Il mito del “vero uomo” e la crisi generazionale

Mai che siano empatici o sensibili, vulnerabili ed emozionati. Gli uomini non possono farlo, perché così verrebbe meno il loro ruolo nella società

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Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Mi capita spesso di ascoltare amiche, conoscenti e colleghe e di sentire espresso il desiderio comune di incontrare o avere accanto un vero uomo. Ammetto che forse, qualche volta in passato, ho utilizzato anche io la medesima espressione per descrivere quello che sarebbe stato il mio partner ideale. E intendiamoci, il riferimento al modo di vestirsi, piuttosto che alla scelta del taglio dei capelli, non aveva nessun nesso.

Per me, sicuramente, ma non per gli altri. Perché me lo ricordo bene come i miei compagni di scuola alle medie si facevano la guerra tra di loro scegliendo di offendersi e denigrandosi a vicenda con quegli epiteti che oggi non fanno altro che definire un orientamento sessuale. Come se poi, amare qualcuno dello stesso sesso, servisse davvero a definire l’identità di qualcuno.

E allora il vero uomo chi è? Cos’è che permette di raggiungere questo status tanto ambito dalla controparte maschile e richiesto anche dalle donne? E soprattutto perché ancora oggi utilizziamo questa frase che tende inevitabilmente e dividere tutto ciò che è maschile e femminile? Io una risposta me la sono data e ho capito che è tutta colpa del retaggio culturale che esiste e persiste nella nostra società.

Lo stesso che condanna le donne ed elogia gli uomini quando si sceglie di vivere la propria sessualità in maniera libera, o quando si decide di seguire uno sport o una professione che la società aveva deciso non essere appropriata per il sesso debole. Ma questi sono solo alcuni esempi tra tanti, s’intende.

E se è vero che per noi donne, affermarci nella società e nel lavoro, ottenere dei ruoli che ci siano affidati e riconosciuti alla stregua della controparte maschile, è una vera e propria battaglia che dobbiamo combattere ogni giorno, è vero anche anche gli uomini scendono in trincea per una guerra parallela e non per questo meno difficile.

Perché loro devono dimostrare a se stessi, e prima di tutto agli altri, di essere capaci di guadagnarsi quell’appellativo che noi stesse utilizziamo con tanta facilità quando ci riferiamo ai nostri amici, al partner, ai familiari e persino ai nostri figli. Ed eccola qua la gabbia del vero uomo, una prigione con i secoli si è fatta sempre più piccola e soffocante, sempre più invalicabile.

Ed eccoli qua gli uomini, costretti a superare chissà quali prove per mostrare in continuazione la loro virilità. Mai che possano mostrarsi fragili o vulnerabili, che siano empatici o sensibili, che non palesino i loro animaleschi istinti. Non possono farlo, non possono essere chi vogliono essere perché la società non glielo lo concede. Lei che come una giuria passa a scrutinare ogni dettaglio per capire chi sono gli eredi del mito e chi invece è da escludere.

Ogni movimento, ogni capo d’abbigliamento indossato, il taglio di capelli e il tono della voce sono sempre sottoposti al giudizio degli altri, perché quelle sono solo alcune delle cose che possono contribuire a incarnare quello stereotipo del vero uomo. Meglio essere aggressivi, violenti, animaleschi. Allora sì che si è grandi e virili.

E tutto quello che resta, in questo mare di giudizi, luoghi comuni e imposizioni, è la libertà negata di essere e di esprimersi. Così ecco l’eterna guerra tra uomini e donne che non sembra destinata a finire, dove i primi sono obbligati a rinnegare tutto ciò che è relegato alla sfera femminile per sopravvivere.

Diciamo di voler cambiare gli uomini, di volerli educare, mentre anche noi facciamo parte di questo circolo vizioso senza fine che valorizza e apprezza l’ideale del vero uomo.