Manuela Murgia, morta a 16 anni: dopo 30 anni si riapre il caso

Scomparsa nel 1995, ritrovata morta a Tuvixeddu. Per anni fu suicidio, oggi si indaga su violenza e omicidio. La verità è vicina?

Foto di Irene Vella

Irene Vella

Giornalista, Storyteller, Writer e Speaker

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

Pubblicato: 9 Maggio 2025 10:25

Il 5 febbraio 1995 un corpo senza vita veniva ritrovato a Cagliari, nel canyon artificiale di Tuvixeddu, era quello di Manuela Murgia, 16 anni, scomparsa il giorno prima, quando uscì di casa per incontrare qualcuno, senza più farvi ritorno.  I suoi vestiti, i suoi sogni, e la sua giovinezza si fermarono quel giorno, ma la sua morte, archiviata come dubbia (questa terminologia si utilizza quando non si è riusciti a stabilire se si tratti di un omicidio o un suicidio), non ha mai smesso di fare rumore. La famiglia, gli amici, la comunità, sono stati testimoni di un silenzio che per anni ha coperto la verità, ma oggi, finalmente, qualcosa sta cambiando. La storia di Manuela, giovane ragazza con una vita davanti, è il simbolo di tutti quei casi in cui la giustizia sembra essere in attesa, come se le risposte dovessero emergere da una nuvola di incertezze.

Dopo quasi trent’anni, il caso di Manuela Murgia non è solo un ricordo sbiadito. La sua morte continua a pulsare nelle vite di chi l’ha conosciuta e amata. Per anni, la sua famiglia ha lottato contro il muro del silenzio. “Era un suicidio”, dissero. Ma Manuela non era una ragazza che si sarebbe tolta la vita. La sua morte non era una caduta dall’alto, un incidente. Manuela era una ragazza con una storia, con una sua verità. Le indagini si erano arenate, ma la determinazione della sua famiglia non si è mai spenta. Le sorelle Anna ed Elisabetta e il fratello Gioele non hanno mai creduto a quella versione, hanno sempre chiesto verità, sempre cercato una risposta.

Nel 2024, un nuovo tentativo. La famiglia si affida agli avvocati Giulia Lai e Bachisio Mele, che presentano una nuova istanza per riaprire il caso, portando con sé una consulenza del medico legale Roberto Demontis. Questa volta, le ipotesi non parlano più solo di suicidio. Si parla di un incidente stradale, ma non solo. Si parla di violenza, di un corpo trascinato, di un occultamento. La consulenza suggerisce che prima del tragico evento, Manuela possa essere stata vittima di violenza sessuale. Una verità che stava aspettando di essere svelata, una verità che la famiglia Murgia ha sempre cercato di far emergere.

E ora, una svolta. Dopo anni di silenzio, dopo anni di frustrazione, sono stati ritrovati gli abiti di Manuela, gli stessi vestiti che la ragazza indossava quando è scomparsa. Questo nuovo elemento potrebbe rivelarsi cruciale, gli indumenti potrebbero contenere tracce biologiche, segni di violenza, prove che mancavano allora e che oggi la scienza potrebbe portare alla luce. L’analisi forense potrà finalmente dire se il corpo di Manuela è stato spostato, se ci sono tracce di un’altra mano che ha inflitto dolore e ha cercato di nascondere la verità.

Il ritrovamento degli abiti di Manuela rappresenta un segnale di speranza. La sua famiglia non si è mai arresa, e oggi la sua battaglia continua. La morte di Manuela non è più solo un caso irrisolto. La riapertura delle indagini potrebbe finalmente restituire alla ragazza il volto della giustizia, quella che la sua famiglia ha sempre cercato, quella che per trent’anni è stata negata, potrebbe essere finalmente a portata di mano. Perché la verità ha sempre la forza di emergere, anche dopo il silenzio. Manuela non è più sola, e oggi la sua voce, attraverso la famiglia, grida ancora di più.

La speranza che la giustizia venga fatta per Manuela è viva. E, forse, finalmente, la verità che si nasconde dietro la sua morte, quel velo che ha tenuto in sospeso la sua storia per troppi anni, potrebbe essere sollevato. Non per dimenticare, ma per ricordare. Non per fare giustizia sul passato, ma per fare giustizia su una vita spezzata, su una ragazza che ha il diritto di essere ricordata con dignità.

Parla Gioele Murgia, fratello di Manuela: “Siamo la sua voce da trent’anni”

A nome delle sorelle Anna ed Elisabetta e dell’intera famiglia, Gioele Murgia ha scelto di raccontare la loro battaglia lunga trent’anni. Una lotta fatta di dolore, ostinazione e amore. Una battaglia che non si è mai fermata, neppure quando tutto sembrava perduto. Ora che il caso è stato ufficialmente riaperto, la speranza diventa finalmente concreta. Le sue parole sono cariche di forza, dignità e fede incrollabile nella verità.

Chi o cosa vi ha dato la forza, per trent’anni, di continuare a cercare la verità senza arrendervi mai?
La nostra forza nasce dal dolore e dalla consapevolezza di un’ingiustizia ancora irrisolta. Ma, più di tutto, è come se fosse Manuela stessa a chiederci di non arrenderci, di darle voce, di cercare ancora. È una presenza silenziosa ma potente, che ci spinge a non fermarci.

