Francesca Albanese, chi è l’italiana proposta al Nobel e sanzionata dagli USA

La storia di Francesca Albanese, tra il lavoro sui diritti umani e le accuse degli Stati Uniti

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Paola Landriani

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Non è facile restare neutrali quando si parla di conflitti, diritti umani, poteri che si intrecciano e responsabilità che si perdono tra le maglie della diplomazia. Ma c’è chi sceglie di esporsi, di prendere posizione, anche quando farlo significa attirarsi critiche potenti, isolamento, accuse.

È il caso di Francesca Albanese, una figura che decide di non edulcorare il linguaggio con cui racconta le tematiche che accendono il dibattito internazionale.

Italiana, giurista, specializzata in diritto umanitario, oggi è relatrice speciale per le Nazioni Unite. Un incarico che la mette al centro di due forze opposte: una proposta per il Nobel per la Pace e una sanzione formale da parte degli Stati Uniti.

Chi è Francesca Albanese

Francesca Albanese nasce in Campania e cresce tra studi giuridici e una visione del mondo che mette al centro i diritti umani. Dopo la laurea in Giurisprudenza a Pisa, si trasferisce all’estero per specializzarsi in diritto internazionale e umanitario alla SOAS di Londra.

Una scelta che le permette di entrare nel cuore di un sistema complesso, fatto di trattati, convenzioni, ma anche persone, storie, crisi che spesso non arrivano sui notiziari. Per anni lavora, tra gli altri, con l’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, occupandosi di migrazione e protezione dei diritti fondamentali in contesti spesso dimenticati.

Collabora anche con l’UNRWA, l’agenzia ONU dedicata ai rifugiati palestinesi, seguendo da vicino le condizioni di vita nei territori occupati e accumulando un’esperienza diretta che, con il tempo, affina la sua voce critica e le permette di firmare diverse pubblicazioni.

Dal 2022 ricopre l’incarico di relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967. È un ruolo indipendente, scomodo, che prevede il monitoraggio delle violazioni, la produzione di rapporti ufficiali e la denuncia delle ingiustizie sistemiche.

Il suo lavoro è netto, senza retorica, basato su fonti, dati e testimonianze raccolte sul campo, che traduce in report dal taglio estremamente lucido e privo di eufemismi. Il suo stile diretto, la scelta di non smussare i concetti, la rendono una figura polarizzante.

Le sue parole hanno una risonanza globale: raccolgono consenso in una parte della comunità accademica, ma provocano anche reazioni dure da parte di diversi governi, in particolare quello israeliano e quello statunitense.

Ma proprio per il suo modo di interpretare questo incarico in maniera radicale e trasparente, l’eurodeputato socialdemocratico Matjaž Nemec sceglie di proporla per il Nobel per la Pace.

Francesca Albanese, le sanzioni da parte degli Stati Uniti

Ma se in tanti sostengono l’operato di Albanese, altri non lo considerano valido. Nel 2025, la giurista è stata sanzionata dagli Stati Uniti: una mossa che sancisce una presa di posizione forte contro una relatrice dell’ONU. L’amministrazione fa infatti riferimento ai suoi report che descrivono la guerra a Gaza “genocidio”, richiedono indagini della Corte Penale Internazionale su alti funzionari israeliani e statunitensi, e denunciano il coinvolgimento di grandi aziende americane nella cosiddetta “economia del genocidio”.

Il segretario di Stato Marco Rubio, sostenuto da ambienti pro-Israele, ha commentato la decisione in un comunicato dove definisce questo lavoro “una campagna di guerra politica ed economica contro gli Stati Uniti e Israele”, accusando Albanese di utilizzare il diritto internazionale per interferenze “nella sovranità” americana.