Ardea: Andrea Pignani l’assassino della villetta accanto

Sono le 11 ad Ardea, è il 13 giugno, potrebbe essere un giorno uguale agli altri, ed invece si trasforma in un incubo. Diventa il giorno della strage.

Foto di Irene Vella

Irene Vella

Giornalista televisiva

Scrive da sempre, raccogli emozioni e le trasforma in storie. Ha collaborato con ogni tipo di giornale. Ha fatto l'inviata per tutte le reti nazionali. È la giornalista che sussurra alle pasticcerie e alla primavera.

Sono le 11 di una domenica mattina ad Ardea, è il 13 giugno, fa caldo, le famiglie vanno al mare, quelle che possono, per le altre ci sono i parchi, le piste ciclabili. Potrebbe essere un giorno uguale agli altri, e invece nel giro di pochi istanti si trasforma in un incubo, una tragedia di così immense proporzioni che si fa fatica a pensare a qualcos’altro. C’è un uomo, un italiano di 34 anni, che nel mese di maggio ha ricevuto un TSO, un trattamento sanitario obbligatorio, dopo aver minacciato e rincorso la madre con un coltello. Si chiama Andrea Pignani, è un ingegnere disoccupato, non ha amici, vive rinchiuso, ha un piccolo cane, un Beagle, che pare non faccia nemmeno uscire in giardino, perché non sopporta la gente, non sopporta i rumori, non tollera i bambini e gli animali degli altri.

È conosciuto in zona perché ha già dato in escandescenza parecchie volte, minacciando i vicini, e quella mattina pare che a infastidirlo sia stata la potatura degli arbusti sotto casa. Già, perché quella pistola lui l’aveva tirata già fuori, la teneva nei pantaloni, in passato durante l’ennesima lite, si era alzato la maglietta mostrandola ai malcapitati di turno, ma nessuno era stato in grado di capire se fosse davvero un’arma o una scacciacani, tanto è vero che, e aggiungo purtroppo, non risultano denunce a suo carico, quelle che forse avrebbero potuto evitare quella che, a tutti gli effetti, sembra una una strage annunciata.

Oggi è il giorno dopo, e adesso tutti sanno che quella pistola era stata l’arma del padre, guardia giurata, morto lo scorso anno, eppure nessuno l’aveva “richiesta” indietro, addirittura pare che non fosse nemmeno stata segnalata la morte di quest’uomo, perché la prassi dovrebbe essere quella del ritiro, anche solo delle munizioni, agli eredi. A maggior ragione in questo caso, viste le condizioni in cui versava il Pignani. Ma adesso non serve. Perché il giorno dopo non serve più. Perché con quell’arma ieri il 35enne ha ucciso Daniel, 10 anni, che pedalava sulla sua bicicletta, David, 5 anni, che era sul monopattino, e il pensionato Salvatore Ranieri, 74 anni, che passava di lì in quel momento e non conosceva né il suo assassino né i fratellini e avrebbe provato in un ultimo disperato gesto di generosità a proteggerli.

Andrea Pignani poi si è suicidato dopo essersi barricato in casa. Una giornata normale che si trasforma in una domenica di sangue e morte. Ed io non riesco a smettere di pensare a quella madre che in un soffio di vento si è trovata orfana dei suoi figli, e a quel padre che si è visto strappare la vita di quei bambini mentre teneva loro la mano, e a quella nonna, che stava al parco con loro, e li guardava giocare con l’occhio della cura, quello che controlla, ma li lascia liberi di sbagliare e cadere.

No, non si può morire così, a trenta metri da casa, non si può trovare la morte in un parco, di domenica mattina, con il sole alto e il caldo che ti fa bruciare, ma che tu non senti, perché corri in bicicletta con il tuo fratellino accanto, sul suo monopattino, e poi in un secondo, non c’è più niente, non senti più la voce di tua nonna che ti chiama, la mano di tuo padre che stringe la tua, le lacrime di tua madre, non senti più nulla, perché un pazzo ha deciso così, ha deciso che dovevi morire quel giorno.

Perché il Pignani ha sparato per uccidere, alla testa e al cuore, e io penso al coraggio di Salvatore Ranieri, che non ha esitato un attimo a mettersi davanti ai bambini per provare a proteggerli con il suo corpo, e infatti è lui a morire per primo, ma il 35enne non si è fermato, colpendo i due piccoli senza un briciolo di humana pietas, senza un ripensamento, come se stesse giocando a un videogioco. E a poco serve il fatto che una volta compiuta la strage l’assassino si sia tolto la vita, lo ha fatto perché, nel suo delirio d’onnipotenza, forse, aveva capito di non avere nessun’altra via d’uscita, se non quella di decidere da solo anche della sua morte. Nessuno saprà mai i motivi reali di questo gesto e di questa strage, ma quello che fa più male è che forse queste morti potevano essere evitate, e forse ci sarà qualcuno con le mani sporche di sangue, pur non avendo premuto il grilletto, che nel silenzio delle sue stanze si sentirà in colpa e farà in modo tale che tragedie di questo genere non accadano più.

Perché come detto dal presidente del Consorzio Colle Romito Romano Catini: “Era arrivato qui da pochi mesi e da subito aveva creato problemi al consorzio. Alcune volte era già capitato che uscisse di casa e sparasse in aria. Avevamo segnalato la cosa ma non si era capito se avesse un’arma vera o una scacciacani. Io mi chiedo come uno così, uscito dal Cim (centro di igiene mentale) da poco tempo, potesse avere una pistola in casa.” E ce lo chiediamo anche noi.