“Quello che siamo non si spiega”. Roberto Benigni ha pensato a Il Sogno come un sogno collettivo. Ci ha guidati in punta di piedi dietro al suo ragionamento, dietro alle sue riflessioni, dietro a un sogno che inizia da una parola: Europa. Ma è anche il sogno di un mondo dove non c’è spazio per l’odio, dove c’è rispetto. Un lungo monologo in cui non ci sono state pause, non ci sono stati stop: la dialettica di Benigni è un regalo, che lui ha fatto a tutti noi, ricordandoci che ancora oggi la televisione è il mezzo più potente. Se usato nel modo giusto.
Roberto Benigni, la dialettica di un maestro. Magistrale
“Il pubblico italiano è il più allegro e generoso del mondo”. Guidare uno spettacolo da solo, sul palco, per ore, senza pause praticamente, non solo non è da tutti, ma forse sono proprio poche le persone nel mondo che possono davvero farcela. Inoltre – lo ricordiamo – Il Sogno è stato mandato in Eurovisione. In diretta. Uno spettacolo a memoria, con una dialettica che lascia inermi. Disarmati, per riprendere le parole di Papa Francesco che ha citato a inizio spettacolo. Con tante riflessioni da portare con noi.
L’argomento centrale? L’Europa, il vento del momento, l’instabilità, le difficoltà oggettive, ma anche un profondo amore verso l’Italia e gli italiani. “Amo l’Italia come la mia mamma”, ha detto Roberto Benigni, senza fermarsi. “Non c’è nessuno al mondo più orgoglioso di me di essere italiano, nato sotto il sorriso del cielo italiano. Il luogo dove si vive davvero. Amo lo stile di vita italiano, ma non ho intenzione di imporlo agli altri. Il patriottismo deve tenere uniti patria e umanità. Sono contento di essere nato nell’Italia di oggi dove si può dire tutto”. E ha continuato così, per ore, senza gobbo, senza nemmeno un bicchiere d’acqua e un unico colpo di tosse.
La televisione come un lungo sogno senza interruzioni. Voto: 8
Come essere a teatro. Ma anche come vivere un sogno a occhi aperti: la televisione, il mezzo più potente di comunicazione che esista, trasformato in un palco che ci porta in un sogno. Quello di un’Europa unita. Un inno alla nostra cultura, che però non è la sola al mondo, come ha detto Benigni: anche in Europa, un continente “piccolo”, sono accadute cose terribili. “Ne abbiamo fatte anche di belle e spesso ce lo dimentichiamo, è giusto ricordarsi chi siamo”. Poi, però, alla fine dello spettacolo il sogno è finito: ci siamo svegliati nella realtà. Con una presa di coscienza: finché c’è il sogno, c’è libertà. Di sognare e immaginare, magari un mondo più unito, di certo un mondo migliore.
Il ricordo di Massimo Troisi. Voto: 10+
“Pensate se ci fossero stati i dazi tra Lazio e Toscana. Alt, chi siete, dove andate, cosa portate? Sì ma quanti siete? Un fiorino! Quanto ci siamo divertiti a fare questa scena con Troisi. Massimo…”. Quasi la voce rotta dalla commozione, per un momento che è destinato a passare alla storia e che tocca il tema spinoso dei dazi di Donald Trump. Ma Benigni la racconta citando una scena memorabile, quella del film Non ci resta che piangere con Massimo Troisi, del 1984. Un momento molto apprezzato e profondamente emozionante. Magistrale.