Cheratocono: cos’è, come si riconosce e chi è più a rischio

Il cheratocono è una patologia degenerativa della cornea che si manifesta tipicamente nell'adolescenza e progredisce fino ai 35-40 anni

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Non pensate che le malattie dell’occhio interessino solamente chi è avanti con gli anni. Ci sono quadri che possono comparire anche negli adolescenti e poi proseguire in giovane età. Un esempio? Il cheratocono, patologia degenerativa dell’occhio che si manifesta tipicamente nell’adolescenza e progredisce fino ai 35-40 anni. Ogni anno in Italia circa mille ragazzi si sottopongono ad un intervento per questa condizione che colpisce la cornea.

Cosa succede

La malattia porta ad una minore rigidità strutturale della cornea, che consiste in un progressivo sfiancamento del tessuto che si assottiglia e si deforma assumendo la forma assimilabile ad un cono e compromettendo la vista. In genere colpisce entrambi gli occhi, anche se spesso in misura diversa.

Con il progredire della malattia la visione diventa progressivamente più sfocata e non sempre è migliorabile con gli occhiali, mentre negli stadi più avanzati spesso è necessario ricorrere ad un intervento chirurgico perché il deficit visivo è fortemente invalidante e difficilmente correggibile con le lenti a contatto.

Si stima che ne sia affetto 1 abitante ogni 1.500, per questo è considerato una malattia rara, ma i casi di alterazioni riconducibili al cheratocono sono almeno il doppio. A citare queste cifre sono gli esperti dell’Associazione Italiana dei Medici Oculisti (AIMO), tra cui Romina Fasciani, dell’Unità operativa complessa di Oculistica della Fondazione Policlinico universitario IRCCS Agostino Gemelli di Roma e membro del consiglio direttivo di AIMO.

“Il cheratocono è una patologia degenerativa della cornea che si manifesta prevalentemente nei giovani, ma può colpire anche i bambini – ha spiegato la Fasciani.  L’età media di insorgenza è intorno ai 15/16 anni e la malattia evolve fino ai 35-40 anni, quando per fortuna si arresta perché la cornea va incontro ad un cross linking fisiologico legato all’invecchiamento del tessuto. Ma i ragazzi nel frattempo vivono un vero e proprio dramma legato a questa patologia, perché ad essere inficiata è tutta la loro vita adolescenziale. Chi ne è affetto deve spesso necessariamente ricorrere all’uso di lenti a contatto rigide oppure ad occhiali, ma nei casi più gravi si è costretti a sottoporsi ad un trapianto di cornea per tornare a vedere in maniera efficace”.

Per fortuna, però, il trapianto è considerato dagli esperti l’”ultima spiaggia” ed esistono altre modalità di approccio “che vanno appunto dalle lenti a contatto all’utilizzo di occhiali, oppure alcuni interventi meno invasivi come quello dell’impianto di segmenti intracorneali ha spiegato Fasciani- che consiste nell’inserimento di anelli capaci di regolarizzare la cornea, permettendo così ai ragazzi di vedere meglio”.

Attenzione alla diagnosi precoce

Grazie all’introduzione della procedura di cross-linking corneale, oggi si riesce ad impedire che il cheratocono evolva in maniera tale da rendere complessa la “vita visiva”, ma anche di normale relazione e scolarizzazione, di questi ragazzi e poi giovani adulti che ne sono colpiti.

“Se riusciamo ad intervenire presto, prima che le alterazioni legate alla patologia, che sono una deformazione o un assottigliamento della cornea (che genericamente è debole) – segnala la Fasciani. riusciamo ad evitare il progredire della malattia. Per cui è fondamentale fare una diagnosi precoce di questa patologia, che è definita “rara” ma in realtà solo perché è sottodiagnosticata, nel senso che spesso nelle fasi iniziali solo alcuni esami strumentali (come la topografia corneale o meglio ancora la tomografia corneale) riescono a permettere di fare la diagnosi. Se questi ragazzi vengono sottoposti ad un trattamento molto semplice e poco invasivo si riesce a bloccare l’evoluzione della malattia. La patologia purtroppo non migliora, ma si riesce a far conservare ai più giovani una migliore qualità visiva. Insomma: prima si interviene e meglio è”.

Sul fronte dell’operazione, mentre all’inizio l’intervento durava circa un’ora, mentre ora le attuali procedure sono diventate molto più rapide e snelle. Allo stesso tempo si cerca di capire meglio come migliorare e potenziare questa reazione, come renderla più standardizzabile ed effettuabile, magari anche in condizioni in cui la procedura originariamente non era applicabile.