Sgozzata e bruciata a Daly City: Veronica De Nitto uccisa a 34 anni

Veronica De Nitto, 34 anni, assassinata nel 2021 in California. Il killer è latitante da 4 anni. La famiglia attende ancora giustizia

Foto di Irene Vella

Irene Vella

Giornalista, Storyteller, Writer e Speaker

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

Pubblicato: 19 Maggio 2025 08:52

“Mentre io davo la vita, lei veniva uccisa”: il grido di giustizia per Veronica De Nitto

Sono passati più di quattro anni da quella notte del 15 gennaio 2021. Una notte che per una donna ha significato la nascita della propria figlia, e per sua sorella la morte. Una morte violenta, barbara, senza giustizia. Veronica De Nitto aveva 34 anni quando è stata uccisa a Daly City, in California, città dove si era trasferita per lavorare e raggiungere la sorella. È stata sgozzata da un uomo che aveva frequentato, Renato Yedra-Briseno, che dopo l’omicidio ha dato fuoco all’appartamento per cancellare le tracce. Poi è scappato. Da quel momento, di lui si sono perse le tracce. Fuggito probabilmente in Messico, è oggi uno dei latitanti più ricercati dall’FBI e dai Marshall statunitensi. Intanto, la famiglia di Veronica continua ad aspettare giustizia.

Il padre Luigi non ha mai smesso di lottare, presente a ogni manifestazione, a ogni presidio, a ogni flash mob dove si ricorda il nome di sua figlia. L’ultimo, quasi un anno fa,  in piazza del Popolo a Latina, dove studenti e cittadini hanno fatto volare in cielo palloncini colorati per dire che Veronica non è solo una vittima, ma una storia che non può essere dimenticata.

Veronica era una ragazza solare, indipendente, con mille sogni, uno di questi era trasferirsi negli Stati Uniti, dove la sorella viveva già, lo ha fatto, con la voglia di ripartire, ma si è trovata in una relazione tossica, con un uomo che si è rivelato violento. Aveva perso il lavoro durante il Covid, si era reinventata, aveva trovato un impiego in macelleria. Lì aveva conosciuto Renato, una storia che sembrava solo un capitolo della sua nuova vita, ma che si è trasformata in un incubo. Veronica era rimasta incinta, ma aveva perso il bambino. Renato – secondo quanto confidato da lei al cognato – si era arrabbiato per quell’aborto spontaneo, lo voleva. Avevano già avuto litigi, la relazione era recente, instabile. Ma nulla faceva presagire quello che sarebbe accaduto. “Conoscendo mia sorella – racconta la sorella – non avrebbe mai portato avanti una gravidanza in una situazione così. Lui aveva un’ex moglie, due figli, e la loro relazione era già piena di tensioni”.

Il giorno del delitto, la sorella di Veronica stava partorendo. Era in sala parto. Mentre lei dava la vita, sua sorella veniva sgozzata. “Mi ha protetta fino alla fine – dice oggi – non voleva mai darmi pensieri, non mi raccontava tutto perché sapeva che ero fragile, stavo ancora elaborando il lutto di nostra madre”. Un delitto feroce. Un assassino in fuga. Una famiglia spezzata. E uno Stato che non c’è. Dopo più di quattro anni, il procedimento è fermo, le indagini statunitensi sono bloccate, le comunicazioni con la famiglia sono lente, incerte. L’Italia ha chiesto giustizia, ha chiesto assistenza legale per il padre, ma nessuno ha dato risposte.

Il dolore della famiglia De Nitto è aggravato anche dall’assurdo: per mesi i Marshall americani hanno seguito l’uomo sbagliato, convinti fosse Renato Yedra-Briseno. Se ne sono accorti solo all’ultimo, quando stavano per fare irruzione. Un errore che ha concesso altro tempo alla fuga di un assassino già avanti, un errore che lo rende ancora un uomo libero. Come è possibile che un femminicida internazionale, con una taglia sulla testa, sia ancora latitante? Come può una famiglia italiana sentirsi così abbandonata, in un caso che dovrebbe mobilitare le cancellerie di due continenti?

