Francesca Fioretti, enorme lezione di dignità (anche dopo la sentenza Astori)

Si è chiuso il processo per la morte di Davide Astori e ancora una volta Francesca Fioretti ci ha dato una lezione di compostezza

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Redazione

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Francesca Fioretti ha sempre preferito il silenzio alle parole, il dolore composto a quello urlato. Da quando Davide Astori è morto, da solo, in quella stanza d’albergo di Udine in cui si trovava con la sua squadra, la Fiorentina, per una trasferta, Francesca ha centellinato i commenti, vivendo in maniera totalmente privata quel terremoto che si è scatenato su di lei e la sua bambina, Vittoria.

Anche ora che il cerchio si chiude, con la sentenza che ha condannato il medico sportivo Giorgio Galanti, che all’epoca seguiva la società di calcio in cui giocava Davide, lei ha scelto la via della compostezza. Solo una dichiarazione, breve, fuori dal tribunale di Firenze: “Sono molto felice e orgogliosa che finalmente sia stata fatta giustizia a Davide – dice uscendo dall’aula – anche se sono molto dispiaciuta perché oggi lui poteva essere qui con noi. Spero vivamente che questa sentenza possa servire in futuro a salvare anche una sola vita umana”.

Si erano conosciuti nel 2013, lei reduce dal successo in tv, prima con la partecipazione al Grande Fratello, poi come attrice, lui calciatore stimato da tutti e difensore della nazionale italiana. A dispetto del solito clichè, però, avevano scelto di vivere la loro storia lontano dai riflettori, dalla mondanità e dalle riviste. Insieme avevano costruito passo passo una famiglia, allargata con la nascita di Vittoria nel 2016. Poi nel 2018 l’impensabile: la mattina del 4 marzo Davide viene trovato senza vita e il mondo di Francesca cambia all’improvviso.

Come si vive un dolore? O meglio, come si convive con un dolore? Quando una persona ti viene strappata via dall’oggi al domani, come si trova una nuova normalità senza di essa? Non esistono risposte a queste domande. Soprattutto, non esistono risposte giuste e risposte sbagliate. Ognuno sopravvive al lutto e reagisce a suo modo, giudicare e avere la pretesa – da fuori – di stabilire quali siano i sentimenti corretti da provare sarebbe sbagliato e ingiusto.

Francesca decide di viverlo come in fondo ha sempre vissuto la sua relazione con Davide, in modo intimo, privato. Ha deciso di aggrapparsi con tutta se stessa all’istinto materno, all’istinto di sopravvivenza per il bene della sua bambina. Negli anni le sue dichiarazioni non sono mai state intrise di rabbia o frustrazione, solo di amarezza.

“In questi anni ho sempre voluto evitare dichiarazioni pubbliche sulla morte di Davide e sul processo in corso – aveva scritto in un vecchio post su Instagram -. Ho sempre confidato che l’onestà e la pulizia che Davide ha dimostrato fuori e dentro il campo avrebbero portato a risposte altrettanto oneste e pulite. (…) Il processo in corso serve ad arrivare a una verità, che non sarà consolatoria in ogni caso: l’idea che la morte di Davide potesse essere evitata aumenta persino il dolore. Ma se esisteva anche la più piccola possibilità che avesse a disposizione un minuto in più, un’ora in più o la sua vita intera, io credo che quella possibilità dovesse essere esplorata, che lui meritasse di averla e che tutto ciò che l’ha ostacolata debba in caso venire alla luce. Per lui e per evitare che succeda di nuovo. Nutrivo molti dubbi sull’essere presente di persona alla prossima udienza, ora sento di dover essere lì, a dimostrare simbolicamente, con forza e senza rancore, che è solo in quell’aula che la verità potrà essere accertata, accettata e condivisa. Il passato e il futuro ci chiedono di essere coraggiosi”.

In quell’aula Francesca si è presentata sempre. Anche all’ultima udienza, quella in cui infine la verità è stata accertata e confermata dai giudici. Come ha più volte detto, non è una consolazione, anzi. Però è un punto, un punto di chiusura e di ripartenza. Non che il dolore da questo momento cessi di botto, rimarrà sempre lì in agguato.

“Come possiamo dare forma al sentire, quando il sentire è così reale, quando non esiste altro se non il modo in cui ti sta addosso, tra gli organi, nella mente, quando non esiste altro se non questo strato di pelle che è venuto via e ti fa percepire il mondo — i suoi odori, i colori, la luce, la modulazione del suono, la presenza fisica, la sua assenza — come mai lo hai sentito prima?”, scrive Francesca nell’introduzione del suo libro Io sono più amore, di cui il Corriere della sera ha pubblicato uno stralcio.

“Ho pensato spesso di scrivere la mia storia, la nostra storia. Tutte le volte che ci ho pensato, ho pensato che non avrei saputo da dove iniziare, come andare avanti, come finire. Non è solo perché le cose da dire non sono riducibili a un libro, né lo saranno mai, ma perché il modo — il verso — mi appariva sempre qualcosa di irraggiungibile”.

Che la scrittura sia in qualche modo terapeutica lo dicono in tanti e forse è stato così anche per lei, che ha cercato di rimettere insieme i pezzi e ha “imparato a fare, da sola, per me stessa, per Vittoria”.

Si è ritrovata da sola, a 33 anni e con una figlia di due. Avrebbe potuto andare nei vari programmi a gridare il suo dolore a chiedere giustizia, come in fondo fanno in tanti, anche non famosi. E invece Francesca ha sempre scelto di limitare le interviste, di affidare ogni tanto qualche pensiero a Instagram e di confidare nella giustizia, quella che si raggiunge nelle aule di tribunale e non nei salotti televisivi.

Anche ora che al suo fianco sembra esserci un nuovo amore, quello con il terzino dell’Inter Aleksandar Kolarov, lo vive nell’intimità della sua quotidianità, evitando le copertine e i titoli facili. Ciò che sente lo affida alle sue pagine, al suo modo di raccontare.

“Sarà un modo per vivere ancora una volta il distacco, per provare a liberarmi, a librarmi, per andare di nuovo a capo, e stare immobile, a contatto con la rinascita e il dolore – scrive – Sarà un modo per rendere giustizia a questa vita a cui chiedo tutto ancora con caparbietà, per trovare un posto al mio immenso amore”.

In cima ai suoi pensieri, come sempre, la sua bambina.

“Scrivo questo libro per tre persone e due sole ragioni: per Vittoria, per Davide, per me. Per non dimenticare mai nulla. Per vivere ancora”. La vita va avanti, Francesca lo sa e con enorme dignità lo ha insegnato a tutti noi.