far parte della Repubblica sociale italiana e che è rimasto prigioniero. Nel 1945, qualche mese dopo il 17 aprile, è stato rimpatriato e ha ripreso gli studi in Giurisprudenza, diventando avvocato.
Alfredo Belli Paci, l’incontro con Liliana Segre
La vita di Liliana Segre e di Alfredo Belli Paci cambia nel 1948 quando i due si sono conosciuti a Pesaro. Il figlio Luciano aveva raccontato qualcosa di quel loro primo incontro in spiaggia, quando il papà notò colei che sarebbe divenuta la moglie: “La fermò e le disse: “Io so cos’è quel numero”. Perché anche lui era passato da diversi campi di concentramento e aveva incontrato i prigionieri ebrei”.
Qualche giorno prima quel momento, aveva invece spiegato Liliana Segre a Che tempo che fa, c’era stato uno sguardo e qualche parola. Lui aveva dieci anni più di lei e stava facendo il praticantato in uno studio di Bologna. “Alfredo mi ha preso per mano, affascinato da me proprio perché ero così diversa da tutte le altre: più matura nella testa ma ingenua sentimentalmente, un bocciolo ancora tutto da schiudersi”, aveva detto Liliana Segre al Corriere della Sera. “Non si è spaventato e non è scappato di fronte alla mia storia. Per me ha messo da parte i suoi stessi traumi di prigioniero. Sono stata sempre e solo io, in famiglia, la persona da proteggere”, aveva detto nel medesimo articolo.
Il matrimonio è stato celebrato nel 1951, poi sono arrivati i tre figli.
A quanto pare, c’è stato un momento difficile nella loro relazione: Alfredo Belli Paci era un antifascista cattolico, presidente di Unione Popolare nazionale, aveva aderito alla lista del Movimento Sociale Italiano – Destra nazionale e poi si era anche candidato alla Camera come indipendente.
In merito Liliana Segre aveva detto a Che tempo che fa, come riporta un articolo de L’Unità: “Mio marito, che era stato uno che aveva scelto due anni di internamento pur di non stare nella Repubblica sociale, vedendo molto disordine, per un certo periodo aderì a una destra in cui c’era anche Almirante. Io ho molto sofferto e ci fu una grande crisi. A un certo punto misi mio marito e me sullo stesso piano e dovevamo sceglierci di nuovo. O separarci. Per fortuna lui rinunciò per amore nei miei confronti a una eventuale carriera politica. E io aprii le braccia a un amore ritrovato e fummo insieme per altri 25 anni”. Alfredo Belli Paci è morto nel 2007.
Un uomo attento, protettivo nei confronti della moglie e a causa degli orrori di cui era stata testimone durante la Guerra. In merito il figlio Luciano aveva detto a La Repubblica: “Avevamo visto il numero sul braccio e ci spiegarono che c’erano degli uomini cattivi che avevano fatto del male alla mamma. Papà non voleva che le facessimo domande, per non provocarle dolore, come bisognava evitarle spaventi, urla, tensioni, cani lupi. La disciplina in casa era rigida. Solo dettagli frammentari, dato che entrambi erano stati prigionieri dei tedeschi”.
Solamente negli anni Novanta Liliana Segre ha iniziato a raccontare la sua testimonianza, prima in casa non se ne poteva parlare. E il marito è stato: “Straordinario. Si comportava come un cavaliere antico, galante, attento, premuroso, la proteggeva dagli incubi del passato. Da qui nasceva il divieto a noi figli di farle domande. Era preoccupato che lei soffrisse, ma quando lei decise di cominciare a testimoniare, nei primi anni ’90, la sostenne sempre”, aveva detto il figlio a La Repubblica.
E quella della senatrice a vita è diventata una testimonianza coraggiosa perché dolorosa, ma al tempo stesso profondamente preziosa che Liliana Segre ha condiviso con il mondo.
Liliana Segre, la forza della sua testimonianza
Ci vuole forza a raccontare l’orrore, è come viverlo ancora ogni volta che lo si ripete. Perché non si tratta di eventi vissuti da altri e neppure così lontani da noi, ma sono drammi che hanno lasciato segni indelebili nell’anima, nel cuore e sulla pelle.
Liliana Segre, però, a un certo punto della sua vita ha deciso di farsi testimone, di dire quello che ha dovuto subire da giovane. Classe 1930, nata a Milano da una famiglia laica di origine ebrea, a partire dall’età di otto anni ha iniziato a dover fare i conti con le leggi razziali fascite. A soli 12 anni è stata deportata ad Auschwitz, liberata il primo maggio del 1945, è stata una dei venticinque bambini italiani (sui 776 che erano stati deportati) che sono sopravvissuti alla prigionia in questo campo di concentramento.