Educare al piacere: perché il benessere passa (anche) da qui

Parlare di piacere rende più efficaci i richiami al sesso sicuro, promuove parità e rispetto e fa parte dell’educazione olistica promossa dall’OMS

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Veronica Colella

Sex Editor

Content writer con una laurea in Scienze antropologiche e un passato tra musei e archivi. Scrive di sessualità e questioni di genere da un punto di vista sex positive, con la consapevolezza che non esistono risposte semplici a psicodrammi complessi.

Quando si parla di salute sessuale si pensa subito alle regole del sesso sicuro, spesso elencate in maniera clinica e impersonale. Eppure, i programmi che si limitano a fornire una panoramica delle nozioni di anatomia necessarie per evitare gravidanze indesiderate e qualche vago e sbrigativo accenno all’esistenza delle malattie sessualmente trasmissibili (MST) non si sono rivelati granché efficaci. Forse permettono a educatori e personale sanitario di girare intorno ai temi più delicati, evitando imbarazzo e tensioni, ma non soddisfano la curiosità e la sete di informazioni degli adolescenti e tantomeno quella degli adulti.

Lo conferma un recente studio pubblicato sulla rivista Plos One, dimostrando dati alla mano che parlare di piacere rende le cosiddette popolazioni a rischio più ricettive alla prevenzione. E lo suggerisce anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ampliando il concetto di salute sessuale in accordo con una visione a tutto tondo dell’educazione sessuale nel suo complesso.

Cosa significa salute sessuale

La salute sessuale non è solo assenza di malattia: nella definizione dell’OMS, il benessere legato alla sessualità è sia fisico che emotivo, mentale e sociale. Per quanto possa essere importante parlare di prevenzione e di biologia, non bisognerebbe dimenticare che fa parte della salute sessuale anche “la possibilità di avere esperienze sessuali piacevoli e sicure, libere da coercizioni, discriminazioni e violenza”, argomenti diventati ancora più rilevanti nel post Me Too.

«Perché la salute sessuale sia raggiunta e mantenuta è necessaria una comprensione ampia della sessualità, che va oltre la genitalità e gli aspetti di funzione» conferma il dottor Daniel Portolani, psicologo, psicoterapeuta e consulente sessuologico. «Si dovrebbe concedere il giusto spazio anche ai temi dell’equità, del rispetto delle differenze, del diritto di autodeterminazione, del consenso, dell’assenza di violenza e coercizione, del diritto all’integrità del corpo, all’autonomia, alla privacy, all’informazione e all’educazione sessuale, alla partecipazione al discorso pubblico e naturalmente anche al piacere. Per questo l’OMS sottolinea da anni l’importanza di una educazione sessuale definita “comprensiva” o “olistica”, che comporta lo spostamento da un approccio preventivo – il cui focus è posto sui rischi della sessualità – a un approccio orientato alla crescita della persona, mettendo l’accento su competenze e capacità di autodeterminazione rispetto alla propria sessualità e alle proprie relazioni, nelle diverse fasi della vita. E in questo modo si contribuisce a creare una società migliore, più rispettosa delle diversità e popolata da individui in grado di instaurare relazioni paritarie, dove vi sia comprensione reciproca e attenzione per i bisogni e i limiti di tutti».

A questo proposito, la World Association for Sexual Health (WAS) ha emesso già nel 2019 una Dichiarazione sul piacere sessuale elevando questo aspetto a “anello mancante” tra il possesso di informazioni adeguate e il raggiungimento della salute sessuale stessa. L’opinione degli esperti è che pensieri, fantasie, sogni, emozioni e sentimenti siano parte integrante della sessualità umana, così come il piacere fisico e psicologico. Perché allora se ne parla così poco?

I rischi del silenzio

Nel nostro paese i programmi di educazione sessuale che includono questi aspetti incontrano resistenze più forti rispetto a quanto accade in altri paesi europei, come l’Olanda o la Norvegia. Timori e diffidenze che rischiano di lasciare un vuoto educativo sia nei più giovani che negli adulti, riempito, come sempre, da Internet.

