Demi Moore ha vinto il suo primo premio importante, un Golden Globe, a 62 anni, dopo 45 anni di carriera, tantissimi film di successo (soprattutto commerciale), anni bui di declino, lontana dalle scene, alle prese con le dipendenze dall’alcol e dalla droga e da relazioni tossiche, e la rinascita, personale e professionale, quando ha finalmente capito, come ha detto nel suo bellissimo discorso durante la consegna del premio come migliore attrice che “anche se non sarai mai abbastanza, puoi arrivare a riconoscere il tuo valore solo se smetti di misurarlo”.
Perché per tutta la vita Demi, diventata famosa giovanissima dopo una infanzia da film dell’orrore (chi ha letto la sua autobiografia Inside Out non può non averlo pensato: madre depressa e bipolare che lei bambina ha salvato dal suicidio, patrigno alcolizzato, uno stupro appena quindicenne da un “amico” di famiglia e la catarsi grazie al cinema) ha lottato per essere perfetta e “sempre abbastanza”: ha modellato i suo corpo con diete e allenamenti sfiancanti per aderire perfettamente ai ruoli (basti pensare a Striptease e Soldato Jane), ha inseguito il sogno della famiglia perfetta, per colmare il vuoto lasciato dalla sua e quando non c’è riuscita dopo il divorzio da Bruce Willis prima e dopo la fine della relazione diventata malata con Ashton Kutcher poi, ha anestetizzato le sue delusioni con alcol e droga.
Solo quando ha smesso di cercare di essere sempre perfetta, sempre abbastanza per il mondo, ha ritrovato l’equilibrio, l’amore delle sue figlie (con le quali non ha parlato per anni e che adesso sono le sue prime fan) ed è rinata. Privatamente e professionalmente. Quando se ne è fregata di non essere abbastanza per gli altri, e ha smesso di misurare il suo corpo, il suo valore, ha ritrovato la felicità.
Curioso che proprio con un film horror come The Substance, che parla del desiderio e di eterna giovinezza fama e bellezza, quello che è stato l’ossessione di Demi fino a metà della sua vita, le abbia fatto guadagnare il suo primo riconoscimento importante. E le sue figlie, che dopo anni di allontanamento ora vivono insieme (con i rispettivi compagni e figli) al lei nel ranch dell’Idaho che è diventato il loro nido d’amore, erano incollato davanti alla tv a fare il tifo ed esultare alla notizia della sua vittoria, riempiendola di complimenti e testimonianze di stima, per quella mamma che si è (e hanno) finalmente ritrovato.
Demi Moore è l’esempio più bello ad Hollywood – insieme ad un’altra ex bomba sexy anni ’90, considerata da tutti bambolona senza testa e che oggi, a 60 anni, è candidata agli Oscar: Pamela Anderson – di come non sempre dopo il declino debba esserci l’oblio definitivo. Qualche volta, grazie all’amore (per la famiglia e soprattutto per se stessi), all’accettazione serena del tempo che passa, come ha fatto Pam ci si salva e si torna a brillare, anche meglio di prima.
Trent’anni fa un produttore mi disse che ero un’attrice da popcorn e mi fecero capire che potevo fare film di successo, che rendevano un sacco di soldi, ma non potevo avere un riconoscimento. L’ho accettato e mi ero convinta che una cosa del genere non potesse capitarmi. Che potevo fare film di successo ma che non avrei mai ricevuto un premio. Avevo fatto mia quell’idea e ci credevo. Questa cosa mi ha corroso nel tempo, fino a quando, qualche anno fa, ho pensato che ero arrivata al capolinea, che forse avevo fatto tutto ciò che dovevo fare. In quei momenti in cui pensiamo di non essere abbastanza intelligenti o belle o magre o di successo o, semplicemente, che non siamo abbastanza, io ricordo le parole di una donna che ho incontrato: «Ricordati che non sarai mai abbastanza, ma puoi arrivare a riconoscere il tuo valore solo se smetti di misurarlo