Donne nella scienza: tra precarietà e sfide. Tre testimonianze

Nella Giornata internazionale delle donne e delle ragazze della scienza, tre donne che ce l'hanno fatta ci raccontano la loro esperienza

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Federica Cislaghi

Royal e Lifestyle Specialist

Dopo il dottorato in filosofia, decide di fare della scrittura una professione. Si specializza così nel raccontare la cronaca rosa, i vizi e le virtù dei Reali, i segreti del mondo dello spettacolo e della televisione.

La Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nelle scienze, istituita dall’ONU allo scopo di ispirare le ricercatrici di domani ed evidenziare la necessità di raggiungere la parità di genere nella ricerca. L’ASST Gaetano Pini-CTO di Milano ha scelto di festeggiare raccontando 3 storie di professioniste che attraverso il loro lavoro ogni giorno testimoniano che il raggiungimento dell’uguaglianza di genere è un fattore imprescindibile per il progresso della ricerca medica.

Essere ricercatrice e mamma: in Italia è ancora una sfida

Se, come si evince dal recente dossier pubblicato dal Consiglio Universitario Nazionale (CUN), organo consultivo e propositivo del Ministero dell’Istruzione, il numero di donne e uomini che scelgono di laurearsi in Scienze Mediche in Italia è lo stesso, il divario si evidenzia nel proseguo della carriera.

La prima difficoltà per le ricercatrici è rappresentata dalla conciliazioni tra i tempi di vita e di lavoro, come racconta la dott.ssa Cecilia Beatrice Chighizola, Reumatologa e ricercatrice dell’ASST Gaetano Pini-CTO di Milano: “Non ho subito discriminazioni di genere né durante gli studi né a livello professionale, ma ho avvertito le prime difficoltà imputabili all’essere donna dopo essere diventata mamma di Carlotta. Quando la mia disponibilità di tempo ed energie si è ridimensionata, per ovvie ragioni, non sempre ho trovato comprensione delle difficoltà di conciliare esigenze famigliari e necessità lavorative, anche da parte di altre donne”.

“Ho superato questo ostacolo con l’impegno, lo studio, la dedizione, la passione e una certa dose di spirito di sacrificio. Alle giovani donne dico che è importante credere in se stesse, ma anche restare sempre umili, consapevoli che in medicina non si finisce mai di imparare. Non credo che il settore della ricerca sia particolarmente maschilista, ma certamente riflette la nostra società. Fare ricerca, infatti, è impegnativo: bisogna investire tempo e dedicare tante risorse personali che inevitabilmente hanno un impatto sull’organizzazione famigliare. Organizzazione che in Italia è a carico della donna e credo che la nostra società non colga le limitazioni di questo approccio”.

“Recentemente, sono rimasta sorpresa dalla decisione di un professore svedese che ha scelto di prorogare sia per me sia per un collega uomo, entrambi genitori da pochi anni, i tempi di consegna di un lavoro, adducendo la stessa motivazione, ovvero che non è giusto mettere una pressione eccessiva a chi ha figli piccoli e ha meno tempo da dedicare al lavoro. Questo vuol dire che il professore è convinto che un neo papà e una neo mamma abbiano lo stesso carico di cura nella gestione dei figli e la medesima necessità di tempo. Mi piacerebbe che anche in Italia fosse così, dentro e fuori dal mondo della ricerca”.

Perché è importante valorizzare il ruolo delle donne nella scienze

A questo scopo è fondamentale promuovere un’educazione al sapere scientifico che sia veramente accessibile a tutti senza distinzioni di genere, libera da stereotipi e pregiudizi, come dice la dott.ssa Antonia Parafioriti, Direttore dell’Anatomia Patologica dell’ASST Gaetano Pini-CTO di Milano e ricercatrice nell’ambito della diagnostica dei tumori muscoloscheletrici.

“Nel mio ruolo di manager – aggiunge la dott.ssa Parafioriti – sono sensibile all’eco che hanno le problematiche di conciliazione famiglia-lavoro in entrambi i generi e nel quotidiano sono orientata sempre al dialogo e all’incontro in una logica di condivisione e cooperazione invece che divisione e competizione. È necessario sostenere ogni giorno un processo che valorizzi il contributo delle donne in ambito scientifico e il loro ruolo nel campo della ricerca. Se guardiamo al passato non mancano esempi di vite di donne sacrificate alla ricerca e questo percorso è strettamente legato alle tappe dell’emancipazione femminile”.

“Se è vero che il mondo della ricerca è ancora popolato in prevalenza di uomini, come ci testimoniano le statistiche, è altrettanto vero che è un mondo in continuo cambiamento ed evoluzione. Per questo alle ragazze che vogliono intraprendere la via della ricerca consiglio di non demordere, di coltivare la costruttiva ambizione alla base di progettualità e realizzazione, di credere in loro stesse, seguendo l’esempio delle donne della ricerca che ci hanno precedute, come Marie Curie che scoprì l’uso del radio nella cura dei tumori, la quale sosteneva che nella vita non c’è nulla da temere, solo da capire”.

Donne e ricerca: la precarietà è un ostacolo

Altro grande problema che interessa sia gli uomini sia le donne è il precariato: il nostro Paese investe troppo poco nella stabilizzazione dei ricercatori. Eppure i dati del CUN evidenziano che questo limite impatta maggiormente sulle carriere delle donne anziché degli uomini. Il numero degli uomini, si legge nel dossier, è sempre maggiore di quello delle donne per i ruoli a tempo indeterminato e a tempo determinato in profili senior (RTDb).

In particolare, nella categoria Professori Associati il numero degli uomini supera il doppio di quello delle donne, mentre nella categoria Professore Ordinario il numero degli uomini è 5 volte più alto di quello delle donne. Il racconto della dott.ssa Anna Zecchinelli, Direttore del Centro Parkinson e Parkinsonisimi dell’ASST Gaetano Pini-CTO di Milano, testimonia come questo divario è certamente un freno per le donne che vogliono fare ricerca ma può fungere anche da sprono per le giovani ricercatrici.

“Gli ostacoli che ho trovato lungo il mio percorso sono stati enormi. Quando ho iniziato la specialità, i neurologi assunti erano solo uomini. Nei laboratori la ricerca la svolgevano le donne ma i direttori erano quasi sempre uomini. Oggi questo divario si è mitigato ma resta il problema della precarietà che limita la possibilità di costruirsi una vita familiare che vada in parallelo con la vita lavorativa e non in contrapposizione. Nonostante questo alle giovani ricercatrici dico di non mollare, bisogna coltivare i propri sogni e la ricerca è importante e gratificante per chi la fa e fondamentale per la comunità. Non bisogna avere paura di mostrare e far valere le proprie capacità, senza per questo rinunciare alla propria vita”.