Diceva di essere più bassa persino delle sue piccole compaesane, Grazia Deledda, ma il suo coraggio era grande, immenso, e la sua anima forte, ardita e indomabile. Nata nel 1871 a Nuoro, in Sardegna, da una famiglia benestante, quarta di sette tra figli e figlie, fin da piccola si nutriva di libri e storie, che leggeva e ascoltava avidamente.
Era malinconica, particolarmente sensibile, appassionata di storie di quotidianità, di pietà religiosa, di quelle che raccontavano di banditi ed emarginati. Grazia è stata una delle più importanti scrittrici del Belpaese, nonché prima e unica italiana a vincere il Premio Nobel per la letteratura nel 1926. Ripercorriamo la sua storia.
Grazia Deledda, l’infanzia
Nacque a Nuoro, Grazia, il 28 settembre del 1871 come quinta di sette figli. Suo padre, Giovanni Antonio Deledda, era laureato in legge anche se non esercitava la professione, era un imprenditore e possidente dedito sia al commercio che all’agricoltura, interessato alla poesia e fondatore di una tipografia. La madre era Francesca Cambosu, una donna di costumi rigidi che si dedicava alla casa e alla famiglia. Si racconta che finita la quarta elementare i genitori volessero ritirarla da scuola: del resto era una femmina, quindi non consideravano necessario farla proseguire. Lei si impuntò e alla fine l’ebbe vinta, ma continuò gli studi contro il suo volere da casa.
Fu il professore Pietro Ganga ad educarla privatamente insegnandole l’italiano, il latino e il francese, per il resto la sua formazione continuò da autodidatta. E sicuramente l’amicizia con lo scrittore sassarese Enrico Costa fu determinante nella sua formazione letteraria, anche perché Costa ne intuì da subito il talento.
Non era facile per Grazie essere donna, non in una società che vedeva la figura femminile solo come moglie e come mamma. E quel patriarcato, seppur giovanissima, lei lo sentiva addosso, e da quello voleva liberarsi.
I primi successi
Non fu un’adolescenza facile, per Grazia, che si trovò improvvisamente a perdere tutte quelle certezze che, fino a quel momento, avevano costellato il suo mondo. Suo fratello maggiore, Santus, fu vittima di dipendenze mentre Andrea, il più piccolo di casa, venne arrestato per furto. Nel 1892 suo padre morì, qualche anno dopo scomparse, tragicamente, anche sua sorella e la famiglia dovette affrontare un periodo di grandi difficoltà, emotive ed economiche.
Grazie, che era giovanissima, non aveva mai rinunciato al suo sogno di affermarsi nella società. Aveva già inviato a Roma alcuni dei suoi racconti, che vennero pubblicati dall’editore Edoardo Perino sulla rivista L’ultima moda: all’epoca aveva 15 anni. I racconti in questione erano Sangue Sardo e Remigia Helder. La cosa non era ben vista dalla famiglia e dai benpensanti della cittadina, scrivere non era ritenuto un mestiere da donne, figuriamoci per una ragazza. Ma lei proseguì per la sua strada.
Nel 1890 sul quotidiano L’avvenire della Sardegna, Grazia pubblicò a puntate il romanzo Stella d’Oriente mentre l’editore Trevisini le pubblicò un libro di novelle per l’infanzia intitolato Nell’azzurro. Grazia continuò a collaborare con varie riviste sia sarde che continentali, da Nuova Antologia a Illustrazione Italiana, dal Corriere della Sera a La Lettura, attirando le attenzioni di vari letterati.
Nel mese di ottobre del 1899 Grazia decise di trasferirsi in città, in quel di Cagliari, per trovare un ambiente più congeniale alle sue ambizioni letterarie, spesso frustrate dal contesto di origine, come si evince, per esempio, in Cosima, il romanzo autobiografico dove le zie si dimostrano contrarie alle ambizioni della nipote.
Sogno un giorno di poter diradare con un mite raggio le foschie ombrose dei nostri boschi, narrare intera la vita e le passioni del mio popolo, così diverso dagli altri, così vilipeso e dimenticato e perciò più misero nella sua fiera primitiva ignoranza.
I temi dell’ipocrisia e dell’arretratezza della sua realtà d’origine tornano spesso nelle sue novelle, soprattutto le prime, attirandole critiche a volte spietate ma non recidendo mai, nonostante tutto, il suo legame con la terra sarda.
Fu proprio a Cagliari che conobbe e sposò Palmiro Madesani, funzionario del Ministero delle Finanze che scelse di lasciare il lavoro per supportare, concretamente, l’attività di sua moglie diventando il suo agente letterario. Insieme a lui, si trasferì nel 1900 a Roma, città che definì La Gerusalemme dell’arte. Ma anche lì, il suo modo di vivere in maniera così anti convenzionale e rivoluzionaria per quei tempi, suscitò l’attenzione dei benpensanti. Una coppia formata da una donna che scrive per professione e da un uomo che sostiene il suo lavoro, senza occuparsi d’altro, era davvero anomala agli occhi degli altri.
Ma poco importava, ai due, che si erano incontrati e scelti e che insieme avevano deciso di condividere tutto. A Roma la loro vita trascorse tranquilla, in maniera discreta, e dalla loro unione nacquero Franz e Sardus.
La grande scrittrice e il Premio Nobel
Fu la pubblicazione, nel 1903, di Elias Portolu a confermarne il ruolo di scrittrice e da quel momento in avanti furono numerosi i romanzi e le opere letterarie di successo, da Cenere a L’edera, ammirate in Italia ma anche all’estero. Finché nel 1926, Grazia ottenne il premio Nobel per la letteratura, prima e unica scrittrice italiana a vincerlo “Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale, e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano”.
Pirandello (e non solo lui) storse il naso e la denigrò definendola «una brava massaia sarda» (del resto il romanzo Suo marito è proprio ispirato a Grazia e Palmiro). Per inciso, a ritirare il Nobel ci andò ovviamente col marito.
Dei suoi scritti venne detto che erano capaci di ritrarre la vita della Sardegna e in generale che trattavano problemi di interesse umano con calore e profonda comprensione. Grazia, in effetti, era bravissima a indagare e raccontare l’animo umano, esplorandolo in tutte le sue sfaccettature.
Ho avuto tutte le cose che una donna può chiedere al suo destino, ma grande sopra ogni fortuna la fede nella vita e in Dio. Ho vissuto coi venti, coi boschi, colle montagne. Ho guardato per giorni, mesi ed anni il lento svolgersi delle nuvole sul cielo sardo. Ho mille e mille volte poggiato la testa ai tronchi degli alberi, alle pietre, alle rocce per ascoltare la voce delle foglie, ciò che dicevano gli uccelli, ciò che raccontava l’acqua corrente. Ho visto l’alba e il tramonto, il sorgere della luna nell’immensa solitudine delle montagne, ho ascoltato i canti, le musiche tradizionali e le fiabe e i discorsi del popolo. E così si è formata la mia arte, come una canzone, o un motivo che sgorga spontaneo dalle labbra di un poeta primitivo (Grazie Deledda, Discorso durante il Premio Nobel per la letteratura)
Dopo circa 10 anni dal Premio Nobel, nel 1936, un tumore al seno se la portò via. Ma il suo spirito profondo, complesso e indomabile vive ancora tra noi, attraverso le sue opere.