C’era una volta, neanche troppo tempo fa, un’ombra dolorosa e straziante che si abbatteva sulle donne. A quei tempi non potevamo scegliere, non per la società, non per gli uomini e le altre donne. Ma lo facevamo lo stesso, di nascosto e in gran segreto, rischiando persino la nostra stessa vita. E sceglievamo, perché a volte era l’unica soluzione per continuare a vivere.
Sono passati più di 40 anni da quella legge che, finalmente, ha depenalizzato l'aborto del nostro Paese. La stessa che avrebbe dovuto garantirci quella libertà che ci era stata negata per troppo tempo. Quella che avrebbe messo fine anche alle pratiche illegali. Era così che doveva andare, eppure a distanza di anni lo spettro dell'aborto clandestino aleggia ancora sulla popolazione femminile.
Controversa e travagliata, la situazione nel nostro Paese, e nel resto del mondo, non può essere sottovalutata. Lo stesso Ministero della Salute, nel 2019, portava alla luce questo problema stimando che circa 10.000 donne, ogni anno, ricorrono ancora all'aborto clandestino. Ed è un paradosso se pensiamo che abbiamo, per fortuna, una legge che regolarizza l'interruzione di gravidanza, ma che in un modo o nell'altro, viene troppo spesso minacciata.
L'aborto oggi
Nel 1978, in Italia, arrivata la legge 194, quella sull'aborto. L'emendamento avrebbe dovuto porre fine alle strazianti pratiche illegali di interruzione di gravidanza alle quali molte donne, sull'onda della disperazione, ricorrevano. Pratiche terribili e dolorose che mettevano a repentaglio la stessa vita di quelle donne.
Parlare oggi di pratiche illegali e di aborto clandestino ci fa venire in mente le scene raccontate dai film, quelle in cui le donne sdraiate su tavoli o pavimenti si preparavano a subire delle vere e proprie torture, perché di quello si trattava. Eppure questa realtà non appartiene al passato remoto, o alla finzione cinematografica, ma è ancora oggi più viva che mai. Come è vivo il dramma di tutte le donne che vivono una gravidanza indesiderata.
La questione dell'aborto, infatti, scatena ancora tanti dissensi. Associazioni, movimenti e politici, si impegnano ogni giorno affinché decenni di battaglie femministe siano cancellate. In Italia, per esempio, l'accesso all'aborto previsto dalla legge, è fortemente limitato. Tra ginecologici obiettori di coscienza, tempistiche per interventi chirurgici sempre più lunghe e aborti farmacologici negati, la libertà delle donne è in serio pericolo.
Un'inchiesta di Repubblica ha portato alla luce la situazione in Sicilia, la regione col più alto numero di obiettori di coscienza: l'87% del personale medico. Una realtà, questa, che spinge tantissime donne a spostarsi fuori regione per praticare l'interruzione di gravidanza. Ma quando questo non è possibile, l'unica alternativa è quella di ricorrere all'aborto clandestino.
In Molise, invece, c'è un solo ginecologo non obiettore di coscienza, il dottor Michele Mariano che ha dovuto posticipare la sua pensione per non privare le donne della regione della loro libertà.
La situazione non è migliore nel resto d'Europa. Basta guardare alla Polonia dove il 27 gennaio del 2021 è entrata in vigore la norma che vieta l'aborto anche in caso di malformazione del feto, o alla Heartbeat Act, la legge entrata in vigore in Texas che vieta l'accesso all'aborto anche nei casi in cui la donna è vittima di violenze o incesti.
La scelta tra la morte e la libertà
C'era una volta il cucchiaio di ferro, conosciuto anche d'oro, utilizzato dai medici che in cambio di una grossa quantità di denaro, praticavano l'aborto clandestino con questa posata per ripulire l'utero. C'era anche il ferro da calza, quello scelto dalla mammana del paese per praticare gli aborti: lo faceva roteare nell'utero per provocare il distacco della placenta. Se andava bene la donna abortiva, se andava male l'utero veniva perforato e rischiava di morire.
Alcune donne sceglievano da sole lo strumento della loro libertà, quello apparentemente più innocuo. Un decotto di prezzemolo in grado di provocare un'emorragia che, facendo contrarre l'utero, espelleva anche l'ovulo fecondato. Ma anche quella "pozione magica" aveva dei rischi, e se andava male si trasformava in un veleno che faceva morire le donne.
C'è ancora oggi l'aborto praticato da persone non adeguate, in condizioni di scarsa igiene, senza alcuna sicurezza. E c'è perché a causa di convinzioni politiche, religiose e stantie, alle quali si aggiunge anche lo stigma dei benpensanti, l'interruzione di gravidanza non è ancora assicurata a tutte. Così, chi lo fa rischia anche di morire.
Alcuni dati
La rivista scientifica The Lancet, tempo fa, ha raccolto tutti i dati forniti dall'Organizzazione mondiale della sanità rispetto alle interruzioni di gravidanza avvenute dal 1995 al 2008. Riguardo quegli aborti classificati come "non sicuri" la situazione che emerge è sconcertante: in questi 13 anni la percentuale è aumentata dal 44% al 49%.
Africa, America Latina e Asia sono i luoghi che presentano il tasso maggiore di attività clandestina per le interruzioni di aborto. C'è anche l'Europa, con il suo 9%. Un dato comunque importante se considerato nella sua globalità, che appare come una nota stonata se consideriamo il fatto che parliamo di un continente nel quale ci sono leggi che dovrebbero permettere, legalmente, alle donne di abortire.
E invece sono tante, troppe le persone che ricorrono a queste pratiche e che hanno pagato con la loro stessa vita la scelta di essere libere. In tutto il mondo, infatti, sono state 47 mila le donne che hanno perso la vita, e più di 8 milioni quelle che hanno riportato delle conseguenze gravi.
Dalla ricerca è emerso inoltre che nei Paesi con leggi più restrittive il tasso di aborto non è più basso rispetto a quelli con leggi più permissive.
C'era una volta Annie
Per concludere questo ampio e disarmante discorso, così antico e così attuale, vogliamo raccontarvi una storia, quella di Annie Ernaux, autrice e professoressa di lettere francese che nel 2000 ha pubblicato l'Événement, il suo romanzo autobiografico.
La sua storia condivide lo stesso destino di molte donne dell'epoca: nel 1963, in Francia, una studentessa che combatte per la sua libertà, e per un futuro minato dalla società patriarcale e discriminatoria, si ritrova a percorrere tutte le strade clandestine per poter interrompere la gravidanza indesiderata in un Paese in cui l'aborto è ancora illegale.
Non c'è spettacolarizzazione nella narrazione, né finzione, ma solo la storia di una giovane donna priva di decidere della sua vita e del suo corpo, schiava delle regole sociali imposte dagli altri. La storia di Annie è stata portata sul grande schermo e ha vinto il Leone d'oro al miglior film alla 78ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.
Perché Evénement non è solo la storia della Francia di ieri, ma è anche quella di oggi, quella che riguarda tutta la cultura Occidentale che non ha imparato dagli errori del passato e che continua a commetterne ancora troppi.