Come può un uomo essere condannato con l’unica accusa di aver scelto di amare senza remore o condizioni? È questa la prima domanda che naturalmente ci poniamo ripensando ad Aldo Braibanti e alla sua storia. Quella di un grandissimo l’intellettuale italiano privato della sua libertà solo perché omosessuale.
Era uno scrittore, uno sceneggiatore e un drammaturgo, un abile mestierante devoto all’arte e a tutte le sue forme. “Un genio straordinario” come lo aveva definito l’attore e regista Carmelo Bene che lo conosceva bene. Ma Aldo Braibanti era anche un appassionato del mondo e delle creature che lo popolano, come dimostrano i suoi dettagliati studi sulla mirmecologia.
Il Signore delle formiche è lui. È a lui che è dedicato il film di Gianni Amelio presentato al Festival del Cinema di Venezia. Le scene del processo sono basate sui verbali del dibattito che il regista ha fedelmente riportato, i nomi dei protagonisti, invece, sono tutti cambiati, tranne quello di Aldo Braibanti. Ma la storia, quella fatta di sofferenza e ingiustizia, è reale. Ripercorriamola insieme.
Aldo Braibanti
Aldo Braibanti è stato tante cose nella sua vita, ed etichettarlo con l’appellativo intellettuale è forse l’unico modo per restituire la dignità a un personaggio straordinario che gli altri hanno voluto distruggere, oscurare, perché colpevole di amare un altro uomo.
La sua storia comincia tanti anni fa, il 17 settembre del 1922 a Fiorenzuola d’Arda. Figlio di un medico, Aldo è costretto da bambino a numerosi spostamenti a causa del lavoro del padre, ma è proprio la possibilità di esplorare il mondo lì fuori che gli permette di sviluppare una certa attenzione e sensibilità per i temi legati alla salvaguardia ambientale. Ad appassionarlo sono soprattutto gli insetti sociali, una passione che non lascerà mai neanche da adulto e che lo trasformerà in un esperto mirmecologo.
La stessa sensibilità che lo appassiona all’ambiente a alla natura si trasforma presto in arte. Già all’età di 9 anni Braibanti inizia a comporre le sue prime poesie. Cresce leggendo Dante e Patrarca, Leopardi e Foscolo, ed è proprio ispirato dai grandi poeti che inizia la sua attività letteraria.
Durante gli anni del liceo viene apprezzato dai suoi compagni e dagli insegnanti per la sua grande passione per lo studio, sono gli stessi anni durante i quali, all’interno del Liceo Classico Romagnosi, mette in piedi un gruppo di giovanissimi studenti per combattere la dittatura fascista distribuendo volantini clandistini.
Nel 1940 si unisce alla Resistenza partigiana di Firenze e diventa membro di spicco dei movimenti intellettuali contro il fascismo. Proprio a causa della sua esposizione viene arrestato due volte e i suoi scritti vengono sequestrati dalle autorità del regime.
Durante gli anni universitari, presso la facoltà di filosofia dell’Università di Firenze, continua a dedicarsi all’arte e al teatro, alla scrittura e alla poesia, ma anche alle formiche e agli insetti, sperimentando un interesse e una conoscenza sempre più specifici.
Le accuse di plagio
Dopo Firenze, nel 1962, Aldo Braibanti parte alla volta della capitale. Sono anni proficui e di fermento, quelli, durante i quali lavora a teatro con Carmelo Bene, Sylvano Bussotti e Vittorio Gelmetti.
A Roma, però, Aldo non è solo. Si è trasferito in città con il suo amico Giovanni Sanfratello, un giovane di 23 anni che aveva conosciuto durante la frequentazione di un laboratorio artistico. I due prendono casa insieme e quella che era solo un’amicizia sfocerà presto in amore. Ma al contrario del lieto fine che ogni storia merita, quello tra Aldo e Giovanni verrà trasformato presto in un incubo fatto di dolore e sofferenza.
