Con gli anni, e le esperienze e le sofferenze, è cambiato il mio modo di vivere con l’atrofia muscolare che mi accompagna sin dalla nascita. La consapevolezza ha cambiato il mio modo di percepire me stessa, il mio valore. Così ho trasformato tutti quei muri in trampolini di lancio e mi sono concessa il lusso di amarmi. Di sentirmi profondamente viva.
Così inizia il racconto di Ilaria Baccifava, una storia fatta di sogni e di speranze, di gioia di vivere, ma anche di tanti dolori, sconfitte e sofferenze. Una delle storie più belle per noi, perché è reale come solo lei sa essere. Così ho raggiunto Ilaria telefonicamente per conoscerla e per prendere esempio da una donna fortissima, seppur all’apparenza così fragile, che ha ha saputo trasformare tutte le difficoltà in opportunità.
“Un esempio per me, un esempio per tutte” ho pensato quando ho letto la sua storia, quando ho letto quelle pagine di vita che lei sola ha scritto e che racconta attraverso il suo sito web e i suoi social network. E non mi sbagliavo, perché Ilaria è una forza della natura anche se la SMA, Atrofia Muscolare Spinale, quella forza ha provato a strappargliela via.
È nata nelle Marche, Ilaria Baccifava, dove tutt’ora vive. Quando le ho chiesto di raccontarmi un po’ di lei non ha iniziato a parlarmi dei suoi gusti personali, delle sue passioni o dei suoi sogni no. Lei mi ha parlato direttamente della vita, in generale, perché è questa che è stata la sua più grande fonte di ispirazione.
La vita è un’avventura bellissima, ora lo so. Solo che nel percorso che intraprendiamo ci sono tantissime buche. I miei sono stati dei crateri in realtà considerando tutte le complicazioni e i limiti dovuti a questa malattia genetica che mi accompagna sin da bambina ogni giorno. Però è doveroso, per tutti, farsi una domanda a un certo punto. Questo viaggio come lo voglio vivere? Da passeggero o da guidatore? Perché la vita è una scelta, quella da prendere per decidere da che punto di vista guardare quelle esperienze che scegliamo e subiamo. La mia più grande esperienza l’ho subita, ma tutte le altre le ho scelte.
Immagino di conoscere già la risposta, le ho detto, mentre mi rendevo conto dell’immensa lezione di vita che stava dando a me e a tutti. ”Ma io sono un eroe, intendiamoci” – ha poi aggiunto – “Avere una malattia non mi rende migliore degli altri, né tanto meno una paladina. Ed è da questa consapevolezza che ho capito che è necessario prendersi la responsabilità della propria vita, perché è da lì che diventi la guida, che prendi il comando. È a quel punto che trovi tutte le opportunità di crescita, attraversando le paure e affrontandole”.
Ho scelto di ingegnarmi a vivere. Mi sono presa la responsabilità della mia vita.
Immagino non sia stato sempre così.
No, infatti. Da bambina non avevo questa consapevolezza, come avrei potuto averla? E non c’era solo la mia malattia con la quale dovevo fare i conti, ma anche la scomparsa prematura di mia madre. Capisci che vivevo in un contesto in cui l’armonia familiare era completamente distrutta, anche se i miei nonni e mio padre cercavano di non far trapelare quella sofferenza che ormai era marchiata dentro.
E cosa facevi a quei tempi?
Ero spaventata, terrorizzata dalla diversità. Avrei voluto annullarla, essere come tutti gli altri. Ma la verità è che non sapevo farlo perché era impossibile. Però ho cercato delle strade alternative, mentre la malattia peggiorava e i muscoli si indebolivano. Non ero coraggiosa no, avevo solo paura. Così mi sono rifugiata in un grande sogno.
Quale?
Quello di prendere la patente a 18 anni.
Come mai?
Sai, quando ero piccola e andavo sull’autoscontro mi sentivo esattamente come gli altri bambini della mia età. La mia diversità, anche se per pochi minuti, si annullava. Così prendere la patente mi sembrava l’unico traguardo fa raggiungere per dimenticare quello che mi era successo, anche se dimenticare impossibile.
E poi?
Poi ho compiuto 18 anni. E proprio quando credevo di essere arrivata al traguardo il mio sogno si è frantumato in mille pezzi. Mi sono presentata davanti a una commissione medica che ha negato la mia idoneità alla guida. In quel momento ho capito che non potevo annullare la mia diversità.
Dopo cos’è successo?
