La mostra su Artemisia Gentileschi è “pornografia del dolore”: occasione persa e dura polemica

Palazzo Ducale di Genova finisce nella polemica per la sua mostra sulla celebre pittrice Artemisia Gentileschi: "La cronaca di uno stupro"

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista, redattore e copywriter. Ha accumulato esperienze in numerose redazioni, scoprendo la SEO senza perdere il suo tocco personale

Le cose non potevano andare peggio per la mostra dedicata alla celebre pittrice Artemisia Gentileschi, organizzata presso Palazzo Ducale a Genova. In breve si è infatti scatenata un’accesa polemica, che ha ovviamente generato delle fazioni sui social, come sempre accade.

Da una parte si gridano le proprie ragioni e lo stesso accade dall’altra. Nel mezzo un pubblico radicalizzato e pronto all’attacco. Nell’impossibilità apparente di una discussione, proviamo almeno a spiegare cos’è accaduto.

Chi era Artemisia Gentileschi

Proviamo a gettare delle basi per comprendere l’importanza di questa mostra. Chi era Artemisia Gentileschi? Potremmo chiederlo in strada a un numero imprecisato di persone e ricevere poche risposte corrette, quasi certamente.

In breve, riproponiamo la sua storia. Una donna geniale, passionale e tremendamente forte. Una vera e propria boccata d’aria nel panorama artistico del Seicento. È stata tra le artiste italiane più note nell’era pre Novecento. Trova spazio nei manuali di storia dell’arte, il che è di per sé una rarità, in un ambiente dominato dagli uomini.

Avvicinatasi fin da piccola alla pittura, figlia d’arte, vi si dedicò soprattutto dopo la morte della madre. Un mezzo per esprimere ciò che custodiva dentro, acquisendo la lezione del realismo caravaggesco attraverso le opere del padre.

Nel pieno del suo apprendistato, presso il pittore Agostino Tassi, venne da questi violentata in maniera brutale. I dettagli vennero riportati dalla giovane nei suoi diari. Una storia non celata tra quelle pagine, anzi. Ne seguì infatti un processo, che vide l’uomo condannato ma la Gentileschi per sempre segnata. Non soltanto dall’evento in sé, quanto dall’intero contorno della vicenda in tribunale.

Ciò segnò la sua arte e vita, ma non la fermò. Nel 1616 fu la prima donna nella storia a essere ammessa all’Accademia del disegno fiorentina. Una rivoluzionaria e, oggi diremmo, un’icona femminista.

La mostra dello scandalo

La mostra organizzata a Genova è stata nominata Artemisia Gentileschi – Coraggio e passione. Al di là della scelta, che un po’ richiama il mondo della fiction italiana, viene accusata d’essere un’occasione persa e non solo.

Ci si aspettava il racconto del percorso, di vita e artistico, di una pittrice eccellente, la cui drammaticità del tratto ha ancora oggi una presa enorme sul nostro animo. Ci si aspettava l’omaggio a una figura notevole per l’emancipazione femminile, e invece, ecco l’accusa cardine, si tratta di una “cronaca di uno stupro”.

Lo sottolineano alcune studentesse della Laurea magistrale in Storia dell’Arte e valorizzazione dei Beni culturali dell’Università di Genova. A essersi esposte in particolar modo sono state Valentina Cervella e Carolina Dos Santos.

Il racconto della violenza sessuale

Necessario il racconto dello stupro subito da Artemisia Gentileschi, considerando il gigantesco impatto sulla sua vita e il suo percorso come pittrice. Si richiedeva però maggior tatto e una sensibilità che evidentemente non è mai stata presa in considerazione, sostituita da una spettacolarizzazione del tutto.

Un voyeurismo, una micidiale operazione patriarcale”. Ecco come l’ha definita Valentina Cervella, che ha spiegato nel dettaglio come si sia esplicata l’esperienza. La voce di un’attrice legge le fasi dello stupro raccontate nel diario dell’artista e durante il processo. Tutto è teatralmente enfatizzato, come a voler cogliere l’opportunità per generare un certo scandalo e, dunque, pubblicità.

“I quadri della pittrice vengono proiettati e sul letto, fisico, scende un profluvio di sangue davanti al pubblico”, ha spiegato a La Repubblica.

Dal mondo studentesco a quello della critica dell’arte, in questo caso a prendere la parola è stata Noemi Tarantini. Le studentesse si sono rivolte a lei per ottenere un parere, il che ha dato vita a una recensione della mostra particolarmente negativa, pubblicata su Exibart: “La triste vicenda della pittrice sembra attirare esposizioni in cui lo stupro viene spettacolarizzato fino a diventare pornografia del dolore, rubando la scena alla qualità artistica”.

La mostra è disseminata di errori, fin dall’inizio. Viene infatti indicata la violenza sessuale come l’episodio in cui “tutto è cominciato”. Un’artista nata nel sangue, di fatto. Questa è l’immagine che pare offrirsi di lei.

“Poteva essere una chance per parlare di victim blaming, della difficoltà di un’artista nel Seicento di farsi spazio in un circuito maschile, di come le esperienze traumatiche l’abbiano perseguitata in vita e dopo la morte, compromettendone la reputazione. Invece no”.

La risposta di Palazzo Ducale

Il caso della cocente critica alla mostra dedicata alla pittrice Artemisia Gentileschi è diventato rapidamente virale. Impossibile per Palazzo Ducale non proporre un’adeguata replica, che è puntualmente giunta attraverso una nota stampa.

In essa si definisce il messaggio della mostra come coerente con l’attenzione che il Ducale ha sempre dedicato ai diritti e alla lotta contro la violenza sulle donne: “Restiamo aperti al dialogo e al confronto costruttivo”.

Sarebbe stato interessante tentare di organizzare un faccia a faccia, invece di lasciare tale proposta al vento, dicendosi aperti. Altra occasione persa? Probabile. A organizzare il tutto è stata l’azienda Arthemisia e, concludendo questo ventaglio di opinioni, ecco le parole della sua presidente, Iole Senna.

“Tutta la mostra è una chiara denuncia contro la violenza sulle donne. Non a caso si celebra una donna che, per prima, ha avuto il coraggio di denunciare pubblicamente la violenza subita. Quattrocento anni fa ha sfidato l’intera società per rivendicare la sua libertà”.

Ha spiegato come sia impossibile omettere il racconto del fatto che ha segnato tutta la sua vita, ma non è ciò che veniva richiesto e che sottolineano le tante critiche. Non farlo sarebbe stato censurare, ribadisce, per poi porre un muro difensivo prevedibile: “La mostra è stata fatta tutta da donne che lavorano in un’azienda fatta quasi interamente da donne, in cui il rispetto e la stima per le donne è al massimo livello possibile”.