Paolo Belli: “Suonare con la band? Una figata pazzesca. Arisa? Il top”. E su Ballando…

Paolo Belli torna con l'album "La musica che ci gira intorno": a noi ha raccontato tutta l'emozione di suonare questi 13 brani. E l'augurio speciale a Mahmood e Blanco

Foto di Federica Cislaghi

Federica Cislaghi

Royal e Lifestyle Specialist

Dopo il dottorato in filosofia, decide di fare della scrittura una professione. Si specializza così nel raccontare la cronaca rosa, i vizi e le virtù dei Reali, i segreti del mondo dello spettacolo e della televisione.

Paolo Belli è tornato con un  nuovo album, La musica che ci gira intorno (PB Produzioni / Artist First), a 9 anni di distanza da ‘Sangue Blues’.  Un ritorno in grande stile per il musicista che si è “voluto fare un super regalo” per festeggiare i suoi 60 anni. Il disco contiene 13 canzoni di successo del panorama italiano in un arco temporale che va dalla fine degli anni Sessanta alla metà degli anni Novanta.

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Classe 1962, Paolo Belli è uno dei musicisti più amati della tv, colonna portante di Ballando sulle Stelle dal 2005. Il suo curriculum musicale è infinito, tre volte al Festival di Sanremo, vincitore del Festivalbar, numerosissimi dischi di successo, protagonista musicale di trasmissioni televisive famosissime. Mentre i tifosi della Juve se lo ricordano per l’inno ufficiale della loro squadra, Juve (storia di un grande amore). Ma non solo… Paolo è da sempre molto impegnato nella solidarietà, attraverso l’Associazione “ROCK NO WAR” e la FONDAZIONE TELETHON, per cui da oltre dieci anni conduce la maratona televisiva sulle reti RAI, oltre ad altre iniziative magari meno visibili, ma in grado di donare sollievo e contributi alle persone meno fortunate.

Il suo nuovo album è una vera chicca e vede la partecipazione del polistrumentista cubano Juan Carlos Albelo Zamora nei brani ‘Che sarà’ dei Ricchi e Poveri (1971) e ‘La prima cosa bella’ di Nicola di Bari e dei Ricchi e Poveri (1970); dell’attore Stefano Fresi in ‘Ma come fanno i marinai’ di Lucio Dalla e Francesco De Gregori (1978) e Arisa in Vorrei incontrarti tra cent’anni di Ron e Tosca (1996). Nella tracklist, L’italiano, successo di Toto Cutugno del 1983, ‘Natale’ di Francesco De Gregori (1978), La musica che gira intorno di Ivano Fossati (1983), La voce del silenzio, canzone presentata al Festival di Sanremo 1968 da Tony Del Monaco e Dionne Warwick, Futura di Lucio Dalla (1980), Viaggi e miraggi sempre di De Gregori (1992), Parlare con i limoni, perla di Enzo Iannacci del 1987, L’anno che verrà ancora di Dalla (1979) e ‘Va bè (se proprio te lo devo dire)’ di Vasco Rossi (1979).

La musica che ci gira intorno è il titolo del tuo nuovo album, 13 canzoni che hanno fatto la storia della musica italiana: come lei hai scelte?
Durante il lockdown, quando ero costretto a casa, mi sono reso conto di quanti artisti e maestri, alcuni dei quali ho conosciuto personalmente, mi abbiano influenzato. Poi come sai, intorno a me ho sempre una trentina di musicisti [si tratta della Big Band ndr], e tenerli buoni in quel periodo era difficile. Così facevo come i maestri di scuola, mandavo via mail i compiti che consistevano in questo: ascoltavo dei brani che mi piacevano particolarmente o che mi hanno influenzato e chiedevo di interpretarli a modo loro. E siccome il lockdown purtroppo è stato lungo, abbiamo preparato molte canzoni. Poi finito quel periodo, la prima cosa che mi sono detto è ‘tra poco tempo compirò gli anni, io ho sempre regalato tanto agli altri, e continuerò a farlo, ma nella vita mi devo fare un regalo adesso che sono sulla soglia dei 60 anni’. Così, ho voluto tutti i musicisti in studio per mettere in bella i temi svolti durante il lockdown. Questi 13 sono stati i primi, però ce ne sono tanti altri. La scelta è stata facile, abbiamo scelto i brani che siamo riusciti a preparare in minor tempo possibile. È stato un lavoro molto semplice ma fatto con grande stile, con l’orchestra. Adesso si riescono a fare i dischi in un giorno, mentre noi ci abbiamo messo dei mesi. Però, posso dirti, che non aspetteremo altri 60 anni per omaggiare i miei maestri e far lavorare i ragazzi [ride ndr], anche perché abbiamo già tanto materiale pronto.

Quanto è importante fare musica con un’orchestra?
Non solo è importante per il mio stile musicale, ma per me è proprio una questione di vita. Sono una persona che ha mille dubbi e mi faccio un miliardo di domande, specialmente quando sono da solo. Quando invece sono con gli altri, soprattutto con chi condivide la mia vita artistica, mi diventa tutto chiaro. Quindi ho capito che il mio modo migliore per vivere è stare con più gente possibile. Non solo è una questione artistica, ma anche umana, anche perché lavoro insieme ad alcune persone da 30 anni, abbiamo condiviso metà della nostra vita.

