Insonnia e depressione, cosa le lega. E come affrontare la “doppia” patologia

Esiste uno stretto rapporto tra i disturbi del sonno e stati psichici come ansia e depressione. Come intervenire e le cure disponibili

Foto di Federico Mereta

Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Pubblicato: 23 Gennaio 2025 16:02

Qualcuno, per definire le forme più serie di insonnia, ha parlato di malattia delle 24 ore. Perché chi dorme poco e male, quindi ha un sonno insoddisfacente per quantità e qualità, rischia di più di sentirsi stanco, irritabile e poco reattivo durante la giornata.

Ora però ci sono spiegazioni scientifiche che confermano non solo questi dati, ma anche lo stretto rapporto tra il sonno insufficiente e condizioni psichiche come ansia, depressione e disturbo bipolare. Alla base di sarebbero meccanismi simili, e spesso condivisi. La ricerca mette a disposizione nuovi ritrovati mirati, che vanno però gestiti con grande attenzione.

La Società Italiana di Nuropsicofarmacologia (Sinpf) si è fatta promotrice di una importante iniziativa che ha visto coinvolti importanti specialisti in neuropsicofarmacologia e in medicina del sonno, nazionali e internazionali, volta alla creazione del primo documento di consensus sull’argomento in Italia ed Europa che punta ad aiutare il clinico nella pratica quotidiana.

Il lavoro preliminare, presentato in occasione del congresso nazionale della Società di Neuro Psico Farmacologia (Sinpf), in corso a Milano, si basa sui dati più aggiornati della letteratura e fornisce delle indicazioni importanti su come ridurre, modificare e cambiare i farmaci per l’insonnia quando si renda necessario. La ricerca è in corso di pubblicazione sulla rivista Sleep Medicine.

Il filo rosso che unisce insonnia e depressione

Le due condizioni possono essere spesso associate, anche perché alla base ci sono meccanismi che si intersecano e sostanzialmente sono simili. Ma facciamo chiarezza.

“Si definisce insonnia l’insoddisfazione per la quantità o la qualità del sonno, associata alla difficoltà nell’iniziare e mantenere il sonno da almeno 3 mesi – spiega Claudio Mencacci, direttore emerito di psichiatria all’ospedale Fatebenefratelli di Milano e co-presidente Sinpf –. Questo risulta pertanto perturbato da frequenti risvegli o da problemi di riaddormentamento dopo i risvegli, con un conseguente impatto sulle ore diurne: sonnolenza, iperattività e un generale peggioramento della qualità della vita sono le conseguenze più evidenti.

Oltre un terzo della popolazione mondiale è colpita da insonnia e/o da disturbi del sonno, il 20% in Italia, in molti casi in forma cronica: sintomi persistenti nell’80% dei casi dopo 1 anno dalla diagnosi e nel 60% dei casi a 5 anni”.

Le ‘notti bianche’ possono essere ulteriormente aggravate dalla copresenza di possibili disturbi psichiatrici o psicoemotivi, in prevalenza depressione e ansia. “Molti disturbi del sonno, in particolare l’insonnia, si presentano frequentemente in comorbilità con ansia, depressione e disturbo bipolare, instaurando una relazione bidirezionale che amplifica la sofferenza del paziente – aggiunge Matteo Balestrieri, già Ordinario di Psichiatria all’Università di Udine e co-presidente della SINPF .

L’insonnia non è solo un sintomo ma può anche agire come un precursore o fattore scatenante di disturbi psichiatrici. Studi clinici hanno evidenziato che l’insorgenza di insonnia aumenta significativamente il rischio di sviluppare, nel breve termine, condizioni come depressione maggiore o disturbi d’ansia. Questo la rende un fattore predittivo e perciò importante campanello d’allarme in ambito clinico”.

Per questo tecniche come la terapia cognitivo-comportamentale per l’insonnia modifiche dello stile di vita e interventi farmacologici mirati (i DORA, le BDZ e le Z-drugs) possono non solo migliorare la qualità del sonno ma anche influenzare positivamente l’andamento e la prognosi dei disturbi mentali associati. “Integrare il trattamento dei disturbi del sonno nei piani terapeutici di pazienti con disturbi psichiatrici può quindi offrire un beneficio bidirezionale, migliorando il benessere complessivo e riducendo il rischio di ricadute o cronicizzazione della malattia mentale”, sottolineano Mencacci e Balestrieri.

Meccanismi comuni e terapie mirate

Poiché condividono meccanismi patogenetici simili, in alcuni casi è possibile contrastare il malessere psicologico e le difficoltà nel sonno con un’unica strategia terapeutica o magari con un unico farmaco antagonista in grado di agire sull’orexina.

Questo è infatti uno dei principali neurotrasmettitori che agisce sul sonno, bloccando la sua attività sui due recettori più importanti. Tuttavia, l’aggiunta di un antagonista come daridorexant ad un trattamento in corso, o lo ‘switch’ da un altro farmaco, può avere delle conseguenze, e per questo i cambiamenti terapeutici devono essere graduali e seguire specifici accorgimenti.

“Il trattamento dell’insonnia con un farmaco regolatore dell’orexina potrebbe avere un ruolo importante anche in psicopatologia – aggiunge Laura Palagini, psichiatra e responsabile dell’ambulatorio per il trattamento dei disturbi del sonno dell’AUO di Pisa . Per questo sono stati condotti alcuni studi naturalistici in pazienti con disturbi d’ansia, depressivi bipolari e unipolari, e in pazienti con disturbo da uso di ipnotici-sedativi che hanno dimostrato che l’uso di daridorexant può migliorare non solo i sintomi di insonnia ma anche d’ansia e dell’umore permettendo la riduzione dei farmaci ipnotico sedativi”.

Attenzione però. Il percorso “comune” va seguito sempre da un esperto, soprattutto se si deve lasciare un precedente trattamento, oppure passare da una terapia ad un’altra, o, infine, come combinare i farmaci attualmente consigliati per il trattamento dell’insonnia.

La sospensione di farmaci ipnotico-sedativi richiede specifici accorgimenti – spiega Palagini – e una riduzione graduale in associazione con terapie cognitive (CBT_I), con altre recenti terapie farmacologiche (farmaci come i DORA, o gli agonisti della melatonina o i modulatori del gaba). Questo può aiutare il clinico e il paziente nei processi di cura e regolarizzazione di un buon sonno”.