Festa della mamma, ma serve un piano (serio) per aiutarle

Essere madri oggi è sempre più difficile e la pandemia ha peggiorato le cose: bisogna agire e ricordarsi di loro non solo nel giorno della loro festa

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Redazione

DiLei è il magazine femminile di Italiaonline lanciato a febbraio 2013, che parla a tutte le donne con occhi al 100% femminili.

È una festa della mamma insolita, dal retrogusto amaro, quella che si celebra in questo 2021 caratterizzato ancora dalla pandemia, che ha reso ancora più evidente – casomai ce ne fosse bisogno – tutti i limiti del nostro sistema economico.

Un sistema in cui le donne sono perennemente svantaggiate e lo sono soprattutto le madri, perenni equilibriste nel tentativo di conciliare lavoro, famiglia e gestione della casa. Un equilibrio talmente precario che la maggior parte di loro decide di mollare la carriera per occuparsi del resto.

E non c’è da stupirsi dunque se una fetta sempre maggiore di donne decide – al contrario – di non avere proprio figli per poter essere libere di inseguire i propri sogni professionali senza essere penalizzate.

A tratteggiare un quadro così desolante non siamo noi, lo dicono i numeri e le tante ricerche sul tema. Proprio nei giorni scorsi Save the children ha rilasciato una nota in cui si legge che “le mamme con figli minorenni in Italia sono poco più di 6 milioni e nell’anno della pandemia molte di loro sono state significativamente penalizzate nel mercato del lavoro, a causa del carico di lavoro domestico e di cura che hanno dovuto sostenere durante i periodi di chiusura dei servizi per l’infanzia e delle scuole”. E ancora: “Su 249 mila donne che nel corso del 2020 hanno perso il lavoro, ben 96 mila sono mamme con figli minori. Tra di loro, 4 su 5 hanno figli con meno di cinque anni: sono quelle mamme che a causa della necessità di seguire i bambini più piccoli, hanno dovuto rinunciare al lavoro o ne sono state espulse. D’altronde la quasi totalità – 90 mila su 96 mila – erano già occupate part-time prima della pandemia”.

I dati raccolti sono quelli del rapporto Istat “Il mercato del lavoro. Una lettura integrata”, del 12 marzo 2021, significativi a maggior ragione perché tengono conto del carico di un anno esatto di pandemia.

A spiegare lo svantaggio delle donne nel mercato del lavoro è soprattutto il forte impegno nelle attività di cura e le difficoltà di conciliazione fra tempi di vita e lavoro. Una situazione che aveva illustrato chiaramente a DiLei la Direttrice della Direzione centrale per le statistiche sociali e il welfare dell’Istat Cristina Freguja. Bastano pochi numeri a testimoniarlo chiaramente: nel 2019, prima ancora che la crisi ci investisse, il tasso di occupazione delle donne senza figli tra i 25 e i 49 anni era pari al 71,9%. Questo valore scendeva al 53,4% in presenza di un figlio in età prescolare e arrivava al 34,1% tra le donne del Sud”.

Da qui la scelta di rimandare la genitorialità o evitarla del tutto. Le donne non si sentono tutelate e soprattutto sanno di non avere strumenti a disposizione per aiutarle nella gestione quotidiana degli impegni.

“Nel solo 2019 le dimissioni o risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro di lavoratori padri e lavoratrici madri hanno riguardato 51.558 persone, ma oltre 7 provvedimenti su 10 (37.611, il 72,9%) riguardavano lavoratrici madri e nella maggior parte dei casi la motivazione alla base di questa scelta era la proprio la difficoltà di conciliare l’occupazione lavorativa con le esigenze dei figli: assenza di parenti di supporto, elevata incidenza dei costi di assistenza al neonato (asilo nido o baby sitter), mancato accoglimento al nido, le giustificazioni più ricorrenti”, si legge nella nota di Save the children, avvalorata da quanto ci aveva spiegato la dottoressa Freguja: “Nell’anno educativo 2018/2019, l’offerta di posti nei servizi educativi per la prima infanzia (25,5% dei bambini sotto i 3 anni) si conferma al di sotto del parametro fissato già nel 2002 dal Consiglio europeo di Barcellona (33%) che si sarebbe dovuto raggiungere entro il 2010 e in alcuni regioni del Sud scende a valori minimi attorno al 10%”.

Già vent’anni fa l’Eurispes definiva le donne lavoratrici delle “acrobate” per la loro capacità di barcamenarsi tra le difficoltà. Una definizione che ancora oggi è perfettamente calzante, purtroppo.

Per rispondere a questa domanda di assistenza, in assenza di un congruo numero di servizi di assistenza, stanno crescendo offerte alternative come gli asili nelle aziende per i figli dei dipendenti o i mini nido con “tate” le cosiddette “tagesmutter” che seguono piccoli gruppi di bambini in grandi appartamenti attrezzati diffusi, soprattutto, nelle grandi città e a livello regionale in Trentino Alto Adige.

“Questi dati ci dicono come non ci sia più altro tempo da perdere: sono necessarie scelte politiche che mirino alla costruzione senza più ritardi di un sistema di protezione, di garanzie e stimoli per superare una situazione che relega le madri unicamente alla cura dei figli e della casa. Il primo passo dovrebbe essere quello di introdurre un congedo di paternità obbligatorio, per tutti i lavoratori, di almeno 3 mesi e di creare un sistema integrato da zero a sei anni, che offra un servizio di qualità e gratuito in cui i bambini abbiano la possibilità di apprendere e di vivere contesti educativi necessari al loro sviluppo”, spiega Antonella Inverno, Responsabile Politiche per l’infanzia di Save the Children.

Per rispondere a questa necessità, nel Recovery Plan il governo ha previsto di creare 230mila nuovi posti negli asili nido entro il 2026 raddoppiando quelli attualmente disponibili per “dotare il Paese di una infrastruttura sociale con un servizio essenziale per le famiglie e l’occupazione femminile” secondo le stesse parole del premier Mario Draghi.

Un primo passo per aiutare le madri e per far sì che le si festeggi aiutandole ogni giorno, non solo ricordandosi delle loro difficoltà nel giorno della loro ricorrenza.