Patria potestà: quando a comandare era il capo famiglia

La patria potestà, un tempo strumento di dominio del patriarcato, oggi è stata sostituita dalla responsabilità genitoriale

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Sonia Surico

Content Editor e Storyteller

Laureata in Scienze della Comunicazione e con un Master in Seo Copywriting. Per lei, scrivere è un viaggio che unisce emozioni e conoscenza.

È incredibile, e al contempo allarmante, come l’impronta di un concetto antiquato possa resistere al tempo, al progresso e al cambiamento anche quando le leggi e le società si evolvono.

Questo è il caso del concetto di “capofamiglia“, una figura che la legge italiana ha cercato di mandare in pensione nel 1975, riconoscendo la parità giuridica dei coniugi e sostituendo la patria potestà con la responsabilità genitoriale.

Eppure, continua a farsi largo nelle pagine dei giornali e nei discorsi di chi insiste nel rivendicare questo ruolo, un fantasma del passato che si rifiuta di svanire, un relitto di un’epoca in cui la parità di genere era un concetto lontano, un’utopia irraggiungibile.

Patriarcato e patria potestà: potere e controllo

Il patriarcato. Una parola che evoca un’immagine di dominio, autorità e controllo. Ma non solo. Dietro a questo termine si cela una struttura di potere profondamente radicata nella nostra società, che ha plasmato le nostre vite in modi che spesso non riusciamo nemmeno a percepire.

Fino a non molti anni fa, una delle sue manifestazioni più tangibili era la cosiddetta “potestà maritale“. Questo concetto, antico quanto l’umanità stessa, concedeva al capofamiglia un controllo totale su ogni aspetto della vita della moglie, limitandone fortemente i diritti. Le donne passavano da essere sottomesse ai padri a essere asservite ai mariti, in un ciclo senza fine di controllo e subordinazione.

Questo potere assoluto sulla moglie e sui figli era sancito persino dal Codice civile, nell’articolo 144, che recitava: “La moglie segue la condizione civile di lui, ne assume il cognome ed è obbligata ad accompagnarlo dovunque egli crede opportuno di fissare la sua residenza“.

Oggi, in un’epoca in cui si parla sempre più di uguaglianza e di diritti delle donne, è inquietante constatare che in alcuni contesti, le regole sembrano essere rimaste le stesse, come se il tempo si fosse cristallizzato. In certe realtà, i coniugi continuano ad avere compiti diversi e, troppo spesso, le prime soccombono ai secondi, che prendono decisioni unilaterali e stabiliscono persino la linea educativa dei figli senza consultare o coinvolgere le loro compagne, in un flagrante disprezzo per il rispetto reciproco.

Ancora più grave è l’impatto che questa dinamica può avere sui bambini. Crescendo in un ambiente in cui la figura materna viene costantemente sminuita e subordinata al volere del padre, i più piccoli possono interiorizzare queste dinamiche come normali. Ciò non solo perpetua un ciclo di sopraffazione di genere, ma instilla nelle giovani menti una visione distorta delle relazioni, in cui l’uguaglianza e la reciprocità sono sacrificati per il controllo e la predominio.

Anche le cronache quotidiane ci dipingono un quadro di terrore che non possiamo più ignorare: un numero allarmante di coppie che vive in uno stato di sopraffazione costante. Questa oppressione, sottilmente intrecciata nelle dinamiche quotidiane, si manifesta in modi subdoli e insidiosi che rendono difficile riconoscerla e combatterla. Una forma di violenza psicologica che si nasconde dietro la maschera dell’amore e della preoccupazione, ma che in realtà è alimentata da un desiderio distorto di dominio. Le vittime, ancora una volta le donne, diventano prigioniere di un ciclo di abusi, che le riduce in uno stato di impotenza e paura. Un fenomeno vergognoso e inaccettabile, un sintomo di una società che ancora non riesce a garantire la sicurezza e il rispetto dei diritti fondamentali di tutti i suoi membri.

Il concetto di responsabilità genitoriale

Nel 1975, il Codice civile italiano ha subito una revisione cruciale che ha segnato un punto di svolta nel diritto di famiglia. Il concetto arcaico di “patria potestà” è stato eliminato. Al suo posto, è stata introdotta la nozione più progressista di “potestà genitoriale“.

Questo cambiamento ha rappresentato molto più di una semplice modifica terminologica. Ha segnato l’abbandono definitivo di una struttura di potere obsoleta e ingiusta, e l’affermazione del principio di bigenitorialità. Quest’ultimo riconosce entrambi i genitori come parti egualmente importanti e responsabili nell’educazione e nel benessere dei figli.

Nel 2013, la legge ha subito un’ulteriore trasformazione significativa, segnando un progresso ancora più importante nel diritto di famiglia. Infatti, la “potestà” è stata sostituita dalla “responsabilità genitoriale“, segnando un cambio radicale nell’approccio ai rapporti affettivi.

Non si tratta più di un potere imposto dall’alto, ma di una responsabilità condivisa che tiene conto delle caratteristiche individuali del soggetto su cui si esercita. Una rivoluzione che ha aperto la strada a un nuovo modo di vedere e gestire i rapporti familiari, basata sul rispetto e la reciprocità.