Ricordata esclusivamente per la sua travolgente storia d’amore con uno degli artisti più importanti del XX secolo, è stata considerata a lungo solo la musa e l’amante. Lei, la cui unica colpa era quella di aver amato l’uomo sbagliato, è diventata prigioniera di tutti quanti i cliché.
Un destino, il suo, che si è perpetuato anche dopo la sua morte. Fino a oggi. Perché sono poche le persone che possono vantare di conoscere il lavoro di Dora Maar e comunque non saranno mai tante quante quelle che conoscono e apprezzano il lavoro di Pablo Picasso.
Ed è forse per quello che conoscono lei, per quel dipinto a olio su tela realizzato nel 1937 scomposto e spigoloso che mette in risalto la personalità della donna, o la annienta. Ma Dora era solo la sua amante e la sua musa temporanea, come del resto lo erano tutte le donne con le quali Picasso aveva una relazione. Solo un altro ritratto.
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Il ritratto di Dora Maar
Ma il ritratto di Dora Maar, quello vero e reale, è stato a lungo ignorato dalle persone. La sua arte è stata poco presa in considerazione dall’ambiente del tempo perché nella sua vita c’era Picasso, lei che era solo l’ombra del più grande artista di tutti i tempi. Eppure era la stessa donna che aveva collaborato con lui in molte opere, compresa la celebra Guernica.
Ma il nome del pittore è rimasto. Perché se ci fosse una Walk of Fame degli artisti, probabilmente Pablo Ruiz y Picasso, avrebbe avuto diritto a quella più lucente. Di Dora, invece, si conosce a malapena la professione, a meno che a quei tempi anche fare la musa si potesse considerare un lavoro.
Persino dopo la sua morte, quando i suoi beni vennero messi all’asta, fu ricordata dai giornali con questi titoli “Sacrificata al Minotauro”, “Segregata con i suoi fantasmi ammuffiti”, “Dora, lacrime dipinte”.
Chi era Dora Maar
Ma chi era davvero Dora Maar? Nata a Parigi il 22 novembre del 1907 a Buenos Aires, Dora cresce in maniera agiata tra Parigi e la capitale argentina. Suo padre Joseph Markovitch è l’autore del padiglione Bosnia Erzegovina all’Esposizione universale di Parigi del 1900 e di altre opere prestigiose. Si appassiona, quindi, sin da subito a tutte le forme d’arte, ispirata soprattutto dal lavoro del padre.
Nel 1923 inizia i suoi studi all’École et Ateliers d’Arts Décoratifs dove conoscerà Jacqueline Lamba, futura moglie di André Breton, le due diventeranno presto amiche. Sono questi gli anni in cui si appassiona alla fotografia fino a decidere di iscriversi all’École de Photographie de la Ville de Paris.
Dora diventa una fotografa, gli anni ’30 sono cruciali per la sua carriera. È attratta dalla fotografia di strada e inizia a catturare scene di vita vera, persone senza lavoro e vagabondi della metropoli. Condivide con molte altre artiste del tempo di estradizione borghese, la consapevolezza della diseguaglianza sociale e della disperazione che divampa tra le persone più povere, e da questa in qualche modo è attratta. Ma è affascinata anche dalla magia, dal mistero e dal mondo dei sogni, ecco spiegata la sua particolare predisposizione all’arte surrealista.
Firma il manifesto Appel à la lutte pubblicato da Breton e partecipa attivamente nel gruppo surrealista. Viaggia tanto per l’Europa e trascorre il tempo a catturare le atmosfere delle città che visita. Impegnata in progetti, incarichi, mostre e pubblicazioni, si appassiona anche alla moda.
È il 1936 e Paul Eluard presenta a Dora Pablo Picasso. Il pittore è reduce dalla separazione con Olga Koklova, ma è impegnato sentimentalmente con Marie Thérèse Walter, da cui è nata la piccola Maya. Da quel momento nulla sarà come prima.