Paolo Belli
Fonte: Ila Scattina
Paolo Belli

A proposito di relazioni umane, suonerai quest’album dal vivo
Questa è la cosa che mi viene meglio. Di solito quando registro un album, poi ho sempre mille dubbi e vorrei tornare in studio e rifarlo. Con questo non è così. Non mi piace fare l’immodesto, ma sono proprio felice e sono convinto di aver fatto un buon lavoro. Dal vivo ho tutta la mia band attorno ed è un’altra cosa. Noi improvvisiamo molto e tutti i musicisti hanno una gran padronanza dello strumento e se proprio facciamo un errore, nessuno se ne accorge perché riusciamo ad aggirarlo [ride ndr]. È una figata pazzesca. A me piace ascoltare musica elettronica, lavorare coi dj, ma visto che sono uno dei pochi ancora che ha a disposizione una band, è un’altra cosa. Quando senti la pressione che ti viene da dietro, da tutti gli strumenti, è grandioso, è coinvolgente al massimo. È un po’ un ritorno agli anni Venti e Trenta, quando c’erano le grandi orchestre, ma senza scordarci che siamo nel 2022 e quindi ci devono essere anche elementi innovativi. In più dal vivo suono i brani che sono nel mio nuovo album e che sono patrimonio della nostra storia. Alcuni testi dicono delle cose molto profonde, altri brani sono più leggeri ma  comunque fanno parte di noi. Noi italiani non solo abbiamo inventato la musica, ma continuiamo a dare lustro a queste sette note.

Nell’album ti avvali di collaboratori d’eccellenza, come Arisa, Juan Carlos Albelo Zamora, Stefano Fresi: che cosa ti ha dato ognuno di loro?
Mi ha lusingato tanto avere queste collaborazioni nell’album. Io non sono uno che ‘tira la giacchetta’ e chiede. Qui è avvenuto il contrario. Un giorno ho incontrato Stefano Fresi e mi ha detto che gli sarebbe piaciuto collaborare con me. Gli ho spiegato che stavo lavorando a questo album e lui ha voluto ascoltare i brani. Quando ha sentito Come fanno i marinai mi ha subito detto: ‘Questa è la mia canzone’. E da lì è nato tutto.
Arisa invece quando è arrivata a Ballando con le Stelle, per me era solo una bella persona che partecipava allo show. Dopo qualche giorno è venuta da me dicendomi: ‘Paolo, a me piacerebbe cantare con te’. Anche a lei ho spiegato questo mio progetto e abbiamo deciso di incidere insieme Vorrei incontrarti tra cent’anni che avevamo già cantato insieme in un’edizione di Telethon. Tra l’altro, Arisa non solo ha dato lustro all’album, ma mi ha fatto da vocal coach, dandomi delle dritte importanti. Per me lei è il top e sapevo che ha una grande conoscenza musicale, ma non sapevo che avesse questa capacità di trasmettere così chiaramente aspetti più tecnici.
Juan Carlos Albelo Zamora è un musicista che collabora con me da anni. Casualmente a Ballando con le Stelle Milly Carlucci, che cerca sempre di alzare l’asticella, nella musica latin voleva provare qualcosa di nuovo. Così, un giorno dissi a Zamora che mi sarebbe piaciuto suonare qualcosa di Benny Moré, che negli anni Cinquanta è stato il Vasco Rossi cubano. Juan mi rivelò che suo padre aveva suonato con lui e mi ha fatto sentire vocalmente il suo stile. Da quel momento a Ballando è cambiato il modo di fare latin. Allora quando è venuto il momento di incidere Che sarà e La prima cosa bella, due brani che adoro, ho deciso di farli con lui con quello stile. Insomma volevo rimanere pop ma senza essere banale, facendo sentire quello che si faceva una volta.

Sei anche un amante delle nuove tendenze musicali: che cosa ne pensi di Mahmood e Blanco?
Faccio il tifo per loro e gli mando un grande in bocca al lupo per l’Eurovision. Il loro brano è bellissimo e chissà magari un giorno riuscirò a trovare il quid giusto per farlo jazzy. Anche perché riuscirebbero a tenere alto il talento italiano.

Visto anche il successo dei Maneskin lo scorso anno a Sanremo e all’Eurovision…
Su di loro ci avrei scommesso e avrei vinto. A me piace molto l’old style, però guardo al rock, guardo all’elettronica. Continuo ad ascoltare soprattutto i giovani, perché c’è tanto da imparare e quando ho ascoltato i Makeskin per la prima volta mi sono detto: ‘Qua ci siamo’.

Tu al Festival di Sanremo pensi un domani di tornare?
Se dovessi scrivere o trovare una canzone adatta, perché no. Solo che il Festival è sempre troppo vicino a Ballando, come produzione. Sai, io devo tanto ai miei musicisti e non posso dimenticare che per noi 10 settimane di televisione sono importanti. È vero che Sanremo, se va bene, ti permette di avere altro tempo per lavorare. Ma io vengo dalla cultura che è meglio aver avuto che avere da avere. Chissà, se dovesse arrivare la canzone giusta e mi fanno andare a Sanremo con tutta la mia band, allora sarebbe perfetto. Sognare non costa niente.

Stai già lavorando alla nuova edizione di Ballando con le Stelle?
Faccio i dovuti scongiuri [ride ndr]. Milly sì, a me è stato detto di non prendere impegni per il prossimo autunno, ma finché non sento la sua telefonata… Ballando è una cosa bella, questa domanda fammela tra due mesi quando avrò più certezze.

Tu sei molto impegnato nel sociale, cosa stai facendo con la tua associazione per l’Ucraina?
Noi aiutiamo tutti, ma in questo caso ci stiamo muovendo in una sola direzione, verso chi è stato aggredito. Fosse per me, ma credo per tutti, vorrei che si mettessero subito intorno al tavolo della pace. Ma finché questo non avviene, il mio pensiero è quello di aiutare chi sta subendo le violenze. Mai nella mia vita avrei immaginato di vedere una cosa del genere.

Paolo Belli
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