Le frasi di Primo Levi da “Se questo è un uomo” rappresentano una testimonianza fondamentale per ricordare e non dimenticare mai la tragedia dell’Olocausto. L’opera venne scritta fra il dicembre del 1945 e il gennaio del 1947: un racconto crudo, diretto e unico fatto dall’autore in base alla sua esperienza nel campo di concentramento di Auschwitz. Nelle pagine di Se questo è un uomo, Levi descrive l’internamento e la prigionia nei campi di Auschwitz e di Monowitz, un lager satellite sede dell’impianto Buna-Werke della I.G. Farben.
DiLei ha raccolto i brani più emozionanti e forti, i passaggi e le citazioni tratte da Se questo è un uomo, per non dimenticare mai quanto accaduto.
Indice
Se questo è un uomo, poesia
La poesia Shemà è un testo composto da 23 versi liberi che apre “Se questo è un uomo” e venne pubblicata nel 1947 per la prima volta. “Shemà” è una parola che in ebraico significa “ascolta”. La poesia venne scritta il 10 gennaio 1946, circa un anno dopo la liberazione del campo di Auschwitz, datata 27 gennaio 1945. Dalle primissime parole di apertura scopriamo dunque l’intento e l’appello di Primo Levi verso i lettori.
Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.
Se questo è un uomo brani scelti per non dimenticare
Primo Levi venne arrestato dai fascisti nel dicembre del 1943 e dopo l’interrogatorio venne trasportato nel campo di Fossoli, in provincia di Modena. Nel febbraio 1944 venne deportato ad Auschwitz e in seguito fu spostato nel campo Buna-Monowitz, conosciuto con il nome di Auschwitz III. Qui, essendo un chimico, divenne uno specialista di laboratorio. La sua prigionia terminò dopo un anno, nel gennaio del 1945 quando l’Armata Rossa entrò nel lager. Lo scrittore riuscì a salvarsi dalla marcia di evacuazione per sgomberare il campo, fatale per molti e voluta dai tedeschi, perché era ricoverato in infermeria. Tornato in Italia, provato nel corpo e nella mente Primo Levi cominciò a scrivere per narrare l’esperienza vissuta.
- Pochi sono gli uomini che sanno andare a morte con dignità, e spesso non quelli che ti aspetteresti.
- Accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso.
- La nostra personalità è fragile, è molto più in pericolo che non la nostra vita; e i savi antichi, invece di ammonirci «ricordati che devi morire», meglio avrebbero fatto a ricordarci questo maggior pericolo che ci minaccia.
- A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che «ogni straniero è nemico». Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager. Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano. La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo
- Di fronte al bisogno e al disagio fisico assillanti, molte consuetudini e molti istinti sociali sono ridotti al silenzio.
- A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che «ogni straniero è nemico». Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e in coordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager.
- Tutti scoprono, più o meno presto nella loro vita, che la felicità perfetta non è realizzabile, ma pochi si soffermano invece sulla considerazione opposta: che tale è anche una infelicità perfetta. I momenti che si oppongono alla realizzazione di entrambi i due stati-limite sono della stessa natura: conseguono dalla nostra condizione umana, che è nemica di ogni infinito.
- A noi non più vivi, noi già per metà dementi nella squallida attesa del niente.
- Il Lager è la fame.
- Nella storia e nella vita pare talvolta di discernere una legge feroce, che suona «a chi ha, sarà dato; a chi non ha, a quello sarà tolto». Nel Lager, dove l’uomo è solo e la lotta per la vita si riduce al suo meccanismo primordiale, la legge iniqua è apertamente in vigore, è riconosciuta da tutti.
- Nell’odio nazista non c’è razionalità: è un odio che non è in noi, è fuori dell’uomo, è un frutto velenoso nato dal tronco funesto del fascismo, ma è fuori ed oltre il fascismo stesso. Non possiamo capirlo; ma possiamo e dobbiamo capire di dove nasce, e stare in guardia.
- Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati al fondo.
- In questo Ka-Be, parentesi di relativa pace, abbiamo imparato che la nostra personalità è fragile, è molto più in pericolo che non la nostra vita; e i savi antichi, invece di ammonirci «ricordati che devi morire», meglio avrebbero fatto a ricordarci questo maggior pericolo che ci minaccia.
- Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c’è, e non è pensabile. Nulla più è nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga.
- Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre.
- La persuasione che la vita ha uno scopo è radicata in ogni fibra di uomo, è una proprietà della sostanza umana.
- Distruggere l’uomo è difficile, quasi quanto crearlo.
- Guai a sognare: il momento di coscienza che accompagna il risveglio è la sofferenza più acuta. Ma non ci capita sovente, e non sono lunghi sogni: noi non siamo che bestie stanche.
- Avevamo deciso di trovarci, noi italiani, ogni domenica sera in un angolo del Lager; ma abbiamo subito smesso, perché era troppo triste contarci, e trovarci ogni volta più pochi, e più deformi, e più squallidi. Ed era così faticoso fare quei pochi passi: e poi, a ritrovarsi, accadeva di ricordare e di pensare, ed era meglio non farlo.
- Se dall’interno dei Lager un messaggio avesse potuto trapelare agli uomini liberi, sarebbe stato questo: fate di non subire nelle vostre case ciò che a noi viene inflitto qui.
