Processo per stupro 1979, la storia di Fiorella e la difesa di Tina Lagostena Bassi

Gli echi di un processo, quello per stupro del 1979, le cui dolorose implicazioni giungono ancora una volta fino ad oggi e che ci devono, a tutti i costi, interrogare

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Giorgia Prina

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Era il 1979. Alle dieci di sera la Rai mandò in onda Processo per stupro, un processo realmente tenutosi e un documento essenziale, ora come allora. È il 2023, e le parole contenute nelle registrazioni tornano con prepotenza ad interrogarci. La storia di Fiorella (il cui cognome non venne, giustamente e fortunatamente, mai diffuso), vittima di stupro, e della strenua difesa della sua avvocata Tina Lagostena Bassi furono il primo esempio esplicitamente portato in aula di vittimizzazione secondaria.

A Latina si teneva il processo per lo stupro della ragazza, 18enne, e veniva dato spazio mediatico a un documento che mostrava, senza assoluzioni, come chi denunciava una violenza sessuale, da vittima finiva sul banco degli imputati. L’avvocata si trovò infatti a difendere la giovane vittima di violenza non solo dai suoi stupratori, ma anche dalle accuse dei loro legali, tese a dimostrarne la “colpevolezza”. Parole che ora, alla luce di quanto portato in aula nel processo ai giovani Ciro Grillo, Francesco Corsiglia, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria, accusati di stupro, tornano nelle domande rivolte alla ragazza che li accusa. In particolare, al centro del dibattito ci sono le domande rivolte dall’avvocata Antonella Cuccureddu, che difende Corsiglia, alla giovane sull’abbigliamento – compresa la biancheria intima – e sul suo comportamento durante il presunto stupro. Domande definite “da Medioevo” da parte del legale di parte civile Dario Romano.

Processo per stupro 1979: la storia di Fiorella

Processo per stupro andò in onda per la prima volta il 26 aprile del 1979, fu il primo documentario su un processo per stupro mandato in onda dalla Rai ed ebbe un impatto prepotente sull’opinione pubblica in relazione al dibattito sulla legge contro la violenza sessuale. Fu realizzato da sei giovani registe: Loredana Rotondo, Rony Daopulo, Paola De Martis, Annabella Miscuglio, Maria Grazia Belmonti, Anna Carini. L’idea nacque dal bisogno di raccontare come chi denunciava di essere stata vittima di violenza sussuale venisse sistematicamente messa sul tavolo degli imputati. La sua vita veniva sezionata, come a intendere che una “donna onesta” non avrebbe subito abusi. Tutto ebbe inizio alla Casa delle Donne, nel corso di un assemblea del movimento femminista. Dalle registrazioni fatte in aula emerge la figura già nota dell’avvocata Tina Lagostena Bassi, presente anche nel caso di Donatella Colasanti nel processo per il Massacro del Circeo.

Al centro della scena il processo agli uomini accusati di stupro da Fiorella, appena 18enne. Una ragazza di umili origini violentata da un conoscente, Rocco Vallone, in una villa a Nettuno, dove era stata attirata con un’offerta di lavoro.  L’uomo le promise di assumerla regolarmente in un’azienda con il ruolo di segretaria, ma nascose le sue reali intenzioni: Fiorella venne sequestrata e abusata dall’uomo e altri tre amici.

Quando vennero interrogati dalle forze dell’ordine i quattro uomini negarono tutto, sicuri che la 18enne non avrebbe avuto le forze per andare avanti con un processo. Ma si sbagliavano. Davanti alla convinzione della ragazza  furono costretti a ritrattare, ammettendo i rapporti sessuali, ma dichiarando che si era trattato di rapporti consensuali. Secondo la loro testimonianza, avrebbero pagato 200.000 lire a Fiorella, soldi mai consegnati alla ragazza, poiché gli uomini si sarebbero dichiarati “non soddisfatti”.

