La legge Merlin, un passo in avanti per la tutela delle donne

La legge che introdusse i reati di favoreggiamento alla prostituzione e la fine delle "case chiuse" compie gli anni

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Redazione

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La legge 20 febbraio 1958, famosa come legge Merlin, decretò la fine della prostituzione legalizzata e la chiusura delle case di tolleranza (le cd. “case chiuse”). Sembra strano ma fino a quel giorno, non tanto lontano, era del tutto legale accedervi. In sostanza questa legge non solo abolì la regolamentazione della prostituzione ma introdusse i reati di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione.

Per la prostituzione in sé, volontaria e compiuta da donne e uomini maggiorenni e non sfruttati, non vi erano allora sanzioni. Il sex work, come scelta individuale fu considerato parte delle scelte individuali garantite dalla Costituzione e quindi parte della libertà personale inviolabile.

Chi era Lina Merlin?

Lina Merlin fu una politica e insegnante italiana, una donna attenta ai diritti e alla parità di genere, una vera lottatrice. Fu una componente dell’Assemblea Costituente e prima donna a essere eletta al Senato della Repubblica, il suo nome è storia. A rendere celebre il suo cognome fu la legge sull’abolizione della prostituzione legalizzata e l’introduzioni di sanzioni e pene per lo sfruttamento delle donne nelle case di tolleranza, da lei voluta e sostenuta con forza e dedizione. La sua battaglia per l’introduzione della legge del 20 febbraio del 1958 le procurò antipatie, critiche, dissensi ma lei non se ne curò e continuò per la sua via, finché non ottenne la vittoria.

Cosa di tolleranza e sfruttamento della prostituzione

Alla base della proposta di Lina Merlin c’era l’assunto che la “prostituzione di Stato” fosse un fatto inaccettabile. Le donne nella case chiuse erano percepite come persone “inferiori”, non avevano diritti, tutele ed erano i loro padroni a guadagnare sul loro corpo. La Merlin si rendeva conto che la sua proposta era solo una toppa per un buco più grande. Infatti, lo sfruttamento della prostituzione è un problema anche al giorno d’oggi. Ciò che la promotrice di questa legge non poteva tollerare, tuttavia, era il ruolo dello Stato all’interno di questo problema. Infatti, accettando il sistema corrotto e le ingiustizie perpetrate sulle sex worker, spesso costrette contro la loro volontà a prostituirsi, le istituzioni ne diventavano complici e promotrici. Accettando le imposte derivanti da quello che era un traffico di esseri umani, lo Stato ne risultava altrettanto colpevole agli occhi di Lina Merlin.

La questione di genere

Durante un’intervista con Oriana Fallaci nel 1963, Lina Merlin raccontò: “Un giorno vado a tenere una conferenza in una sede del PSI a Milano e, appena entro, qualcuno mi infila una busta gialla tra le mani. La apro e c’è scritto ‘Compagna, pensa al male che fai con la tua legge, dove può andare un vedovo vecchio e gobbo se non in quelle case? Lo raggiungo al tavolo e dico ‘Compagno, come può fare una vedova vecchia e gobba che non sa dove procurarsi un bel giovanotto? Se voi ritenete che quello sia un servizio sociale, e i cittadini maschi abbiano diritto a quel servizio sociale, allora istituite il servizio obbligatorio per le cittadine dai vent’ anni in su?”.

Lina aveva a cuore la parità di genere e riteneva ingiusto che solo le donne potessero prostituirsi e che il sesso a pagamento fosse accessibile solo agli uomini. Le donne nelle case chiuse non erano solo sex workers, ma spesso vittime di sfruttamento, costrette a svolgere la professione perché minacciate e costrette. Lina Merlin aveva bene chiare le idee sul fenomeno sessista che si era sviluppato nelle case di tolleranza.

Lo stigma sulle sex workers

La legge Merlin non puniva la prostituzione di per sé ma lasciava la possibilità di praticarla in modo “libero”. La legge introdotta nel 1958 anche regola la prostituzione nel nostro Paese e sebbene le cose siano cambiate, qualcosa ancora è rimasto fermo. Il problema che si presentò già ai tempi, e che ancora si fa sentire, riguarda appunto la libertà di scelta dei sex workers e delle sex workers, sempre un po’ fittizia. Chi lavora con il proprio corpo dovrebbe poter avere la facoltà di scegliere la propria strada senza subire stigma sociali o etichette ingiuste e bigotte. Vivere la sessualità e la gestione del proprio corpo in modo libero non è sempre possibile quando la società fa pressioni a livello morale ed etico, etichettando in modo negativo chi si occupa di sex work. Al giorno d’oggi molti attivisti e sex worker stanno facendo attività di sensibilizzazione per normalizzare le professioni legate al sesso e abbattere pregiudizi e stereotipi che hanno radici vecchie e ormai fuori luogo.