- Il sopravvivere senza aver rinunciato a nulla del proprio mondo morale, a meno di potenti e diretti interventi della fortuna, non è stato concesso che a pochissimi individui superiori, della stoffa dei martiri e dei santi.’
- Parte del nostro esistere ha sede nelle anime di chi ci accosta: ecco perché è non-umana l’esperienza di chi ha vissuto giorni in cui l’uomo è stato una cosa agli occhi dell’uomo.
- E infine, si sa che sono qui di passaggio, e fra qualche settimana non ne rimarrà che un pugno di cenere in qualche campo non lontano, e su un registro un numero di matricola spuntato. Benché inglobati e trascinati senza requie dalla folla innumerevole dei loro consimili, essi soffrono e si trascinano in una opaca intima solitudine, e in solitudine muoiono o scompaiono, senza lasciar traccia nella memoria di nessuno.
- Tutti scoprono, più o meno presto nella loro vita, che la felicità perfetta non è realizzabile, ma pochi si soffermano invece sulla considerazione opposta: che tale è anche una infelicità perfetta. I momenti che si oppongono alla realizzazione di entrambi i stati-limite sono della stessa natura: conseguono dalla nostra condizione umana, che è nemica di ogni infinito. Vi si oppone la nostra sempre insufficiente conoscenza del futuro; e questo si chiama, in un caso, speranza, e nell’altro, incertezza del domani.
Frasi di Primo Levi su Auschwitz
Primo Levi riuscì a sopravvivere nel campo di Auschwitz per un anno. Dopo essere stato liberato nel 1945, cominciò a scrivere per raccontare la sua esperienza, riportando la verità cruda e dura su quanto accaduto.
Il campo di concentramento di Auschwitz (chiamato in tedesco Konzentrationslager Auschwitz) è stato complesso vastissimo di campi di concentramento e di sterminio costruiti vicino alla cittadina polacca di Oświęcim (denominata Auschwitz in tedesco). Nel corso della seconda guerra mondiale, in un periodo tra il 1940 e il 1944, in questo complesso furono sterminati oltre un milione di prigionieri, la maggioranza ebrei.
Auschwitz svolse durante la guerra un ruolo fondamentale nella realizzazione della cosiddetta “soluzione finale della questione ebraica”, diventando uno dei centri di sterminio più efficienti della Germania nazista e un simbolo dei lager come fabbrica della morte.
- Se non altro perché un Auschwitz è esistito, nessuno dovrebbe oggi parlare di Provvidenza.
- Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia.
- Devo dire che l’esperienza di Auschwitz è stata tale per me da spazzare qualsiasi resto di educazione religiosa che pure ho avuto. C’è Auschwitz, quindi non può esserci Dio. Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo.
Le frasi di Primo Levi per non dimenticare
Superstite dell’Olocausto, Primo Levi non ha mai smesso di raccontare l’orrore vissuto nel campo di concentramento. Una missione, la sua, per non dimenticare e per portare avanti la memoria di quanto accaduto. L’obiettivo dello scrittore infatti è sempre stato quello di narrare la Shoah per far in modo che una tragedia simile non possa ripresentarsi in futuro.
- Occorre diffidare del quasi-uguale, del praticamente identico, del pressappoco, dell’oppure, di tutti i surrogati e di tutti i rappezzi. Le differenze possono essere piccole, ma portare a conseguenze radicalmente diverse, come gli aghi degli scambi; il mestiere del chimico consiste in buona parte nel guardarsi da queste differenze, nel conoscerle da vicino, nel prevenirne gli effetti. Non solo il mestiere del chimico. (Il sistema periodico)
- In ogni gruppo umano esiste una vittima predestinata: uno che porta pena, che tutti deridono, su cui nascono dicerie insulse e malevole, su cui, con misteriosa concordia, tutti scaricano i loro mali umori e il loro desiderio di nuocere. (La tregua)
- Se è vero che non c’è maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria, è altrettanto vero che rievocare un’angoscia ad animo tranquillo, seduti quieti alla scrivania, è fonte di soddisfazione profonda. (Il sistema periodico)
- L’uomo è gregario, e ricerca più o meno consapevolmente la vicinanza non già del suo prossimo generico, ma solo di chi condivide le sue convinzioni profonde (o la sua mancanza di tali convinzioni). (La tregua)
- Il fascismo non era soltanto un malgoverno buffonesco e improvvido, ma il negatore della giustizia; non aveva soltanto trascinato l’Italia in una guerra ingiusta ed infausta, ma era sorto e si era consolidato come custode di un ordine e di una legalità detestabili, fondati sulla costrizione di chi lavora, sul profitto incontrollato di chi sfrutta il lavoro altrui, sul silenzio imposto a chi pensa e non vuole essere servo, sulla menzogna sistematica e calcolata. (Il sistema periodico)
- Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo. Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio: la vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa. (La tregua)
- Perché ognuno è l’ebreo di qualcuno, perché i polacchi sono gli ebrei dei tedeschi e dei russi. Perché Edek è un uomo mite che ha imparato a combattere; ha scelto come me ed è mio fratello, anche se lui è polacco e ha studiato, e io sono un russo di villaggio e un orologiaio ebreo. (Se non ora, quando?)