«L’assenza di un’educazione comprensiva non incontra i bisogni e le curiosità che naturalmente sorgono nei giovani e negli adulti, dirottando la ricerca di informazioni verso i materiali pornografici mainstream, più facilmente accessibili, che propongono una visione della sessualità ristretta e poco paritaria, solitamente appiattita su un punto di vista maschile e eterosessuale» prosegue lo psicologo. «A differenza della pornografia etica, non si può dire che aiutino a formare in modo corretto la sensibilità degli spettatori verso il sesso sicuro: non vengono quasi mai usati metodi di barriera, i tempi sono accelerati, i genitali sono esteticamente poco rappresentativi della maggioranza della popolazione, non c’è educazione al consenso. Sarebbe sbagliato però demonizzarli: si tratta di materiali che non nascono a scopo educativo ma di intrattenimento e che si ritrovano a coprire loro malgrado un gap lasciato dalla mancanza di un’educazione che insegni, tra gli altri, ad utilizzarli nel modo corretto e a collocarli nella dimensione ludica alla quale appartengono».

Una responsabilità sgradita

Quella di educare le giovani menti al sesso è una responsabilità che non vorrebbero nemmeno attrici e attori. In una riflessione pubblicata sul New York Times, l’ex-superstar dei film per adulti Stoya scherza amaramente sul fatto che questo pensiero la tenga sveglia la notte. Quello che facciamo nei film, spiega, è mettere in scena uno spettacolo, come gli attori di pro-wrestling o le ballerine di danza classica. Non sono istruzioni pratiche, né hanno l’ambizione di sostituirsi a un vero percorso educativo, sentimentale e sessuale.

A prescindere dagli sforzi fatti dall’industria per portare gli spettatori dietro le quinte e inquadrare gli scenari di fantasia nel giusto contesto, o dalla pluralità dei punti di vista rappresentati dalla pornografia etica (come quello femminile o quello queer), Stoya si dichiara scettica sul fatto che la pornografia sia il mezzo più adatto per insegnare le basi del sesso sicuro, in particolare dal punto di vista emotivo. Perché il sesso sia davvero piacevole nella vita reale servono empatia, abilità nel leggere il linguaggio del corpo dell’altro e anche una sana abitudine nel discutere apertamente di limiti e preferenze. Tutte competenze che possono essere apprese con un approccio continuativo e completo all’educazione sessuale.

Trovare parole migliori

Educare al piacere significa anche trovare parole migliori per parlare di vecchi concetti. Pensiamo ai cosiddetti preliminari: un termine ombrello che include tutta una serie di attività considerate accessorie al “sesso vero e proprio”, come un preambolo di cui volendo si può fare a meno.

Uno schema di pensiero limitante, soprattutto per le donne che finiscono per sentirsi sbagliate se i rapporti penetrativi le lasciano freddine o addirittura risultano dolorosi per una varietà di ragioni, dalla vulvodinia alla menopausa. «La parola “preliminari” solitamente sottintende una sorta di gerarchia negli atti sessuali, enfatizzando la parte penetrativa a scapito di tutto il resto, vissuto come introduttivo o di contorno» chiarisce l’esperto. «In realtà si tratta di sessualità a tutti gli effetti: sono atti con pari dignità e spesso portano più piacere e benessere della penetrazione stessa, senza contare che per alcun* rappresentano la sessualità in toto, dalle persone disabili ad alcune coppie non eteronormative».

La situazione in Italia

Le linee guida per creare programmi educativi adatti a tutte le fasce d’età ci sarebbero, sia seguendo la Guida tecnica internazionale sull’educazione sessuale dell’UNESCO che rispettando gli standard proposti dall’Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS. In Italia però l’educazione sessuale non è obbligatoria e l’ultima parola sulle scelte educative dipende in larga parte dai progetti regionali e dalle associazioni presenti sul territorio, creando una realtà frammentata.

Per fortuna, dove non arrivano le istituzioni ci pensano professionisti e sex educator che cercano di integrare le conoscenze acquisite da giovani e meno giovani con iniziative via social, nonché attraverso podcast e libri di divulgazione. «In Italia è difficile portare avanti insegnamenti sulla diversità, sul rispetto e sui diritti sessuali nel contesto scolastico, anche per via della campagna di disinformazione legata alla famigerata “teoria gender”, che di fatto non esiste» conclude l’esperto. «Tuttavia, esistono diverse iniziative professionali destinate ai giovani, come quelle a cura dell’Istituto di Sessuologia Clinica. Oggi uno dei canali più utilizzati per l’educazione sessuale è Instagram, dove sex educator italiani e stranieri condividono informazioni corrette e affidabili, anche se bisogna scegliere accuratamente le proprie fonti».