Pier Paolo Pasolini, un delitto italiano e nessuna verità

Il 2 novembre del 1975 se ne andava, in riva al mare, uno uno dei più grandi artisti e intellettuali della storia italiana

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Sono passati anni da quella mattina di novembre, quella in cui un passante trovò il corpo massacrato di un uomo che giaceva sulla spiaggia dell’Idroscalo di Ostia. Quel corpo senza vita era quello di Pier Paolo Pasolini. Il poeta, lo scrittore, il regista, uno dei più straordinari e indimenticabili intellettuali italiani. Era stato picchiato barbaramente e travolto, più volte, dalla sua stessa auto.

Complotti e ipotesi, confessioni e negazioni. A distanza di 47 anni dall’omicidio avvenuto il 2 novembre del 1975 a Roma, nessuno sa la verità. Nessuno conosce i mandanti, gli esecutori e i colpevoli, né tanto meno i moventi.  C’è però una certezza, in tutta questa storia, ed è quella della morte. Barbara, efferata, inspiegabile. Quella che ci ha privato di uno dei più grandi e straordinari uomini del tempo. Quello più amato e odiato, quello eterno.

La sua fine è stata al tempo stesso simile alla sua opera e dissimile da lui. Simile perché egli ne aveva già descritto, nella sua opera, le modalità squallide e atroci, dissimile perché egli non era uno dei suoi personaggi, bensì una figura centrale della nostra cultura, un poeta che aveva segnato un’epoca, un regista geniale, un saggista inesauribile.
(Alberto Moravia)

Pier Paolo Pasolini

Non basterebbe un articolo, e neanche un solo libro, a descrivere la vita di un uomo come Pier Paolo Pasolini. Era unico, ribelle e folle, estremamente colto e intelligente, dissacrante. Lui era l’intellettuale per antonomasia. Un poeta, uno scrittore e un regista, uno sceneggiatore. Eclettico, versatile e brillante, impegnato socialmente e culturalmente. La sua figura ha generato rabbia, invidia e ammirazione. Perché era diverso dagli altri e uguale a nessuno.

Non si è mai omologato, Pier Paolo Pasolini. Al contrario si è ribellato a quella società che andava ogni giorno di più verso quella direzione. Indagava ed esplorava la realtà per poi raccontare la sua visione di vita. Nuda, cruda e senza fronzoli. Reale come lo era lui.

Lo fa con l’arte, con la scrittura e con la cultura. Si cimenta come romanziere, pittore e saggista. È anche giornalista. Usa tutti gli strumenti che ha a disposizione per raccontare il suo punto di vista, non senza creare polemiche, dibattiti e critiche. Perché Pasolini era radicale, sfrontato e non scendeva a compromessi. Non ha risparmiato niente e nessuno, ai borghesi, alla società consumistica nascente, ai giovani e agli adulti, al ’68 e ai suoi protagonisti.

Ma era anche l’uomo che amava, disperatamente. Colpevole solo di essere stato sincero, di essersi raccontato generosamente a una società che non era pronto ad accettare l’amore omosessuale. La stessa società che considera le relazioni tra persone dello stesso sesso viziose, sbagliate, malate.

Incompreso dagli altri, Pasolini ha vissuto così, controcorrente. Ha utilizzato ogni mezzo a sua disposizione per esprimersi. La poesia, che è stata la sua prima grande passione esplosa quando era solo un bambino, e poi con il giornalismo e la regia. Sì, Pasolini è stato un grandissimo regista cinematografico, ma anche quello più censurato del settore italiano.

Dotato di un grandissimo senso civico, Pasolini uomo di sinistra è andato anche contro il suo stesso partito portando avanti le sue idee, le sue opinioni le sue convinzioni.

Ed è stata questa estrema libertà di scegliere di essere se stesso che si è trasformata anche nella sua condanna. L’allontanamento dal partito, le querele e le denunce, i tentativi di censura delle sue opere. E poi quel giorno, quel maledetto giorno di novembre che gli è costato la vita.

Il moralista dice di no agli altri, l’uomo morale solo a se stesso.

Pier Paolo Pasolini
Fonte: Getty Images
Pier Paolo Pasolini

2 novembre 1975

Io so tutti questi nomi e so tutti questi fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che rimette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero.

Come una visione profetica, così appaiono le parole di Pier Paolo Pasolini scritte esattamente un anno prima della sua morte sul Corriere della Sera nell’articolo Che cos’è questo golpe.

La mattina del 3 novembre del 1975, infatti, il suo corpo senza vita viene ritrovato da un passante sulla spiaggia di Ostia, frazione di Roma. Chi è stato a uccidere lo scrittore? E perché? Sono queste le domande che corrono velocemente per tutta l’Italia, che non trovano risposta.

Pier Paolo Pasolini è stato ucciso la notte del 2 novembre in maniera brutale e spietata. È stato picchiato barbaramente e poi travolto più volte dalla sua stessa auto.

Le forze dell’ordine, però, hanno già un colpevole, si tratta del diciassettenne Giuseppe Pino Pelosi, uno dei Ragazzi di Vita, già noto alla polizia per piccoli crimini. Il ragazzo viene trovato alla guida dell’auto di Pasolini e viene portato in caserma. Sarà lui stesso a confessare un movente di tipo passionale.

Secondo la versione di Pelosi, infatti, tra i due sarebbe scoppiata una lite a causa di pretese sessuali che Pasolini avrebbe mosso nei confronti del minorenne. Richieste che sarebbero sfociate in una lite fatale. Eppure, sugli abiti di Pelosi, non verranno mai trovate delle tracce di sangue.

Ma la giustizia ha il suo colpevole, così il ragazzo viene condannato per omicidio volontario in concorso con altri ignoti. In molti sono convinti che ci sono ancora tante cose non dette, e non si sbagliano. Trent’anni dopo dall’omicidio di Pasolini, Pelosi ritratta la sua confessione ammettendo di non essere stato lui ad uccidere il suo amante, ma di aver mentito per tutti questi anni per non mettere a rischio la vita della sua famiglia. Arrivano, poi, nuovi testimoni.

Nel 2015, però, le nuove indagini vengono archiviate in maniera definitiva per mancanza di prove.

In questi lunghi 47 anni che ci separano da quel giorno di novembre c’è chi ha gridato al complotto, chi ha visto una matrice politica dietro l’assassinio, chi si è arreso alla sentenza per trovare una spiegazione, chi ancora indaga senza sosta alla ricerca di una verità mai emersa. L’unica certezza è che il 2 novembre del 1975 se ne andava, in riva al mare, uno uno dei più grandi artisti e intellettuali della storia italiana. E con lui anche i suoi carnefici.

Amo ferocemente, disperatamente la vita. E credo che questa ferocia, questa disperazione mi porteranno alla fine. Amo il sole, l’erba, la gioventù. L’amore per la vita è divenuto per me un vizio più micidiale della cocaina. Io divoro la mia esistenza con un appetito insaziabile.

 

Pier Paolo Pasolini
Fonte: Getty Images
Pier Paolo Pasolini