Era il 20 maggio del 2010 quando la conduttrice del TG1 diede le sue dimissioni dall’incarico che ricopriva da tempo. Non una scelta avventata, ma ponderata, ragionata ed estremamente professionale. Quasi obbligata, come la stessa Maria Luisa Busi ammise. La situazione era evidente a tutti, insofferente a molti: il direttore di allora, Augusto Minzolini, in seguito parlamentare di Berlusconi, aveva allontanato dalla redazione alcuni giornalisti che operavano in nome della deontologia professionale, e non del politico di turno.
Il clima era diventato irrespirabile. Così, Maria Luisa Busi, prese quella decisione, inviando una lettera al direttore e al Cdr che ha fatto la storia e che è diventata il simbolo audace della lotta al conformismo professionale. Ma chi è questa donna che ha avuto il coraggio di far sentire la propria voce?
Chi è Maria Luisa Busi
Maria Luisa Busi nasce il 24 marzo 1964 a Milano, ma cresce a Cagliari con la sua famiglia. Si appassiona alla scrittura e al giornalismo e, dopo la laurea, ottiene il tesserino di giornalista professionista. Entra in Rai dopo aver lavorato nell’emittente cagliaritana Sardegna Uno, conducendo il programma televisivo Unomattina, per poi ricoprire l’incarico nell’edizione principale della sera. Nel 2004 convola a nozze con il giornalista Riccardo Chartroux, dal matrimonio nasceranno due figlie: Beatrice e Luce.
Riservata e molto attenta alla sua privacy, la giornalista italiana si fa conoscere soprattutto per la sua grande professionalità. La sua carriera, infatti, decolla in pochi anni e il 12 ottobre del 2006, su idea del direttore Gianni Riotta, inaugura l’editoriale da studio intervenendo sul tema degli stupri, una novità in senso assoluto nella televisione pubblica.
All’apice della sua carriera, però, tutto sembra destinato a cambiare. È lei stessa, in un’intervista rilasciata a Repubblica, a raccontare che l’ambiente di lavoro in cui è cresciuta personalmente e professionalmente è dominato da un’aria “irrespirabile”: “C’è un clima insostenibile in redazione. Non c’è più la dialettica tra le varie sensibilità”.
Cosa è successo lo raccontano i quotidiani del tempo: nel marzo del 2010 il direttore Augusto Minzolini allontana i giornalisti Tiziana Ferrario, Paolo Di Giannantonio, Piero Damosso e Massimo De Strobel.
La Busi si schiera dalla loro parte parlando di rappresaglia e clima insostenibile. Rilascia interviste in qualità di sindacalista dato che è consigliera nazionale della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, ma questo non piace a chi sta ai vertici. Minzolini decide infatti di aprire un procedimento disciplinare nei suoi confronti.
Poche settimane dopo, la giornalista affiggerà nella bacheca della redazione del telegiornale una lettera di professionalità, coerenza e coraggio che che è passata alla storia, affermando di non voler essere più il volto del TG1. Nel novembre del 2010 pubblicherà il libro Brutte Notizie per raccontare la sua esperienza in Rai e di come la politica abbia influenzato il giornalismo italiano. Tornerà poi al TG1 su incarico del nuovo direttore Mario Orfeo, di cui diventerà vicedirettrice.
Il testo della lettera di Maria Luisa Busi
“Caro direttore
ti chiedo di essere sollevata dalla mansione di conduttrice dell’edizione delle 20 del Tg1, essendosi determinata una situazione che non mi consente di svolgere questo compito senza pregiudizio per le mie convinzioni professionali. Questa è per me una scelta difficile, ma obbligata. Considero la linea editoriale che hai voluto imprimere al giornale una sorta di dirottamento, a causa del quale il Tg1 rischia di schiantarsi contro una definitiva perdita di credibilità nei confronti dei telespettatori.
Amo questo giornale, dove lavoro da 21 anni. Perché è un grande giornale. E’ stato il giornale di Vespa, Frajese, Longhi, Morrione, Fava, Giuntella. Il giornale delle culture diverse, delle idee diverse. Le conteneva tutte, era questa la sua ricchezza. Era il loro giornale, il nostro giornale. Anche dei colleghi che hai rimosso dai loro incarichi e di molti altri qui dentro che sono stati emarginati. Questo è il giornale che ha sempre parlato a tutto il Paese. Il giornale degli italiani. Il giornale che ha dato voce a tutte le voci. Non è mai stato il giornale di una voce sola. Oggi l’informazione del Tg1 è un’informazione parziale e di parte. Dov’è il Paese reale? Dove sono le donne della vita reale? Quelle che devono aspettare mesi per una mammografia, se non possono pagarla? Quelle coi salari peggiori d’Europa, quelle che fanno fatica ogni giorno ad andare avanti perché negli asili nido non c’è posto per tutti i nostri figli? Devono farsi levare il sangue e morire per avere l’onore di un nostro titolo.
E dove sono le donne e gli uomini che hanno perso il lavoro? Un milione di persone, dietro alle quali ci sono le loro famiglie. Dove sono i giovani, per la prima volta con un futuro peggiore dei padri? E i quarantenni ancora precari, a 800 euro al mese, che non possono comprare neanche un divano, figuriamoci mettere al mondo un figlio? E dove sono i cassintegrati dell’Alitalia? Che fine hanno fatto? E le centinaia di aziende che chiudono e gli imprenditori del nord est che si tolgono la vita perchè falliti? Dov’è questa Italia che abbiamo il dovere di raccontare? Quell’Italia esiste. Ma il tg1 l’ha eliminata. Anche io compro la carta igienica per mia figlia che frequenta la prima elementare in una scuola pubblica. Ma la sera, nel Tg1 delle 20, diamo spazio solo ai ministri Gelmini e Brunetta che presentano il nuovo grande progetto per la digitalizzazione della scuola, compreso di lavagna interattiva multimediale.
L’Italia che vive una drammatica crisi sociale è finita nel binario morto della nostra indifferenza. Schiacciata tra un’informazione di parte – un editoriale sulla giustizia, uno contro i pentiti di mafia, un altro sull’inchiesta di Trani nel quale hai affermato di non essere indagato, smentito dai fatti il giorno dopo – e l’infotainment quotidiano: da quante volte occorre lavarsi le mani ogni giorno, alla caccia al coccodrillo nel lago, alle mutande antiscippo. Una scelta editoriale con la quale stiamo arricchendo le sceneggiature dei programmi di satira e impoverendo la nostra reputazione di primo giornale del servizio pubblico della più importante azienda culturale del Paese. Oltre che i cittadini, ne fanno le spese tanti bravi colleghi che potrebbero dedicarsi con maggiore soddisfazione a ben altre inchieste di più alto profilo e interesse generale”.
Un giornalista ha un unico strumento per difendere le proprie convinzioni professionali: levare al pezzo la propria firma. Un conduttore, una conduttrice, può soltanto levare la propria faccia, a questo punto. Nell’affidamento dei telespettatori è infatti al conduttore che viene ricollegata la notizia. E’ lui che ricopre primariamente il ruolo di garante del rapporto di fiducia che sussiste con i telespettatori.
Caro direttore, credo che occorra maggiore rispetto. Per le notizie, per il pubblico, per la verità.
Quello che nutro per la storia del Tg1, per la mia azienda, mi porta a questa decisione. Il rispetto per i telespettatori, nostri unici referenti. Dovremmo ricordarlo sempre. Anche tu ne avresti il dovere.