Quando avete saputo che i vestiti di Manuela erano stati ritrovati, qual è stato il primo pensiero che vi è passato per la mente?
Oggi siamo più vicini alla verità. Anche se il tempo passa, la speranza di ritrovarli non ci ha mai abbandonato. È una fiamma che continua a bruciare, alimentata dall’amore e dalla sete di giustizia.

Ma cosa era successo agli abiti, perché non si trovavano?
Gli abiti, quindi i reperti, non erano mai stati analizzati, e sono stati conservati nell’ istituto vecchio di medicina legale di Cagliari. Dove per altro venne effettuata l’autopsia. In quanto corpo di reato non ci furono mai restituiti. Ricordiamo che il caso era stato archiviato come morte dubbia. Nel 2012 ci dissero che i vestiti non si trovavano in quanto probabilmente persi durante il trasporto tra l’ex istituto di medicina legale a quello nuovo, ma solo come ipotesi. In realtà l’ex istituto di Via Porcella era  pericolante e quindi inagibile, e questo in realtà ha permesso agli abiti di restare ben conservati, e al sicuro.

Quali sono stati gli errori di valutazione più grandi fatti nel corso dell’indagine?
Con la prima archiviazione il pm non era certo del suicidio, infatti archivia anche con l’ipotesi di omicidio. L’errore più grossolano è stato quello autoptico che aveva stabilito, sebbene in termini probabilistici, che le lesioni fossero state determinate dalla precipitazione. In realtà dopo aver fatto effettuare una misurazione del costone roccioso abbiamo scoperto che erano 35 metri e non 20 come dissero all’epoca. In entrambi i casi le lesioni riscontrate sul corpo non erano compatibili con la precipitazione da grande altezza.

Pensate che questa volta riuscirete finalmente ad avere giustizia per Manuela?
La nostra priorità è continuare a lottare, con determinazione e dignità, affinché la verità venga finalmente alla luce. Crediamo di essere ormai vicini, sentiamo che qualcosa si sta muovendo. La verità è lì, e non smetteremo finché non sarà chiara a tutti. E oggi, più che mai, siamo la voce che Manuela non ha più. Abbiamo camminato per trent’anni dentro un dolore che non ha fatto rumore, ma che ci ha scolpiti nell’anima. Non chiediamo vendetta, chiediamo verità. Chiediamo giustizia per una ragazza di sedici anni che non ha avuto il tempo di diventare donna. E continueremo a cercarla, questa verità, finché il nome di Manuela non sarà più solo un ricordo, ma una storia finalmente riscritta con giustizia.

Mi chiamo Manuela Murgia. Avevo 16 anni. Mi hanno trovata morta, ma non hanno mai cercato davvero la verità.
Immaginate di avere una figlia adolescente. Sedici anni.
Immaginate che riesca a uscire di casa di nascosto, senza che ve ne accorgiate.
Nessun cellulare. Nessun GPS. Nessun tracciamento.
Immaginate che quella sia l’ultima volta che la vedete.
Perché non tornerà mai più.
Il 5 febbraio 1995 era una domenica.
Una giornata come tante, in una Cagliari qualunque.
Ma per la famiglia Murgia quella data è diventata una condanna a vita.
Manuela esce di casa e scompare.
Il giorno dopo, il 6 febbraio, il suo corpo viene ritrovato nel canyon di Tuvixeddu, una zona impervia e pericolosa, sotto un costone artificiale.
Quel corpo martoriato viene subito archiviato come suicidio.
Nonostante le ferite incompatibili.
Nonostante tutto gridasse un’altra verità.
Le indagini vengono chiuse troppo in fretta.
Il corpo spostato. Tre volte.
La scena del ritrovamento mai davvero protetta.
La tesi del suicidio va a braccetto con quella dell’omicidio, ma per gli inquirenti non ci sono piste, non ci sono prove.
E tutto finisce così.
Una ragazza morta. Nessun colpevole. Nessuna giustizia.
O almeno sarebbe finita così.
Se non fosse per una famiglia che non ha mai accettato il silenzio.
Un padre, una madre, due sorelle e un fratello: Anna, Elisabetta e Gioele.
Trent’anni a cercare risposte.
Trent’anni a scavare tra ricordi e omissioni, con un amore incrollabile e una sola missione: ridare dignità alla loro sorellina.
E forse quella sorellina un segno l’ha mandato davvero.
Dopo trent’anni, sono riapparsi i suoi abiti.
Quelli spariti nel nulla.
Quelli su cui potrebbe esserci il DNA dell’assassino.
Ora il caso è stato riaperto.
Grazie agli avvocati Giulia Lai e Bachisio Mele e alla nuova consulenza del medico legale Roberto Demontis, che smonta pezzo per pezzo l’ipotesi del suicidio.
Si parla di un possibile incidente stradale, ma soprattutto di violenza sessuale, di un corpo trascinato e nascosto. Di una morte taciuta.
Di una verità insabbiata.

I nuovi esami genetici saranno affidati al professor Giardina, lo stesso che ha seguito il caso di Yara Gambirasio. E in quella firma, in quel nome, c’è finalmente speranza. Perché ci sono famiglie che non smettono mai di amare, nemmeno quando la giustizia ha chiuso la porta. Nemmeno quando tutti hanno dimenticato. Questa è una di quelle famiglie. E questa è la storia di una ragazza di 16 anni che finalmente torna a farsi sentire. Dopo trent’anni. Con la voce spezzata di chi grida nel silenzio:

Mi hanno tolto la voce. Ma io sto continuando a parlare. I miei abiti sono stati ritrovati. E adesso chi mi ha uccisa verrà scoperto. Io avrò giustizia”.