L’avvocata Virginia Dascanio si sta occupando del caso da due anni e ha preso contatti direttamente col procuratore distrettuale di San Francisco e con la Farnesina. “È impensabile che il Governo degli Stati Uniti d’America, la cui intelligence dispone notoriamente di mezzi investigativi sofisticati, dei quali non perde occasione di vantarsi, non siano ancora stati in grado di scoprire i movimenti di Yedra Briseno”.

Dascanio spiega che “il femminicidio di Veronica De Nitto è stato commesso con odio estremo e violenza da parte di un uomo che non ha saputo accettare la fine della relazione. La sera del femminicidio, Veronica lo aveva invitato a casa sua perché voleva lasciarlo, dopo che la relazione si era interrotta già una volta. L’assassino ha esercitato il proprio potere sul corpo della compagna per imprimervi il possesso. Dando fuoco all’appartamento poi, ha sfregiato l’ambiente manifestando la volontà di annullare non solo il corpo, ma ogni aspetto della donna. Quel modo di uccidere grida: ‘qui comando io, qui rivendico la mia forza’”.

Veronica De Nitto è diventata simbolo di un femminicidio senza giustizia, l’ennesimo, in una lunga lista dove le donne uccise contano solo se hanno un cognome famoso o se i riflettori restano accesi. Ma qui non si può spegnere nulla. Veronica è morta mentre sua nipote nasceva, e sua sorella, oggi, continua a parlare per due, perché nessun assassino merita l’oblio, e nessuna vittima l’indifferenza. Abbiamo parlato con la sorella di Veronica, Hilary.

Cosa ricordi di quella notte?
Ricordo tutto. Ricordo il parto, le contrazioni, il dolore, la gioia e poi il silenzio, quando me l’hanno detto, ho pensato che non potesse essere vero. Non riuscivo ad accettarlo. Io davo la vita, e lei la perdeva. Da allora non c’è pace. E ogni anno che passa senza giustizia è una nuova ferita.

Cosa vorresti che si sapesse di più su Veronica, al di là della tragedia?
Che Veronica era luce, anche nei momenti più bui. Aveva una forza interiore che si portava dietro fin da bambina. Era protettiva, generosa, sempre pronta a farsi in quattro per chi amava, non voleva mai pesare sugli altri, nemmeno quando stava male. Dopo la morte di nostra madre ha fatto di tutto per non farmi preoccupare, per non aggiungere dolore al dolore, ma dentro aveva un peso enorme. Il mondo ha bisogno di sapere che Veronica era molto più della vittima di un femminicidio: era una donna piena di sogni, che voleva solo vivere, amare, lavorare. E gliel’hanno tolto.

Quando hai capito che Veronica stava vivendo qualcosa di davvero difficile?
Dopo. Solo dopo. Veronica aveva questo modo di proteggermi sempre, anche da lontano. Non mi raccontava mai tutto, evitava di caricarmi con i suoi problemi, soprattutto da quando nostra madre non c’era più e io cercavo di restare forte per la mia famiglia e per la bambina che stavo per far nascere. Non voleva darmi pensieri. Aveva perso il lavoro, ma me lo aveva nascosto. Aveva perso un figlio, ma l’aveva detto solo a mio marito, in confidenza, la notte di Capodanno. Ha tenuto dentro tutto. Quando ci penso, mi rendo conto che cercava aiuto in silenzio. E forse noi, quel silenzio, non abbiamo saputo leggerlo abbastanza.

Dopo quattro anni, cosa ti aspetti ancora dalla giustizia? Italiana e americana
Mi aspetto che si parlino. Che collaborino. Che smettano di comportarsi come se fosse una questione lontana, o solo burocratica. Veronica è una cittadina italiana uccisa in modo brutale negli Stati Uniti da un uomo che è fuggito in Messico. E da allora, il nulla. Tre Paesi, zero risposte. Voglio che l’Italia non ci lasci soli, che pretenda risposte. Che aiuti mio padre ad avere assistenza legale negli Stati Uniti, che ci faccia essere parte di questo processo, che ci faccia sentire che qualcuno sta cercando l’assassino di mia sorella davvero. E agli Stati Uniti chiedo il massimo impegno. Veronica viveva lì, lavorava lì. È morta lì. Non possono dimenticarla. Non possono lasciarci in questo stallo infinito. La giustizia non può e non deve avere confini.