Baby influencer, l’infanzia rubata dalla visibilità a ogni costo

In Italia non esiste una normativa, come ad esempio in Francia, ma la questione dei minori online è attuale più che mai

Foto di Virginia Leoni

Virginia Leoni

Giornalista e Lifestyle Editor

Nata nel 1981, giornalista, ufficio stampa e socia di una casa editrice, ha trasformato la sua passione in lavoro. Ama scrivere, leggere e raccontare.

Piccoli, magari piccolissimi, e già sovraesposti sui social, magari senza il loro diretto consenso. I baby influencer esistono, sono tantissimi, sia all’estero che in Italia. Spesso mostrati in profili di famiglia, o che raccontano la vita genitoriale, non hanno però la possibilità di scegliere.

Si potrebbe parlare di infanzia rubata, il prezzo è la visibilità a ogni costo e se, forse, c’è chi vive la sua esperienza social in maniera felice e positiva, esistono anche testimonianza di coloro che invece esprimono dissenso. Che non apprezzano l’essere stati visibili a chiunque in ogni momento della propria vita e senza avere la consapevolezza di ciò che veniva pubblicato su di loro.

Il dibattito è aperto, non solo negli Usa ma anche in Italia dove non esiste una normativa di riferimento, ma soltanto una discussione sulle implicazioni etiche.

Baby influencer, la situazione in Italia

Video con i figli, ripresi nella loro quotidianità. Immagini di bambini pubblicate su ogni social. Magari a scopo commerciale, per pubblicizzare prodotti o luoghi. Contenuti che generano profitto, like, che creano community, che fanno affezionare il pubblico. Basta aprire un social qualunque per rendersene conto.

Ma al momento in Italia non esiste ancora una normativa specifica per la tutela dei baby influencer. Esiste però un dibattito su quanto sia importante essere consapevoli di quello che si pubblica, su quanto sia importante proteggere i minori dal mondo online, non condividendo dati personali, stando attenti al tipo di contenuto che viene pubblicato. Secondo un articolo di Il Sole 24 al momento la regolamentazione viene data dai contratti che sono stipulati tra la famiglia e i marchi. Che siano profili di mamma, papà o famiglia oppure a nome dei bambini (anche se l’età per iscriversi a un social in Italia è 14 anni), Il Sole 24 ore sottolinea come ci siano diversi aspetti di cui tenere conto. Dalla tutela lavorativa ed economica a quella personale, senza dimenticare la reputazione. Ma se in Italia non ci sono leggi a riguardo discorso diverso in Francia dove esiste una normativa datata 2020.

Una cosa è certa, rispetto al passato il vento sta cambiando e sui social ci sono influencer che hanno deciso di fare un passo indietro e di iniziare a tutelare i propri figli non mostrandoli più online.

Chi ha deciso di non condividere più i figli online

C’è chi ha deciso di fare divulgazione sull’argomento dei baby influencer e chi ha invece deciso di cambiare la propria strategia di condivisione, togliendo dal piano editoriale i propri figli o rendendoli irriconoscibili.

Sono alcune delle storie raccolte da Vogue che ripercorre le decisioni di alcuni adulti in merito all’esposizione social dei minori. Ad esempio spiega di Sarah, su TikTok mom.uncharted, che fa il punto sulla situazione e parla proprio di ciò che gli altri pubblicano, affrontando la tematica nella maniera più ampia.

Poi ci sono le testimonianze di chi ha deciso di togliere i contenuti relativi ai propri figli: lo ha fatto Bobbi Althoff, circa un anno fa quando i commenti a un video divertente le hanno fatto nascere l’istinto di tutelare le proprie figlie dalle opinioni degli utenti online: da allora la privacy delle piccole è garantita. L’obiettivo non è solo proteggerne il privato ma permettere ai minori di creare la propria identità online come meglio credono e quando avranno l’età giusta per farlo.

Testimonianza importante, poi, quella di Claire (nome inventato) che si è ritrovata costretta a lavorare con la famiglia per il canale YouTube.

Storie che raccontano di scelte diverse, di cambi di prospettiva, di maggiore attenzione a chi si pubblica online e a come lo si fa. In Italia si sta parlando di sharenting, ovvero la pratica secondo la quale i genitori pubblicano i figli suoi propri social spesso senza il loro consenso.

Un gesto semplice, che spesso si compie senza riflettere ma che può nascondere dei rischi. A raccontarli è stato il documentario francese Enfants sous influence, surexposés au nom du like di Elisa Jadot, di professione giornalista. Nel suo lavoro ha affrontato proprio la questione dei baby influencer e dello sharenting coniugando esperienze e inchieste. Un lavoro che indaga sui rischi del condividere immagini di minori, foto che possono finire su siti per pedofili, oppure i pericoli del condividere informazioni private, o ancora il tema del consenso all’uso della propria immagine.