Le differenze di genere passano anche per il cinema e l’arte. E per il male gaze

Perché la donna è l'oggetto del desiderio sessuale: un corpo da guardare, utilizzare e possedere. Così cinema, televisione e arte hanno preso i nostri corpi e li hanno spettacolarizzati

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Le differenze di genere passano per i riconoscimenti, per i pregiudizi, per gli stipendi, per la violenza e persino per l’arte e il cinema. Sì perché tutti quei retaggi culturali che ci portiamo dietro da anni, e da secoli, in realtà non insistono e persistono solo nella mente dei pochi, ma convivono con noi ogni giorno, silenziosamente, e in maniera onnipresente.

Lo fanno, per esempio, attraverso l’arte, la letteratura, il cinema e la televisione. Lo fanno perché film, opere e saggi sono creati, pensati e strutturati per soddisfare lo sguardo maschile e per svilire la figura femminile.

Il termine male gaze – sguardo maschile – è stato introdotto dalla regista Laura Mulvey, nonché una delle maggiori esponenti della critica cinematografica femminista, nel 1975. Il suo saggio Visual Pleasure and Narrative Cinema mette in evidenza come il cinema tradizionale sia fatto soprattutto per compiacere il maschio eterosessuale e il suo voyeurismo. Così trame, scene e inquadrature soddisfano il piacere sessuale attraverso lo sguardo, così la donna viene oggettificata e diventa elemento passivo.

Oggettificazione della donna

La teoria del male gaze va sicuramente contestualizzata al mondo televisivo, cinematografico e artistico, eppure non possiamo non tener conto di quanto questo sguardo maschile, che continua a porre la donna in quella condizione di passività, sia in realtà profondamente radicato nella nostra cultura.

Un po’ di zapping in tv ci restituisce una serie di pubblicità dove il corpo della donna è sempre lì, in primo piano, pronto a essere utilizzato e sessualizzato anche per promuovere dei prodotti che con la sensualità non hanno nulla a che fare. E poi ci sono i programmi, quelli calcistici o gli show comici che hanno in comune le medesime cose: donne bellissime e sensuali riprese da una telecamera che non fa altro che inquadrare e insistere su specifiche zone.

Perché la donna è l’oggetto del desiderio sessuale: un corpo da guardare, utilizzare e possedere a proprio piacimento. Così cinema, televisione e arte lo hanno fatto: hanno preso le donne e le hanno spettacolarizzate per compiacere lo sguardo maschile.

Il codice del male gaze

Il concetto di Laura Mulvey parla proprio di questo, dello sguardo eterosessuale e maschile che viene soddisfatto dai media. Sono loro i silenziosi portatori del male gaze nelle nostre case. Sono ancora loro che, per creare spettacolo e per soddisfare il voyeurismo maschile, sessualizzano la donne.

Secondo la teoria della Mulvey, elaborata su un’industria fatta storicamente da uomini, lo sguardo maschile nel cinema e nelle arti si divide in tre prospettive: quella dell’uomo dietro la macchina da presa, quella dei personaggi maschili all’interno delle rappresentazioni cinematografiche, quello dello spettatore che osserva.

Il film del 1946 Il postino suona sempre due volte offre forse uno dei più palesi esempi di male gaze. L’entrata in scena di Cora Smith, infatti, avviene attraverso una inquadratura dal basso verso l’alto che costringe lo spettatore a guardare il corpo della donna. Chi guarda il film non sa niente di Cora, neanche il suo nome, ma conosce la sua sensualità perché è quella che è stata messa in scena. È quella che intrattiene e che conta, per l’uomo.

Anche La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock, incarna alla perfezione il concetto di male gaze e, anzi, ce lo racconta. Il protagonista del film, infatti, spia con un binocolo la vicina di casa perché è quello il suo piacere: osservare le donne come oggetti.

Certo le cose oggi sono diverse, anche se non troppo. I personaggi femminili che appaiono nei film e nelle serie tv hanno sempre più ruoli attivi e complessi e quindi ci si concentra più sulla narrativa che sull’aspetto. Tuttavia il male gaze, come tutte le cose che sono intrise culturalmente nella società, è duro da scardinare. E persino nei film più impegnati possiamo vedere come le inquadrature insistono in maniera inopportuna sul corpo della donna.

Il male gaze nell’arte

Cercai di ricordare qualche caso incontrato nel corso delle mie letture, in cui due donne venissero rappresentate come amiche. Ogni tanto sono madre e figlia. Ma, quasi senza eccezioni, sono mostrate nei loro rapporti con gli uomini.

Prima della teorizzazione del male gaze, qualcun altro si interrogava sul perché le donne fossero sempre inserite nei racconti esclusivamente il base al loro rapporto con gli uomini. Le parole qui sopra riportate, infatti, sono quelle di Virginia Woolf nel saggio Una stanza tutta per sé del 1929.

La teoria del male gaze, infatti, può essere applicata anche alla letteratura con le medesime prospettive: lo sguardo dello scrittore, il personaggio e il lettore. Quello che è certo è che l’impatto dello sguardo maschile è sicuramente più forte e radicato nelle rappresentazioni visive come dimostra anche l’arte, dove la donna e il suo corpo sono stati, e sono ancora, musa e oggetto di ispirazione per molti uomini. Ma qual è il confine sottile tra l’ispirazione e l’oggettificazione?

Può esistere un female gaze?

Phoebe Mary Waller-Bridge attrice, sceneggiatrice e commediografa britannica, è una delle esponenti del female gaze, lo sguardo femminile dietro la macchina da presa rivendicato dalla sceneggiatrice Jill Soloway.

Nel 2016, in occasione del Toronto Film Festival, la Soloway ha tenuto una masterclass intitolata The Female Gaze. Il suo obiettivo, però, non è quello di contrapporre il female gaze allo sguardo maschile, quanto più scardinare proprio la sua esistenza.

Secondo la sceneggiatrice, infatti, lo sguardo femminile nasce con l’intento di sottrarre la cinepresa al dominio maschile e voyeuristico e spostare l’attenzione sui sentimenti, sulle persone. Sull’essere e non più sull’apparire. Ma per farlo, è evidente, l’industria dell’audiovisivo ha bisogno di donne, le uniche in grado di utilizzare la telecamera dei sentimenti, quella che mette in evidenza le emozione e non i corpi.

Lo sguardo femminile

La regista April Mullen ha dichiarato: “Le donne hanno questa vulnerabilità, una connessione con una profondità di emozioni che posso vedere e sentire nei film che creiamo. Per me, lo sguardo femminile è trasparenza, il velo tra il pubblico e il regista. È sottile, e questo consente alle persone di entrarci dentro, di sentirlo”.

Oggi sono tante le serie tv che offrono un nuovo punto di vista, tutto al femminile. Tra queste Fleabag e Killing Eve create da Phoebe Waller-Bridge o i reboot come Le terrificanti avventure di Sabrina e Streghe. La critica cinematografica, invece, ha riconosciuto in film e serie TV come The Handmaid’s Tale, I Love Dick, Fleabag e The Love Witch, il female gaze. E allora forse, qualcosa sta davvero cambiando.