Immaginate qualcosa che, lentamente, si deposita su un tessuto. Lo pervade. Lo rende rigido e gli toglie elasticità. Ebbene, qualcosa di simile accade in chi soffre di amiloidosi cardiaca. Nel cuore si accumula l’amiloide, una sostanza composta da fibrille, ovvero strutture non degradabili. Col tempo, queste si depositano nel tessuto muscolare e non lo fanno lavorare bene. Il cuore diventa più “spesso”, si contrae male, non si riempie e non si svuota come dovrebbe. Arrivare presto con la diagnosi di questa condizione è fondamentale.
Lo ricorda la campagna “Il cuore lo sa – AMIloidosi cardiaca: Ascolta, Monitora, Informati”, promossa da Pfizer con l’egida di Società Italiana di Cardiologia (SIC) e la collaborazione di Fondazione italiana per il cuore e fAMY Onlus. L’obiettivo dell’iniziativa è aumentare la conoscenza e la consapevolezza sui sintomi della malattia, favorirne l’identificazione precoce e la diagnosi tempestiva e indirizzare i pazienti verso i Centri di riferimento specializzati.
Ma come si scopre la malattia? Chi rischia di più? E come si affronta la situazione? ce lo ricorda Cristina Chimenti Professore Associato di Cardiologia presso l’Università Sapienza di Roma e Capo Area Malattie Rare dell’ANMCO – Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri.
Indice
Come si classifica l’amiloidosi e chi rischia di più
Sostanzialmente si conoscono due forme di amiloidosi cardiaca. La prima è l’amiloidosi cardiaca da catene leggere, definita AL (da amyloid light chain), non ereditaria e dovuta alla deposizione nel muscolo cardiaco di frammenti di immunoglobuline, prodotte in quantità eccessiva da plasmacellule tutte identiche tra loro (definite “clone”) che formano la sostanza amiloide. Si tratta di un vero e proprio tumore del sangue. La seconda forma che conosciamo e che sta aumentando sempre di più nella popolazione è l’amiloidosi da transtiretina, una sostanza prodotta principalmente dal fegato. A sua volta questo tipo di amiloidosi si divide in una forma ereditaria o mutata, causata da una mutazione del gene della transtiretina, e in una forma acquisita, detta wild type o senile. Per la forma ereditaria, che colpisce sia uomini che donne, il fattore di rischio è una storia familiare di amiloidosi da transtiretina, mentre per la forma acquisita o wild type i fattori di rischio più importanti sono l’età – tant’è vero che i sintomi si manifestano prevalentemente dopo i 65 anni – e il sesso maschile, perché la malattia è più frequente negli uomini. L’età e il sesso maschile sono fattori di rischio anche per l’amiloidosi a catene leggere, anche se con una associazione meno stretta rispetto all’amiloidosi da transtiretina wild-type. Un ulteriore fattore di rischio per l’Amiloidosi AL può essere la concomitante presenza di linfomi, mielomi e leucemie.
Quando si sospetta l’amiloidosi cardiaca?
Il medico sospetta la malattia quando il paziente presenta alcuni sintomi o segni. Quindi, è importante che ai primi segnali di fiato corto, affanno, palpitazioni, svenimenti o gonfiore alle gambe la persona si rivolga al proprio medico di famiglia, il quale dopo i primi accertamenti lo indirizzerà ad un cardiologo. Ottenere una diagnosi tempestiva permette di inserire precocemente il paziente in un programma terapeutico personalizzato, che può bloccare l’accumulo di amiloide e rallentare la progressione della malattia. Oltre a quanto emerge dal quadro clinico ed in generale dallo stato di salute del paziente, la patologia può essere sospettata anche attraverso specifici esami del sangue e indagini diagnostiche molto semplici e non invasive, come l’elettrocardiogramma, l’ecocardiogramma e, quando necessario, la risonanza magnetica cardiaca. L’amiloidosi cardiaca da transtiretina nella maggioranza dei casi può essere diagnosticata, sempre in modo non invasivo, con l’impiego di una scintigrafia con tracciante osseo, che suggerisce la presenza di sostanza amiloide nel cuore, evidenziata da una ‘colorazione’ anomala del muscolo cardiaco. L’amiloidosi a catene leggere invece richiede sempre una biopsia extracardiaca (ad esempio delle ghiandole salivari o del grasso periombelicale) o cardiaca per essere diagnosticata con certezza.
Perché è importante la diagnosi precoce?
L’accumulo di amiloide nel cuore è un processo progressivo, che se non curato provoca un danno irreversibile. Il problema è che i sintomi dell’amiloidosi cardiaca spesso sono sfumati e possono essere confusi con quelli di altre patologie cardiovascolari. La diagnosi precoce della malattia è fondamentale, perché, allo stato attuale, esiste la possibilità di prescrivere terapie specifiche ed efficaci per le diverse forme di amiloidosi cardiaca. Queste terapie sono tanto più efficaci, quanto più precocemente vengono somministrate ai pazienti.
Per questo, una volta che lo specialista cardiologo ha posto il sospetto di amiloidosi cardiaca, è opportuno indirizzare il paziente ad un Centro di riferimento specializzato nel trattamento dell’amiloidosi cardiaca. Il paziente verrà preso in carico da un team multidisciplinare, in grado di seguire tutte le fasi del percorso di diagnosi e cura, incluse le visite specialistiche necessarie e i successivi controlli, che servono a verificare l’efficacia dei trattamenti e l’andamento della patologia. Diverse sono le terapie cui può essere sottoposto un paziente con amiloidosi cardiaca; queste dipendono dal tipo di amiloidosi cardiaca, dalle condizioni generali del paziente e dalle eventuali controindicazioni o complicanze correlate.
Come sono cambiate le cure dell’amiloidosi cardiaca?
Chi riceve, oggi, una diagnosi di amiloidosi cardiaca ha prospettive decisamente migliori rispetto al passato. Oggi l’amiloidosi cardiaca è più conosciuta dai medici, in Italia ci sono Centri di riferimento specificamente dedicati alla diagnosi e alla cura di questa malattia e, in generale, se ne parla di più. Inoltre, sono disponibili diverse opzioni terapeutiche, che permettono di poter trattare le varie forme della malattia con farmaci differenti, a seconda del tipo di amiloidosi cardiaca. Se il paziente riceve una diagnosi di amiloidosi cardiaca di tipo AL, a catene leggere, l’ematologo sarà in grado di prescrivere farmaci che bloccano la produzione di sostanza amiloide con miglioramento o riduzione del danno cardiaco accumulato. Se, invece, il paziente riceve una diagnosi di amiloidosi da transtiretina, può avere accesso a diverse terapie che agiscono bloccando l’accumulo di sostanza amiloide nei tessuti, tra cui il muscolo cardiaco. Sono in corso, inoltre, numerose sperimentazioni cliniche su nuove molecole che contribuiranno a rendere queste patologie sempre più facilmente curabili.
In collaborazione con Pfizer
Bibliografia
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