A ostacolare quella storia d’amore è Ippolito Sanfratello, padre di Giovanni, nonché uomo conservatore, cattolico e fascista. Contrario a quella relazione e allo stile di vita del figlio, decide di distruggere la vita di Braibanti, riuscendoci.
Il 12 ottobre del 1962, infatti, Ippolito presenta una denuncia alla Procura di Roma ai danni di Aldo Braibanti con l’accuso di plagio. Non essendo possibile perseguire la relazione omosessuale, quella di accusare lo scrittore di aver influenzato in maniera negativa il figlio, anche nei gusti sessuali, è l’unica strada da intraprendere.
Dopo circa un mese da quella denuncia Giovanni viene prelevato con la forza dalla casa romana in cui la coppia viveva. Il ragazzo viene portato a Modena, e internato in una clinica privata, poi trasferito in un manicomio di Verona dove resterà per oltre un anno.
La terapia condotta dai medici è quella che prevede elettroshock e coma insulinici, “Tutto questo contro la sua volontà, tenendolo isolato dai suoi amici, dai suoi avvocati e da chiunque avesse ascoltato le sue ragioni”, racconterà più tardi Alberto Moravia nel libro Sotto il nome di plagio scritto a più mani da diversi intellettuali italiani intervenuti nel caso Braibanti.
E in effetti era così. Giovanni non avrebbe mai voluto separarsi da Aldo, né tanto meno ha mai sostenuto che l’intellettuale italiano lo avesse in qualche modo influenzato. Dopo 15 lunghi mesi di manicomio, il ragazzo potè tornare a casa, sotto la stretta sorveglianza dei genitori e con il divieto di incontrare il suo ex compagno.
Più lunga, invece, fu la vicenda giudiziaria che coinvolse Aldo Braibanti. Per i giudici non ci furono dubbi sulla sua colpevolezza: “Il giovane Sanfratello era un malato, e la sua malattia aveva un nome: Aldo Braibanti, signori della Corte! Quando appare lui tutto è buio” (Lambda, rivista, gennaio-febbraio 1979 – Wikipedia).
La condanna
Ad aggravare la situazione fu poi la testimonianza di Piercarlo Toscani, un giovane ragazzo che anni prima aveva frequentato Braibanti, che affermò di essere stato manipolato dall’uomo sulle idee politiche. L’opinione pubblica non faticò a condannarlo velocemente, su alcuni giornali della destra Aldo Braibanti veniva descritto come un mostro.
Anche l’aula lo condannò, dopo 4 anni di processo, a 9 anni di carcere, che diventarono 6 in appello. Ma Aldo non fu solo, intellettuali come Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini e Elsa Morante lo sostennero, così come lo fecero alcuni esponenti politici radicali come Pannella.
“Un fatto ignobile. Uno dei tanti petali di questo fiore marcito che è l’Italia. Fu condannato per un reato mai tirato in ballo fino ad allora. Il plagio. Per giunta ai danni di un maggiorenne… Tutto è plagio, che scoperta! Qualunque soggetto pensante e parlante è quotidianamente sottoposto a plagio. In seguito, sempre troppo tardi, questo reato fu cancellato dal codice penale. Contro Braibanti si scatenò la rappresaglia del sociale, la vendetta delle masse. Era l’intellettuale migliore che avesse l’Italia all’epoca. Aveva interessi pittorici, letterari, musicali. Profeta in anticipo di trent’anni. Fu uno dei primi a condannare il consumismo. I “diversi” allora in Italia si contavano. Lui, Pasolini, pochi altri”
(Carmelo Bene – Wikipedia)
Piegherà Braibanti, questa vicenda, ma non lo spezzerà mai. Durante gli anni di prigionia l’uomo continuò la sua attività poetica, così come farà nei successivi anni. Morirà poi il 6 aprile del 2014, a causa di arresto cardiaco, in condizioni di gravi ristrettezze economiche.