Donne ribelli: Cecilia Mangini, la prima documentarista italiana

«Sono convinta che il documentarista è assai più libero del regista di film di finzione, ed è per questo, per la mia indole libertaria con cui convivo fin da bambina, che ho voluto essere una documentarista»

Foto di Sabina Petrazzuolo

Sabina Petrazzuolo

Lifestyle editor e storyteller

Scrittrice e storyteller. Scovo emozioni e le trasformo in storie. Lifestyle blogger e autrice di 365 giorni, tutti i giorni, per essere felice

Il suo animo indomito, quello è certo, lo ricorderemo per sempre. Perché è stato quello a caratterizzare la vita e i successi di una donna ribelle e straordinaria. Regista, sceneggiatrice e fotografa italiana, Cecilia Mangini è stata la prima documentarista italiana. E il suo passaggio in questa vita ci ha lasciato un’eredità immensa. Riscopriamo la sua storia.

Chi era Cecilia Mangini

Nata a Bari nel 1927, da padre pugliese e madre toscana, Cecilia sin da bambina è una sovversiva. La sua voglia di libertà è soffocata dalle regole sociali della famiglia materna, le stesse che sembrano fatte per essere infrante. Cresce tra la Puglia e la Toscana appassionandosi, sin dalla giovane età, alla fotografia e al cinema.

È in Toscana, e più precisamente a Firenze che la giovane conoscerà il cinema internazionale. Da qui la decisione di trasferirsi a Roma, ormai venticinquenne, per inseguire i suoi sogni. Ma l’attività di fotografa non è qualcosa per donne, non a quei tempi.

Eppure è proprio Cecilia a stravolgere le credenze del tempo, non solo perché sceglie di imbracciare la fotocamera, ma perché rinuncia alla fotografia di posa per scoprire quella di strada. Perché è quello che le interessa: scoprire l’umanità, straordinaria e cruda, gioiosa e sofferente. E raccontarla.

Cosa significa essere una fotografa? Significa spogliarsi di tutte quelle che sono le nostre idee preconcette e andare in cerca… non della verità, la verità non esiste. È andare in cerca di qualcosa di molto più profondo della verità, qualcosa di assolutamente nascosto… e la fotografia, come tutto ciò che è un’icona, lo rivela

La prima documentarista italiana

L’attività da fotografa la porta a collaborare con importanti riviste del settore cinematografico, ma sarà dopo la proposta del giovane produttore Fulvio Lucisano che si addentrerà nel cinema documentario. E sarà la prima donna a farlo.

Insieme a suo marito, il regista e sceneggiatore italiano Lino Del Fra, Cecilia si dedica a lavori documentaristici che raccontano le condizioni delle periferie. Il debutto avviene nel 1958 con il cortometraggio a colori Ignoti della città. La pellicola è ispirata al romanzo Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini. In scena ci vanno i ragazzi, quelli che lottano ogni giorno con la povertà e i desideri irrealizzabili, quelli che si tengono in piedi grazie ai sogni, mentre il boom economico li esclude.

Questo esordio segna anche l’inizio di una lunga collaborazione con Pasolini. Da questa nascerà quello che è stato definito uno dei migliori documentari del cinema italiano: La canta delle Marane.

Ma guai a definire Cecilia solo una regista, perché lei era molto di più. Una pioniera:

Se mi si chiede cosa sono, io rispondo: sono una documentarista (…). Sono convinta che il documentarista è assai più libero del regista di film di finzione, ed è per questo, per la mia indole libertaria con cui convivo fin da bambina, che ho voluto essere una documentarista. Il documentario è il modo più libero di fare cinema.

Continuerà il suo lavoro tra indagini, inchieste sui lavoratori e lungometraggi politici, per poi riprendere il tema delle periferie negli anni ’70 lavorando ancora con altri scrittori e con suo marito per il resto dei suoi giorni.

Nonostante il periodo di fermo nel ventennio successivo – una scelta consapevole scaturita dai cambiamenti del mondo cinematografico che sembrano non appartenerle più – nessuno la dimentica, come dimostra il successo di quel documentario del 2012 In Viaggio con Cecilia che interrompe il silenzio della sua produzione.

E produrrà ancora, in tutto più di 40 documentari nella sua vita caratterizzati dallo stesso fil rouge: un racconto autentico e spontaneo, a tratti ossessivo, della verità. Pellicole di ordinaria straordinarietà che si sono trasformate nella più grande eredità culturale che oggi ci appartiene e che ci ha lasciato in custodia prima dell’ultimo saluto quel 21 gennaio del 2021.