La difesa di Tina Lagostena Bassi

Il massimo esempio di come ancora oggi il Processo per stupro del 1979 possa avere qualcosa da insegnarci sta nel modo in cui la difesa decise di proseguire il processo. Gli avvocati provarono a screditare Fiorella e a metterla in difficoltà soprattutto con domande molto fisiche su quanto accaduto durante i rapporti sessuali intercorsi. Venne chiamata a testimoniare anche la madre, alla quale fu chiesto come mai permettesse alla figlia di incontrare uomini adulti. Furono molte le insinuazioni sui costumi della ragazza presentandola come una “facile” e dalla dubbia fama. Una giustizia patriarcale e sessista, davanti alla quale solo le parole dell’avvocata Tina Lagostena Bassi riuscirono a porre uno strenuo e importante contrasto. Ne riportiamo alcuni passaggi, perché rimangano a memoria le sue parole, per tutte le donne, ma anche per tutti quelli che si battono per la difesa e la giustizia contro la violenza.

“Presidente, Giudici, credo che innanzitutto io debba spiegare una cosa: perché noi donne siamo presenti a questo processo. Per donne intendo prima di tutto Fiorella, poi le compagne presenti in aula, ed io, che sono qui prima di tutto come donna e poi come avvocato. Che significa questa nostra presenza? Ecco, noi chiediamo giustizia. Non vi chiediamo una condanna severa, pesante, esemplare, non c’interessa la condanna. Noi vogliamo che in questa aula ci sia resa giustizia, ed è una cosa diversa. […] Vi assicuro, questo è l’ennesimo processo che io faccio, ed è come al solito la solita difesa che io sento: vi diranno gli imputati, svolgeranno quella difesa che a grandi linee già abbiamo capito. Io mi auguro di avere la forza di sentirli, non sempre ce l’ho, lo confesso, la forza di sentirli, e di non dovermi vergognare, come donna e come avvocato, per la toga che tutti insieme portiamo”.

L'avvocata Tina Lagostena Bassi
Fonte: IPA
L’avvocata Tina Lagostena Bassi

“Perché la difesa è sacra, ed inviolabile, è vero. Ma nessuno di noi avvocati—e qui parlo come avvocato—si sognerebbe d’impostare una difesa per rapina come s’imposta un processo per violenza carnale. Nessuno degli avvocati direbbe nel caso di quattro rapinatori che con la violenza entrano in una gioielleria e portano via le gioie, i beni patrimoniali da difendere, ebbene nessun avvocato si sognerebbe di cominciare la difesa, che comincia attraverso i primi suggerimenti dati agli imputati, di dire ai rapinatori ‘Vabbè, dite che però il gioielliere ha un passato poco chiaro, dite che il gioielliere in fondo ha ricettato, ha commesso reati di ricettazione, dite che il gioielliere è un usuraio, che specula, che guadagna, che evade le tasse!’ Ecco, nessuno si sognerebbe di fare una difesa di questo genere, infangando la parte lesa soltanto. […] Ed allora io mi chiedo, perché se invece che quattro oggetti d’oro, l’oggetto del reato è una donna in carne ed ossa, perché ci si permette di fare un processo alla ragazza? E questa è una prassi costante: il processo alla donna. La vera imputata è la donna. E scusatemi la franchezza, se si fa così, è solidarietà maschilista, perché solo se la donna viene trasformata in un’imputata, solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale. Io non voglio parlare di Fiorella, secondo me è umiliare venire qui a dire ‘non è una puttana’. Una donna ha il diritto di essere quello che vuole, senza bisogno di difensori. Io non sono il difensore della donna Fiorella. Io sono l’accusatore di un certo modo di fare processi per violenza“.

La conclusione del processo

Rocco Vallone, Cesare Novelli e Claudio Vagnoni furono condannati, a fine processo, a un anno e otto mesi di carcere. Roberto Palumbo fu invece condannato a due anni e quattro mesi. Tutti e quattro però tornarono in libertà molto presto, vista la scarsa entità della pena.