Tumore del polmone, l’immunoterapia diventa ultrarapida e si fa in 7 minuti

L'immunoterapia per il tumore del polmone e del fegato diventa rapida grazie a un'iniezione sottocutanea: come funziona

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Federico Mereta

Giornalista Scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Pubblicato: 2 Gennaio 2025 09:00

Premessa fondamentale. Il trattamento immunoterapico, con il corpo che punta a difendersi meglio dalle cellule tumorali, sta diventando sempre più importante, tanto da affiancare questo approccio alle altre cure. Ma bisogna sempre ricordare che non è per tutti i pazienti. Né per tutti i tumori. Occorre affidarsi all’oncologo/a di fiducia per il protocollo terapeutico indicato.

Detto questo, riuscire a fare in pochi minuti un’iniezione sottocutanea invece della classica “flebo” che può durare mezz’ora o un’ora farebbe piacere a tutti. Ed è quanto si è raggiunto, anche con l’immunoterapia antitumorale anti-PD-L1. Occorrono da 4 a 8 minuti per sottoporsi al trattamento grazie alla nuova formulazione, contro i 30-60 minuti dell’endovena lenta.  per iniezione sottocutanea (sottopelle) per il trattamento di diversi tipi di tumori. Il farmaco in questione è un anticorpo monoclonale, atezolizumab. Ed è impiegato nel trattamento del tumore polmonare e non solo.

Come si classificano i tumori del polmone

Esistono sostanzialmente due grandi tipi di tumore polmonare. La classificazione, molto generale, si fa sulla scorta delle dimensioni delle cellule.

Il più diffuso è il carcinoma polmonare non a piccole cellule, o NSCLC (non-small cell lung cancer), che rappresenta l’85%-90% di tutti i casi di tumore del polmone e include vari sottotipi quali carcinoma a cellule squamose, adenocarcinoma, carcinoma a grandi cellule.

Più raro è il carcinoma polmonare a piccole cellule, o SCLC (small cell lung cancer) che rappresenta il 10-15% circa di tutti i tumori polmonari ed è più aggressivo con una tendenza maggiore a metastatizzare già nelle fasi precoci di malattia. Insomma, quando si parla di tumore polmonare occorre fare una precisa distinzione si differenzia in base alle caratteristiche istopatologiche.

Poi si passa alla stadiazione del tumore del polmone, che viene valutata considerando prima di tutto l’estensione della malattia. Nello stadio I, il tumore non è diffuso ed è piccolo, resecabile con la chirurgia. Nello stadio II il tumore è diffuso a linfonodi e tessuti circostanti ed è operabile. Poi, negli stadi III e IV, il tumore si diffonde ai linfonodi e dà metastasi.  Ovviamente queste definizioni sono particolarmente grossolane.

In base alle caratteristiche delle cellule che determinano la malattia e allo stato della stessa si possono poi studiare specifici trattamenti mirati, caso per caso, per andare a colpire esattamente le cellule patologiche. Grazie alle nuove tecnologie di sequenziamento del DNA, conosciamo molte alterazioni molecolari delle forme più diffuse di tumore non a piccole cellule.

Queste condizionano la biologia del tumore e sono essenziali per la sua crescita. così diventano obiettivi terapeutici. L’identificazione di questi target è fondamentale per poter identificare il bersaglio di farmaci. Ed è in questo ambito che anche l’immunoterapia, oltre all’impiego di altre strategie e farmaci su misura che l’esperto seleziona caso per caso, trova il suo spazio.

Quando serve la cura “fast” nel tumore dei polmoni

“Nell’ambito del tumore al polmone, atezolizumab viene utilizzato nell’immunoterapia di prima linea del carcinoma a piccole cellule in fase avanzata insieme alla chemioterapia, nell’immunoterapia singola di prima linea per pazienti con NSCLC e iper-espressione del PD-L1, nella terapia di seconda linea per pazienti NSCLC dopo precedente chemioterapia a base di platino e nella terapia adiuvante dopo chirurgia nei pazienti NSCLC, sempre con iper-espressione del PDL1 – spiega Filippo de Marinis, Presidente AIOT (Associazione Italiana di Oncologia Toracica) e Direttore Divisione di Oncologia Toracica, IRCCS Istituto Europeo di Oncologia di Milano.

Ora è possibile la somministrazione sottocute di atezolizumab in 7 minuti, creando un vantaggio in termini di semplificazione sia per il paziente che per la struttura sanitaria, perché garantisce una maggiore efficienza e sostenibilità gestionale, rendendo il trattamento più compatibile con le dinamiche del day hospital”.

Oltre alle valutazioni scientifiche che mostrano come dal punto di vista degli effetti sull’organismo della persona trattata la classica formulazione endovenosa e quella sottocutanea siano sostanzialmente sovrapponibili, è sul fronte della sensibilità dei pazienti che si osservano gli effetti più significativi grazie a quest’ultima.

I grandi vantaggi dell’utilizzo del trattamento si riscontrano in termini di preferenza del paziente e di organizzazione del Sistema Sanitario. “Gli studi clinici hanno dimostrato che i pazienti preferiscono la modalità sottocute (71% secondo lo studio IMscin002), trovandola più confortevole e meno invasiva – segnala Federico Cappuzzo, Direttore di Oncologia Medica 2, Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma.

D’altro canto, anche le strutture sanitarie possono trarre enormi benefici da questa opzione. Grazie al tempo di somministrazione, che è molto più breve rispetto all’infusione endovenosa, è possibile trattare un numero maggiore di pazienti. Questo non solo migliora l’efficienza organizzativa, ma risulta essere un aspetto molto apprezzato dai pazienti stessi, che traggono vantaggio da un trattamento più rapido e meno impegnativo”.        

Quando serve per il tumore al fegato

Tra i tumori trattabili con questa formulazione c’è anche il tumore epatocellulare, che nasce appunto dalle cellule del fegato. Questa forma rappresenta il nono tumore per incidenza in Europa e solo in Italia ci sono più di 33.000 persone che convivono con questa malattia. La gestione di questa neoplasia richiede un approccio multidisciplinare.

“Per i pazienti con epatocarcinoma negli stadi più avanzati di malattia l’arrivo di una innovativa terapia negli ultimi anni ha rivoluzionato il loro trattamento con risultati fino a pochi anni fa impensabili in termini di risposta al trattamento e tollerabilità – fa sapere Massimo Iavarone, Professore Associato di Gastroenterologia dell’Università degli Studi di Milano.

Il limite è che la terapia combinata richiede un lungo tempo per i pazienti. L’arrivo della somministrazione sottocutanea rappresenta un cambiamento per la qualità di vita dei pazienti che vedono una riduzione del tempo di cura. La diminuzione dei tempi rappresenta un vantaggio non solo per i pazienti, ma permette di trattare più persone, circa il 50% in più, in una sola giornata. Se si considera, inoltre, il benessere dei pazienti, soprattutto per coloro che devono eseguire trattamenti combinati, poter effettuare una sola somministrazione endovenosa ed una sottocutanea può rappresentare un miglioramento, poiché questo tipo di trattamento è meno invasivo e più tollerabile”.