C’è questa cosa che vedo spesso sul web, su Instagram e soprattutto su TikTok, che ha tutte le carte in regola per diventare un trend. Anzi lo è già. Parla di relazioni che sembrano tutt’altro che sane, di gelosia e di possesso, di uno squilibrio evidente che nasconde il seme del maschilismo, spesso osannato proprio dalle giovani donne.
Il “malessere” così lo chiamano loro. Ma al contrario di quanto può immaginare la mia generazione, e forse anche quelle precedenti, non si riferiscono a quello stato mentale e psicofisico che provoca sofferenza e turbamento, ma al loro fidanzato. Un maschio alfa possessivo e geloso che, tronfio, si vanta del suo comportamento inorgogliendo chi gli sta accanto. Una donna, appunto, la “sua” donna.
Sono tante le persone che raccontano del loro “malessere”, lo fanno con goliardia e a volte con ironica esasperazione. Lo fanno con troppa leggerezza e a volte con qualche vena polemica che però si esaurisce con qualche bacio scambiato. Perché la cosa peggiore non sta tanto nella viralità di un trend che, per motivi evidenti, è pericolosissimo, quanto più nell’esaltazione di questo romanticismo tossico perpetuata proprio dalle nuove generazioni.
“Il mio malessere”
Qualche ricerca su Google ed eccola lì, la stessa domanda che mi sono posta anche io: cosa vuol dire “Il mio malessere”?. Mi è bastata una rapida occhiata sui social network frequentati dalle nuove generazioni per avere chiarezza di un quadro che più che un’illuminazione si è presentato come un incubo.
Un trend, perché è di questo che si parla, che si è trasformato in un hashtag che conta milioni di visualizzazioni e migliaia di racconti di folle quotidianità. Cosa c’è in questi video è presto detto: c’è il maschio alfa, originariamente Made in Naples perché è a Napoli che è stato coniato questo appellativo, che rimprovera la sua fidanzata. Lo fa perché ha scelto abiti succinti, perché troppo scollata, perché è uscita con la sua amica o perché, peggio, ha osato parlare con un altro uomo.
Poi ci sono altri tipi di “malessere”, intendiamoci. Come quello che sparisce e non dà certezze, che si fa vivo per alimentare le speranze, che chiama negli orari più improbabili e poi sparisce per tornare ancora e ancora. Nulla di nuovo, certo. Se questo è il malessere delle nuove generazioni non possiamo che dare tutto il nostro supporto a chi ha perso la testa per un uomo così. Ai nostri tempi erano “i belli e dannati” che, se pur evidentemente segnalati dai nostri radar razionali, alla fine riuscivano sempre a spezzarci il cuore.
Il vero problema di adesso, però, non sta in queste frequentazioni fallimentari che tutte abbiamo sperimentato da adolescenti e non solo, perché poi lo sappiamo che sbagliando si impara. Sta nel fatto che quel “malessere” – che a volte non è neanche così bello e dannato – è ricercato e osannato. È invitato dalle ragazze a entrare nella loro vita e ad appropriarsene, come se fossero suoi il diritto e il dovere di scegliere come vestirsi o con chi uscire. Da quelle stesse giovani donne che hanno trasformato la loro vita in una vetrina che racconta, a suon di hashtag, della gelosia e della possessione, delle imposizioni. E non lo fanno per denunciare o per ribellarsi no, lo fanno con orgoglio, perché quel “malessere” è amore.
“Quel telefono deve servirti solo ed esclusivamente per parlare con me”, dice lui. Lei lo filma e scrive: “Sei fidanzata con il classico malessere” (da un video diventato virale)
Il trend delle relazioni tossiche e lo squilibrio generazionale
Oggi tutti conoscono il “malessere”. Mi è capitato persino di sentirlo nominare dai miei coetanei. Forse, anzi sicuramente, in maniera non pericolosa. Del resto stiamo parlando di un trend che, volente o no, affascina anche i boomer. Forse sono le canzoni a farlo. Eh sì perché lui, il “malessere”, ha conquistato anche il mercato musicale, così come le altre piattaforme di comunicazione utilizzate dai giovanissimi.
Intendiamoci, non c’è sempre e solo la celebrazione di questi profili. Al contrario spesso e volentieri l’uomo alfa in questione viene anche preso in giro. E se fosse proprio questa leggerezza a oscurare la radice del problema? Perché il problema, che ha portato alla luce questo trend, esiste ed è reale. E non può essere ignorato.
Non può essere ignorato il fatto che queste ragazze credono che la gelosia e il possesso non solo sono giuste, ma sono la rappresentazione di un sentimento di vero amore. Che controllare il telefono, la posizione o l’ultimo accesso effettuato su Whatsapp sia lecito e normale. Che indossare trasparenze e scollature possa diventare la causa giusta e nobile per innestare una discussione che conosce già il suo epilogo.
Cosa ben peggiore, è che spesso a provocare e ad attendere questi comportamenti sono proprio le fidanzate del “malessere”. Posizionano la fotocamera dello smartphone avvisando chi le segue di una prossima reazione, inventando scherzi per scatenare scenate di gelosia. Perché se quelle esistono, allora, è vero amore. Perché se è geloso, allora, ci tiene. Perché se è possessivo, allora, è quello giusto.
Viene da chiedersi, quindi, quanto può essere pericolosa questa convinzione che non solo viene osannata, ma anche diffusa in maniera capillare attraverso i social network. Tanto, lo sappiamo. E lo confermano quei dati che parlano di uno squilibrio relazionale che passa anche per la violenza di genere, la stessa che i giovanissimi non riescono ancora a comprendere e a percepire. Basti pensare al fatto che, secondo la ricerca Teen Community condotta da Fondazione Libellula qualche tempo fa, due ragazzi su tre giustificano la violenza a seguito di un tradimento. Che per il 24% di loro ordinare al partner cosa indossare non è una forma di violenza. Che non lo è neanche controllare lo smartphone o i social network in maniera furtiva e senza permesso.
Percentuali, queste, che trovano conferma quando guardiamo a quello che succede sul web. Quando vediamo queste ragazze che, orgogliose, raccontano di come si sentono protette e amate dal loro fidanzato, che aspettano una reazione, meglio ancora se plateale così da poterla mostrare al mondo intero. È a loro che dobbiamo insegnare che no, quel “malessere” non è amore. Che il possesso non è una dimostrazione, ma una violenza a tutti gli effetti.