Sono stata anche io bambina, innamorata follemente e perdutamente di mio padre. Accecata dalla bellezza e dalla premura di mia madre, un punto di riferimento e un’ispirazione per il futuro, il mio.
Io, piccola creatura cresciuta a pane e principesse, lo immaginavo davvero perfetto quel mondo dei grandi. Lo stesso nel quale oggi, più che a vivere, fatico a sopravvivere trascinando con me in questo continuo vagare un bagaglio troppo piccolo per contenere gli errori di una vita intera.
Ma che ne potevo sapere io che quel mondo che guardavo con così tanta ammirazione nascondeva difetti, imperfezioni e sbagli? La colpa, se così si può chiamare, era dei miei genitori. Troppo amorevoli, troppo premurosi, generosi e attenti. Sempre presenti. “Da grande voglio essere come loro” – pensavo – “Erediterò da papà la forza e la fermezza, il rigore e la passione. Da mamma la dolcezza, la pazienza e la bellezza”.
“Ispirata da loro costruirò una fortezza, grande, sicura e confortevole, proprio come quella in cui sono nata e cresciuta”. Ma più diventavo grande, più quel castello mi mostrava stanze e corridoi che non avevo mai visto. E non erano belli e sfavillanti come gli altri, no, al contrario presentavano crepe, difetti e bruttezze. Come avevano fatto fino a quel momento a nasconderli?
Poi l’ho capito, quando sono diventata grande, che avevano solo cercato di mostrarmi la parte bella del mondo, come fanno tutti i bravi genitori. Ma avevano anche mostrato a me solo la loro parte più bella. Mi ci è voluto tempo, tanto tempo, per capire che in realtà dietro a quei genitori perfetti si nascondevano paure, insicurezze, fallimenti e sbagli. Quelli che appartengono alla natura umana. Ma con l’egoismo, che forse appartiene a tutti i figli, pregai con tutte le mie forze per non conoscere mai quei difetti. Io volevo solo riavere mamma e papà. Non mi importava delle persone che c’erano dietro, delle emozioni e dei sentimenti.
Ma ormai, quella mamma e quel papà che avevo conosciuto quando ero solo una bambina non c’erano più. E io non potevo più tornare indietro.
Non erano più “Un mito” e un “Porto sicuro”, papà e mamma, come li avevo descritti in quel compito di prima elementare. Ma erano diventati i miei nemici, quelli che sembrano voler intralciare a tutti i costi il desiderio libertà che appartiene per natura a tutti gli adolescenti ribelli.
Eppure loro non era cambiati. Certo erano cresciuti, con qualche ruga più e un po’ meno pazienza a disposizione per me, ma ero io che avevo uno sguardo nuovo e critico, che era lontano anni luce da quello che mi apparteneva quando ero una bambina. Ero io che avevo smesso di guardarli come genitori, e li avevo analizzati per la prima volta come essere umani. E gli esseri umani, si sa, sono imperfetti. Del resto è questo che ci rende unici.
Mentre però loro mi insegnavano a sbagliare, per diventare ogni giorno un po’ più forte, un po’ più grande, io quei sbagli li criticavo e li punivo come se fosse mio il ruolo di un giudice spietato e senza umanità. E loro me l’hanno lasciato fare, forse perché sapevano che prima o poi avrei capito. E non sbagliavano.
E poi sono cresciuta, di nuovo. Questa volta per davvero. E il mio sguardo, quello volto verso di loro, ha rivelato una verità che per troppo tempo non avevo ascoltato. Ho ritrovato la mia mamma e il mio papà, con i segni evidenti del tempo che era trascorso, ma mai prima di allora mi erano parsi così belli. E lo erano perché finalmente avevo imparato a guardarli come persone, prima che come genitori. Perché finalmente avevo capito che tutto ciò che amavo di loro erano gli sbagli, gli errori e quell’imperfetta unicità che non cambierei con niente e nessuno.