Senza quel sogno, devo confessarti, che non avevo più nulla che mi dava fiducia nel futuro. Mi sono iscritta all’Università, alla Facoltà di Economia e questo per un po’ mi è bastato, anche perché ero molto brava negli studi. Ma anche in questo caso lo facevo solo per raggiungere uno status nella società, perché senza quella mi sembra che io non fossi niente. Ma avevo smesso di prendermi cura di me stessa, in tutto e per tutto. Mi ero limitata a sopravvivere.
Quando hai capito che potevi e dovevi riappropriarti della tua vita?
È successo un giorno che mi avevano invitata a una festa. Mi sono resa conto, banalmente, che gli abiti che avevo nell’armadio non mi stavano più bene. Lì mi è scattato qualcosa dentro, la consapevolezza che era arrivato il momento di prendermi cura di me stessa. Perché è vero, quel sogno non c’era più, ma c’ero io con altri sogni. E potevo dare di più, potevo fare meglio con tutto quello che avevo a disposizione. E così ho fatto partendo da me, dalla cura dell’alimentazione alla logopedia, passando per la fisioterapia.
Ma la storia di Ilaria è tutto un divenire e non si ferma solo a questa consapevolezza. Ma a una trasformazione continua e personale che scandita dalle opportunità della vita che arrivano solo se le sai cogliere.
A 30 anni è arrivato il regalo più bello, quello che la vita mi ha fatto forse per premiarmi del fatto che avevo ricominciato a prendermi cura di me e a credere in lei. Ho scoperto, durante una fiera, che era stato messo a punto un dispositivo in grado di far guidare le persone affette dalla mia malattia. Si tratta sostanzialmente di un joystick che mi permette di accedere al freno e al volante. E a 31 ce l’ho fatta: ho preso la patente!
E ora di cosa ti occupi? Quali sono i tuoi obiettivi?
Ora faccio tutto ciò che mi va di fare. Dopo aver intrapreso un percorso di crescita personale e gestione emotiva, che continuo a fare ogni giorno, mi affianco ai coach e ai formatori. Lavoro con le scuole e con le aziende affinché tutti riescano a trovare il proprio valore nella vita, anche se questa è imperfetta. È il valore che attribuiamo all’imperfezione che ci rende felici. E poi ho scoperto una passione per il teatro. Faccio parte dell’associazione culturale e teatrale gli Smisurati con la quale organizziamo spettacoli cui fondi vengono devoluti in beneficienza. Con l’ultimo , per esempio, abbiamo raccolto i fondi da destinare alla creazione di una biblioteca di Dapaong, in Togo.
“È il valore che attribuiamo all’imperfezione che ci rende felici”, ripeto tra me e me, mentre non posso fare a meno di pensare a tutti gli altri, quelli che hanno tutto, materialmente per esempio, e quelli che vivono in condizioni che possiamo definire normali, eppure sono infelici. Ilaria sembra capire dove voglio arrivare e aggiunge:
Ne ho incontrate tante di persone così, che hanno tutto eppure sono profondamente insoddisfatte dalla vita perché dentro sono divorate dalla paura e dalle insicurezza, da vuoti che cercano di riempire con oggetti materiali o con atteggiamenti discutibili. Ed è a loro che mi rivolgo sopratutto quando invito chi mi conosce a girare lo specchio, a guardarsi dentro, anche se fa male.
C’è qualcuno che è stato particolarmente d’ispirazione per te in questo percorso di cambiamento?
Il mio coach, sicuramente. E poi mio papà. Il mio pilastro. L’uomo che mi ha insegnato i valori di rispetto e responsabilità. Di dedizione. Lui è sempre stato al mio fianco, mi ha incoraggiata a vedere le opportunità nelle dIfficoltà. ”Ilaria è ovvio che non puoi fare tutto” – mi diceva – “Ma con tutto quello che hai puoi fare un sacco di cose”. No, papà non è stato solo un pilastro, perché anche quelli a volte cedono. Lui rappresenta le fondamenta.
Che progetti hai per il futuro?
Voglio continuare a dedicarmi al mio lavoro, a raccontare le mie storie per ispirare e aiutare più persone possibili. Spero presto di poter scrivere un libro.
Dove possiamo seguirti?
Su Instagram e su Facebook, dove ho fondato la mia piccola community di “ingegnosi”, persone che si ingegnano a vivere giorno dopo giorno.
Un consiglio alle nostre lettrici?
Guardate in faccia le vostre paure, affrontatele con coraggio perché è grazie a quelle che possiamo risplendere nella nostra imperfetta unicità.