Gianluca Grignani, dopo la sua partecipazione a Sanremo, che ha suscitato non poche polemiche per la sua esibizione “sopra le righe” e il suo stato apparentemente alterato, da alcuni criticato duramente, da altri difeso a suon di “smettiamola di attaccarlo per i soliti motivi e lasciamogli fare quello che sa fare meglio: suonare”. Che Gianluca sia passato attraverso un inferno personale non è mistero, che stia cercando, e abbia voglia, di lasciarsi il passato doloroso alle spalle, lo ha fatto capire chiaramente.
“Onestamente di tutto questo poco mi importa – aveva replicato sin un’intervista a Chi – preferisco vivere e suonare. Dopo il Festival sono rientrato a casa e ho ricominciato a fare musica. Hanno scritto che sembravo gonfio? Sono stato oggetto di body shaming? Caz** loro. A me non frega nulla. Avevo preso del cortisone perché avevo un calo di voce tremendo. Però le dico una cosa: sono un figo pazzesco”
E dal palco delle Iene, durante la puntata di mercoledì 27 aprile, visibilmente emozionato, si è messo a nudo, confessando le dipendenze del passato, alcol e droga, raccontando del suo grido di dolore, lanciato più volte e raccolto solo ora dalla nuova generazione, quella definita Z ma da lui ribattezzata V come vittoria, la generazione dell’inclusività, del cambiamento, della speranza per un futuro di cambiamento, di libertà e uguaglianza. La generazione che sarà in grado di scrivere un finale diverso e migliore.
La bottiglia di vodka volteggia nella mia mano lungo il soppalco della villa che si affaccia sulla collina di vigneti. Indosso una vestaglia blu. La sostanza è nascosta sapientemente in bagno: ogni tanto la vado a trovare, per non cedere a qualcosa che neanche io so cosa è. L’alcol non fa effetto, non mi calma. Sono solo. Lo spazio che separa il soppalco dal pavimento è come la caduta dalla cima dell’Everest al fondo della Fossa delle Marianne.
Il mio cervello srotola immagini e pensieri in quest’ordine: padre, madre, figli, lavoro, amici. Mi sento cadere, ma il mio corpo è ancora lì. Fermo. Immobile. Grido: “La mia vita per un motivo…aiuto!”. Questo è un episodio della mia vita, mi sono messo a nudo, vi ho raccontato quello che ho lasciato alle spalle. Spero così di aver guadagnato la vostra fiducia in quanto a sincerità.
Permettetemi quindi, ora, di dirvi quello che penso del futuro, partendo da una massima che è da un po’ che tenevo nel fondo di un cassetto: “Non date mai ad un poeta in mano una chitarra, vi racconterebbe quello che i poeti nascondono in fondo al fiume della tristezza e il resto del mondo potrebbe scambiarlo per un grido di guerra”.
Ecco questi siamo noi: il resto del mondo, confusi, influenzabili, incapaci di distinguere il bene dal male, passati anche attraverso una pandemia: alieni che non si riconoscono gli uni dagli altri. Poi c’è la generazione Z, che io ho ribattezzato V, come vittoria. Quella che io identifico come la mano tesa al mio grido: “La mia vita per un motivo”.
Quelli che non hanno mai avuto bisogno dei libri perché hanno sempre avuto un computer, quelli che per loro è normale che il telefono faccia tutto tranne il caffè. Loro, che vengono indicati come la generazione dispersa, che non ha radici, invece è la prima che non è stata educata al motto “mors tua vita mea”, che non crede che tutto sia lecito se la vittoria è di uno solo, se vince il più forte.
È la generazione dell’inclusività, capace di rendere tutti uguali nelle differenze, la generazione del cambiamento, la mano del futuro. E da musicista voglio immaginare per loro e per tutti noi un finale diverso di una canzone famosissima Hotel California degli Eagles.
In questo finale, anziché rimanere incastrati in un futuro senza immaginazione come nella versione originale, ci troveremo tutti, nessuno escluso, di nuovo nel deserto, liberi, ma con l’orizzonte davanti e con un inferno di fuoco ormai alle spalle. Ecco il mio augurio: un finale diverso e non un miraggio, una nuova Hotel California.