L’amore e la devozione al Minotauro
Proprio nel bel mezzo del suo più grande successo, Picasso – che nel Minotauro vedeva la sua doppia natura – entra nella vita di Dora. Tra i due scoppia la passione, un fuoco ardente che passa per la mente, per il corpo e per il cuore. Picasso s’innamora – o almeno così va raccontando – ma questo non basta per lasciare la moglie Olga, nonostante le pressioni di Dora. E, anzi, a questo triangolo si aggiunge anche la modella Marie-Thérèse Walter.
Dividere il proprio tempo tra tre donne può essere complicato eppure, almeno all’apparenza, è Dora la donna alla quale il pittore era più legato. Con lei condivide un legame quasi ultraterreno, legato dalla complicità artistica e dall’intesa intellettuale. In molti sostengono che l’idea di Guernica sia proprio della Maar, essendo lei politicamente più impegnata del pittore.
Ma quell’idillio, non spezzato neanche dai primi tradimenti, si trasforma ben presto in un oblio per la donna. Il loro amore è tossico e malsano, non equilibrato. Eppure viene trascinato per quasi dieci anni. A pagare le conseguenze di questa decisione, però, è solo Dora: la sua carriera fotografica viene compromessa per sempre.
Per Picasso cambia poco e niente, lui che è sempre alla ricerca di nuove conquiste, lui che non nasconde di avere numerose amanti e di mantenere più relazioni aperte nello stesso momento. Ma il potere no, quello è il suo, così come è sua la smania di controllo costante nei confronti delle donne che frequenta.
Le relazioni amorose di Picasso, infatti, sono tutte così, basate sull’idillio iniziale, fatto di dolcezze e lusinghe, di premure e di passione, salvo poi trasformarsi in umiliazioni e frustrazioni, solo ai danni delle sue conquiste. E Dora, purtroppo, non fa eccezione.
Dora Maar, la musa silente
Dopo il primo ed entusiasmante periodo insieme, Picasso trascina Dora in una spirale di continue umiliazioni: lei è la donna che si arrende alla forza e alla potenza del Minotauro, contro lui non può niente. La passione si trasforma in una violenza invisibile per la Maar, costretta a portare addosso il peso del suo carnefice, che però ama più della sua stessa vita.
Picasso la dipinge in numerosi ritratti, continua a stare con lei, ma la scoraggia a continuare la sua carriera. Dora si trasforma in una musa silente, e nient’altro. La sua identità si smarrisce, si perde tra le linee disegnate del pittore. Gli anni trascorrono e il pittore conosce Françoise Gilot. E per quella nuova e giovane amante la relazione, finalmente, si interrompe. È il 1944 e Dora sprofonda in un lungo periodo di depressione.
Tutti pensavano che mi sarei uccisa dopo il suo abbandono. Anche Picasso se lo aspettava. Il motivo principale per non farlo fu privarlo di questa soddisfazione. Non mi sono uccisa perché ero certa che lui fosse certo che lo avrei fatto. È stata la mia ultima parola, in un certo senso. Vivere ancora. Sopravvivergli.
Una vita segnata dall’amore
Dora riesce a mettersi in piedi, a differenza di Olga, che impazzisce, e di Marie-Thérèse che, senza il suo Picasso, si impicca. Per la Maar è diverso, lavora su se stessa per trovare una ragione per andare avanti e lo fa, ma ormai è completamente prosciugata e annientata da tutto quello che la relazione con Picasso è stata.
Abbandonata ormai la macchina fotografica, Dora si dedica alla pittura come forma terapeutica, non partecipando più a esposizioni di alcun tipo. Neanche i giornali parlano più di lei, se non per accostarla al nome del pittore.
Dora si spegne in una casa di ricovero nel 1997. Fu una delle poche amanti a sopravvivere a Picasso non suicidandosi, sebbene di quella relazione dicesse: Io non sono stata l’amante di Picasso. Lui era soltanto il mio padrone.