Infezione da virus HIV, effetti collaterali maggiori nelle donne

I dati dimostrano che le caratteristiche sesso-specifiche hanno un ruolo fondamentale per invecchiamento precoce ed effetti collaterali

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

In occasione della Giornata Nazionale per la salute della donna, sono tantissimi i temi che si possono affrontare. Ma per la medicina di genere, rimangono realtà numeriche e scientifiche che non possono essere sottovalutate. Anche se la situazione sta progressivamente migliorando, normalmente negli studi clinici la popolazione femminile è sottorappresentata. Questa avviene anche se i dati rivelano che le caratteristiche sesso-specifiche giocano un ruolo importante in termini di effetti collaterali e invecchiamento precoce.

A questa regola generale non sfugge l’infezione da virus HIV. Anche in questo caso, infatti, il genere fa la differenza. Negli studi clinici la popolazione femminile è sottorappresentata, eppure i dati rivelano che le caratteristiche sesso-specifiche giocano un ruolo importante in termini di effetti collaterali e invecchiamento precoce. Ma qualcosa sta cambiando. E si stanno conducendo analisi di dati di vita reale e sperimentazioni cliniche specifiche sulla popolazione femminile con HIV, anche con associazioni di farmaci che vengono specificamente valutate in questo ambito.

HIV, il rischio al femminile

La donna, per la stessa struttura dell’apparato genitale, presenta un rischio di contrarre l’infezione più elevato. La conformazione della vagina può determinare un contatto più prolungato con lo sperma e nella mucosa vaginale possono essere più facilmente presenti microlesioni – legate ad esempio al ciclo mestruale – che facilitano l’entrata del virus. Ma non basta.

“Di fronte all’HIV le donne sono più fragili sotto diversi punti di vista: dal punto di vista immunitario, perché si infettano più facilmente e, in assenza di trattamenti, hanno un maggior rischio di andare incontro all’AIDS; dal punto di vista sociale, perché lo stigma nei confronti di una donna HIV positiva è maggiore, anche in Italia e non solo nei Paesi a basso reddito. A dirlo è Annamaria Cattelan, Direttore dell’Unità operativa di Malattie Infettive dell’azienda ospedaliera di Padova. Per questo è importante che la salute delle donne HIV+ venga adeguatamente monitorata e preservata”.

Nel 2022, in Italia, sono state effettuate 1.888 nuove diagnosi di infezione da HIV, di queste 402 erano donne (21,3%): 116 avevano un’età uguale o maggiore a 50 anni, 209 erano tra 30 e 49 anni, e 71 fra 20 e 29 anni. Continua ad aumentare la quota di donne che arrivano tardi alla diagnosi (circa 60%) e aumenta l’età mediana a cui ci si arriva (36 anni nel 2012 vs 41 anni nel 2022). Un dato da non sottovalutare dal momento che nella popolazione femminile l’infezione porta a un’accelerazione dell’invecchiamento che espone a un rischio aumentato di fratture e di indebolimento della muscolatura, ovvero a sarcopenia.

HIV, un’infezione che “invecchia”

Il processo di invecchiamento, con il passare degli anni, è fisiologico. Ma ci sono eventi che possono accelerarlo. E le infezioni virali possono essere lette e viste anche in questa chiave. “L’infezione da HIV è responsabile di un’accelerazione del processo di “aging” legato allo stato infiammatorio cronico sia nell’uomo sia nella donna, ma con accenti diversi – fa sapere l’esperta. Per esempio, abbiamo una prevalenza di infarto del miocardio più alta tra le donne HIV positive non solo rispetto alle donne HIV negative, ma anche agli uomini HIV positivi. Poi ci sono dati che mostrano un’attivazione del sistema immunitario estremamente più elevata nelle donne con HIV rispetto agli uomini.

Nelle donne riscontriamo maggior deterioramento cognitivo, depressione, ansia, disturbi da stress post-traumatico, condizioni che a loro volta sono influenzate e peggiorate da altri cofattori quali l’abuso di alcol, sostanze stupefacenti o l’utilizzo di farmaci psichiatrici. Particolare attenzione va data infine alla salute delle ossa, che già dopo la menopausa è messa a repentaglio e che l’azione di alcuni farmaci può peggiorare”.

HIV, la storia di un virus

La storia di questo ceppo virale comincia nel mese di marzo 1981, quando i Centers for Disease Control (CDC) di Atlanta, negli Stati Uniti, ricevono la segnalazione che a New York almeno otto giovani uomini omosessuali sono stati colpiti da una forma aggressiva di sarcoma di Kaposi, un tumore molto raro che di solito si caratterizza per l’andamento benigno e la predilezione per l’età avanzata.

Il mese dopo, i CDC vengono avvertiti che stanno aumentando anche i casi di polmonite da Pneumocystis carinii, anch’essa fino a quel momento molto rara. Ancora due mesi e il 5 giugno 1981 il bollettino epidemiologico dei CDC MMWR Weekly pubblica l’articolo “Pneumocystis Pneumonia – Los Angeles”, che segna l’esordio ufficiale dell’epidemia di Aids. Nel maggio 1983 Luc Montagnier, dell’Institut Pasteur di Parigi, riferisce di avere isolato il nuovo virus e lo chiama LAV (Lymphadenopathy-ssociated Virus).

Ne invia un campione a Robert Gallo del National Cancer Institute statunitense che l’anno dopo annuncia la scoperta del virus che causa l’AIDS. Infine, nel 1986 il nuovo virus viene ufficialmente “battezzato” con il suo nome attuale: virus HIV. La sigla sta per Human Immunodeficiency Virus.