Cesare Cremonini: “La mia schizofrenia. E come l’ho sconfitta”

Cesare Cremonini racconta il demone che per tanto tempo ha avuto dentro di sé, quando è riuscito a dargli un nome (“Schizofrenia”) e come è riuscito a sconfiggerlo

Foto di DiLei

DiLei

Redazione

DiLei è il magazine femminile di Italiaonline lanciato a febbraio 2013, che parla a tutte le donne con occhi al 100% femminili.

Pubblicato: 30 Novembre 2020 12:26

Cesare Cremonini si racconta. E soprattutto racconta di quel mostro che per anni ha avuto dentro di sé, di quando è finalmente riuscito a dargli un nome ( “Schizofrenia”) e di come l’abbia alla fine sconfitto. Anche se ogni tanto lo sente ancora parlare sottovoce, ma come gli disse il suo psichiatra Let them talk lasciali parlare.

È infatti questo il titolo del suo libro autobiografico in uscita il primo dicembre 2020. E in una intervista rilasciata al Corriere della Sera il cantante ripercorre i suoi anni più difficili.

Cesare racconta di come dallo psichiatra ci finì quasi per caso, per accompagnare una persona. “Poi gli raccontai di me, di quel che provavo. I sintomi crescenti”

La sensazione fisica di avere dentro di me una figura a me estranea. Quasi ogni giorno, sempre più spesso, sentivo un mostro premere contro il petto, salire alla gola. Mi pareva quasi di vederlo. E lo psichiatra me lo fece vedere. L’immagine si trova anche su Internet. “È questo?”, mi chiese. Era quello

Braccia corte e appuntite, gambe ruvide e pelose. La diagnosi era: schizofrenia. Percepita dalla vittima come un’allucinazione che viene dall’interno. Un essere deforme che si aggira nel subconscio come se fosse casa sua

Cremonini ha raccontato di come arrivasse da un periodo buio, di ossessione per la musica, che l’aveva portato a vivere recluso in studio, senza aver più cura di sé stesso, cibandosi solo di pizza.  “Superai i cento chili. Non facevo più l’amore, se non da ubriaco. Avevo smesso qualsiasi attività fisica”.

Ma l’incontro con lo psichiatra fu la svolta:

Lo psichiatra mi chiese cosa mi faceva sentire meglio. Risposi: camminare. Non lavorare; il lavoro era la causa. La cura era camminare. Ho camminato per centinaia di chilometri. Ho scoperto i sentieri di collina. E mi sono ribellato all’eccesso di attenzione per tutto quel che proviamo, all’idea impossibile di poter esprimere ogni cosa, di comunicare questa slavina di emozioni da cui siamo colpiti

Oggi Cesare sta bene, è innamorato, ma confessa di sentire ogni tanto, ancora, il mostro borbottare dentro di sé.

Quando sento il mostro borbottare, mi rimetto in cammino. Su una collina, in montagna. Sono tornato dallo psichiatra alla fine del primo tour negli stadi. Mi ha chiesto se vedevo ancora i mostri. Gli ho risposto di no, ma che ogni tanto li sento chiacchierare. E lui: “Let them talk”…