Sally Kristen Ride, la prima astronauta statunitense a raggiungere lo spazio

Il racconto appassionante di una vera pioniera che ha osato sfidare l'astro-sessismo, lasciando un'eredità indelebile nella storia

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Sonia Surico

Content Editor e Storyteller

Laureata in Scienze della Comunicazione e con un Master in Seo Copywriting. Per lei, scrivere è un viaggio che unisce emozioni e conoscenza.

Negli ultimi tempi, il nostro cuore si è riempito di orgoglio per le incredibili imprese di Samantha Cristoforetti, la prima italiana ad aver fatto la storia nello spazio, diventando un simbolo di coraggio e forza tutta al femminile.

Tuttavia, prima di lei altre donne hanno sfidato la gravità e superato barriere invisibili, raggiungendo le stelle. Oggi vogliamo raccontarvi la storia di una di loro.

Il suo nome è Sally Ride, la prima statunitense che ha viaggiato in orbita, dimostrando una straordinaria determinazione. Una giovane pioniera che non ha solo infranto le barriere dell’atmosfera, ma anche quelle di genere.

Questa audace esploratrice ha lasciato un’importante eredità nel movimento femminista, riscrivendo le regole e sfidando le aspettative in un campo tradizionalmente dominato dagli uomini.

Sally Ride, la donna che ha conquistato le stelle

Nata il 26 maggio 1951 a Los Angeles, Sally Kristen Ride era una promettente giocatrice di tennis, prima di decidere di dedicare la sua vita alla scienza.

Nel 1977, stava concludendo il suo percorso accademico di dottorato in fisica presso l’Università di Stanford, quando un articolo apparso sul giornale studentesco attirò la sua attenzione: la NASA era alla ricerca di nuovi astronauti e, in un’innovativa svolta, stava accogliendo anche candidature femminili.

Sally Ride presentò immediatamente domanda e così, l’anno successivo, fu scelta come una delle sei donne tra un totale di 8.900 candidati che avevano risposto all’annuncio.

Dopo aver apportato un contributo significativo all’agenzia spaziale, sviluppando un braccio robotico per lo Space Shuttle, ebbe l’opportunità di partecipare a due missioni a bordo dello shuttle Challenger.

Il primo incarico fu per la STS-7 nel 1983, durante la quale Sally si distinse come la prima donna americana a viaggiare nello spazio. Il suo secondo volo avvenne nel 1984, sempre a bordo del Challenger. Purtroppo, la missione fu interrotta da un tragico disastro che colpì lo shuttle, il quale, distruggendosi subito dopo il lancio, mise definitivamente fine alla sua carriera di astronauta. Successivamente, Sally fu nominata membro della commissione d’inchiesta incaricata di indagare sulle cause dell’incidente.

Nel 1989, decise di lasciare la NASA, avviando una nuova fase della sua carriera come docente di fisica a tempo pieno presso l’Università di San Diego.

Nel 2001, fondò la “Sally Ride Science”, dedicata alla pubblicazione di riviste scientifiche per bambini e ragazzi, con l’obiettivo di stimolare la curiosità e l’interesse per la scienza nelle giovani menti. Ride stessa partecipò alla stesura di alcuni di questi materiali, mettendo a frutto la sua esperienza come astronauta e docente.

Sally Ride morì il 23 luglio 2012, all’età di soli 61 anni, in seguito a una lunga e dolorosa battaglia contro il cancro al pancreas.

“Astro-sessismo”: la lotta contro i pregiudizi e gli stereotipi

La disparità di genere è, ancora oggi, un problema persistente nel settore aerospaziale. Nonostante i progressi fatti negli ultimi 40 anni per dare maggiore visibilità e importanza alle donne nello spazio, stereotipi e meccanismi patriarcali continuano a esistere.

Prima degli anni ’70, la NASA era in effetti un’organizzazione esclusivamente maschile. Le donne erano largamente sottorappresentate e non venivano considerate per i voli spaziali.

Attualmente, uno dei problemi più rilevanti nell’ambito dell’astronautica riguarda la mancanza di tute appositamente progettate per le donne. La stessa Samantha Cristoforetti ha dovuto affrontare una passeggiata spaziale di sette ore, indossando una tuta molto più grande della sua taglia.

Negli anni ’60, invece, la NASA vietò la partecipazione delle donne nel programma Mercury a causa dell’errata convinzione che non fossero in grado di affrontare le sfide fisiche e mentali del volo spaziale. Nonostante tredici di loro, conosciute come le “Mercury 13“, avessero superato gli stessi test fisici degli uomini, la presenza femminile nel programma spaziale fu finalmente accettata solo nel 1978.

La questione della parità di genere nell’esplorazione spaziale è un argomento di grande attualità e importanza. Nonostante queste rappresentino solo il 20-22% dei lavoratori nel settore spaziale, ci sono segnali positivi che indicano una tendenza verso una maggiore equità di genere.

Recentemente, infatti, è stato annunciato che il primo equipaggio in missione verso Marte potrebbe essere composto interamente da donne. Questa decisione rappresenta un cambiamento significativo nel settore. L’inclusione di un equipaggio tutto al femminile non solo offre ulteriori opportunità alle donne altamente qualificate nel campo STEM, ma serve anche come un potente monito per le giovani ragazze di tutto il mondo, dimostrando che non esistono limiti al loro potenziale.