Coppa Davis ’76: il significato della maglietta rossa di Panatta

La prima vittoria dell'Italia in Coppa Davis e la decisione simbolica di Adriano Panatta di giocare con una maglietta rossa

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Virginia Leoni

Giornalista e Lifestyle Editor

Nata nel 1981, giornalista, ufficio stampa e socia di una casa editrice, ha trasformato la sua passione in lavoro. Ama scrivere, leggere e raccontare.

Pubblicato: 1 Dicembre 2023 13:00

Ci sono date che fanno la Storia. La fanno per l’evento in sé, ma anche per i significati. E quella del 1976, con la vittoria degli italiani del tennis in Coppa Davis è una di quelle. Intrisa di un profondo significato sportivo e politico, grazie alla scelta di Adriano Panatta di indossare una maglietta rossa.

E la storia dello sport, di ogni tipo di sport, è scandita da momenti importanti, che possono essere evocati semplicemente scrivendo poche cifre numeriche.

Qualche esempio: 1982 e 2006 la vittoria dei Mondiali di calcio, 2008 Federica Pellegrini vince l’oro olimpico a Pechino, 1973 la battaglia dei sessi, 2023 l’Italia vince la Coppa Davis con l’impresa storica di Sinner e degli altri tennisti, 1976 la stessa impresa la compiono Adriano Panatta e il resto della squadra.

Date, che restano, numeri che basta citare per ricordare le emozioni, i successi, la fatica. Nel caso della Coppa Davis del 1976 non solo quelle, ma anche una presa di posizione contro la dittatura.

Santiago del Cile 1976, la vittoria italiana in Coppa Davis

Santiago del Cile, 19 dicembre del 1976 Adriano Panatta, Nicola Pietrangeli (capitano ma che non ha giocato), Paolo Bertolucci, Corrado Barazzutti e Antonio Zugarelli hanno vinto la Coppa Davis: un evento importante che ha segnato la storia sportiva per molte ragioni.

Una di queste è l’importanza dell’impresa, infatti si è trattato di un risultato unico per tanti anni (a rompere l’attesa è stata la nazionale azzurra nel 2023). L’altra ragione è politica e, in questo caso, simbolo di quell’evento sportivo sono state delle magliette. Rosse.

Il significato va ricercato negli eventi dell’epoca e, per farlo, dobbiamo raccontare del Cile e di quello che era avvenuto qualche anno prima.

La nazionale italiana dopo la vittoria della Coppa Davis nel 1976
Fonte: ANSA
La nazionale italiana che ha vinto la Coppa Davis nel 1976

La situazione politica in Cile, ma non solo

La finale di Coppa Davis era stata disputata a Santiago del Cile, capitale del Paese, dove all’epoca da circa tre anni vi era al governo una dittatura retta dal generale Augusto Pinochet (che è rimasto al potere per circa 17 anni). Un periodo molto buio segnato dall’oppressione dei dissidenti e dell’opposizione.

In Italia, il dibattito sul giocare la finale contro il Cile (che era arrivato a quel punto del torneo d’ufficio a seguito della squalifica dell’Unione Sovietica) e di disputarla a Santiago, è stato acceso e si è svolto addirittura in televisione.

Adriano Panatta, in un’intervista rilasciata a Che tempo che fa, aveva raccontato che aveva saputo che a Berlinguer era arrivata una lettera del Partito Comunista clandestino cileno in cui si chiedeva all’Italia di andare. La politica e il Coni, poi, hanno lasciato che fossero i giocatori a decidere. E così, alla fine, è stato stabilito di prendervi parte.

E, lì, il gesto di Adriano Panatta è stato una presa di posizione importante.

Il significato delle magliette rosse

È durante il secondo giorno della finale che Adriano Panatta, classe 1950 all’epoca 26enne, scende in campo indossando una maglietta rossa e chiede al suo compagno nel doppio, Paolo Bertolucci, di fare lo stesso. I due, quindi, giocano i primi set indossando questo capo dal significato profondo, perché era un simbolo di protesta e di solidarietà nei confronti della popolazione cilena.

“La maglietta rossa non era il Partito Comunista. Il colore rosso era il colore dei fazzoletti delle donne cilene, che andavano in piazza perché reclamavano il fatto che i loro fratelli, figli e mariti erano scomparsi. Quello era il segnale, ma lì non se ne accorse nessuno”, aveva raccontato Adriano Panatta a Che tempo che fa.

Su quell’evento è stato realizzato un film documentario nel 2009 diretto da Mimmo Calopresti.