Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica: raccontare la scienza e la salute è la sua passione. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.
Pubblicato: 4 Aprile 2022 12:14
È raro, visto che rappresenta solo l’1-2% di tutte le forme tumorali. Ma tende a colpire soprattutto le donne. Per fortuna, la scienza riesce ad affrontare con successo nella maggioranza dei casi la scoperta di un tumore della tiroide, legato alla crescita anomala delle cellule che formano questa ghiandola fondamentale per il metabolismo dell’organismo.
Nella stragrande maggioranza dei casi il tumore nasce proprio dalle cellule tiroidee, i tireociti, e più raramente vengono interessate altre cellule, chiamate parafollicolari. Ma come comportarsi se si scopre un nodulo della ghiandola? Che esami fare? Ecco cosa fare con i consigli di Laura Fugazzola, Responsabile Centro Tiroide – U.O. Endocrinologia e Malattie del Metabolismo – San Luca – Auxologico San Luca, centro che è stato recentemente accreditato ad EURACAN (European Network for Rare Adult Solid Cancer).
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Prestare attenzione ai sintomi
Innanzitutto, questa forma tumorale in molti casi non presenta chiari segni nelle fasi iniziali della malattia. “In genere cresce in maniera lenta e silenziosa. – spiega l’esperta. Il campanello d’allarme può essere rappresentato da un nodulo isolato nella ghiandola riscontrato alla palpazione”.
Attenzione però. Va ricordato che nella maggior parte dei casi il nodulo è solo l’espressione di un’iperplasia tiroidea, ovvero una manifestazione benigna che provoca un incremento di volume della ghiandola. “Nella fase più avanzata possono però insorgere segni e sintomi diversi – riprende Fugazzola. Ad esempio occorre prestare attenzione alla voce, che può manifestare abbassamenti o alterazioni del tono, così come alla crescita rapida di una tumefazione nel collo o alla comparsa di masse nelle parti laterali del collo stesso”.
Per definire il rischio, va ricordato che la familiarità rappresenta un elemento da considerare, oltre all’esposizione a radiazioni. “Sono note le alterazioni genetiche responsabili della quasi totalità dei tumori tiroidei – fa sapere l’esperta. Si tratta di alterazioni genetiche che possono essere ricercate nel tumore o, in caso di forme familiari, nel sangue. In questo caso, il rilievo del gene mutato nei familiari di un soggetto affetto indica la presenza di un tumore in fase iniziale o ne indica il futuro sviluppo, consentendo così di procedere precocemente all'asportazione della tiroide e portando così a completa guarigione”.
Come si arriva alla diagnosi
Ovviamente, non tutte le forme tumorali sono uguali. Ed occorre capire bene di cosa si tratta, anche per mettere in atto i trattamenti mirati caso per caso. “Il più comune è il carcinoma papillare che insorge soprattutto tra i 30 e i 50 anni – fa sapere Fugazzola. È costituito da una tumefazione ben confinata e localizzata che, soprattutto se insorge in soggetti giovani, nel 99% dei casi non dà complicanze per la vita. La forma follicolare si presenta invece in persone di età più avanzata ed è più aggressivo. Infine il carcinoma midollare è estremamente raro e non coinvolge le cellule vere e proprie della tiroide ma piuttosto le cellule C o parafollicolari, responsabili della produzione di un altro ormone: la calcitonina). Nel 25% dei casi questo tumore fa parte di una sindrome familiare, ereditata geneticamente e denominata MEN 2. Infine il carcinoma anaplastico insorge dopo i 60 anni, ed è molto aggressivo perché le cellule si moltiplicano molto velocemente. Il linfoma tiroideo, invece, è una forma rara e molto aggressiva”.
Per arrivare alla diagnosi, oltre a svelare eventuali altri casi in famiglia, lo specialista valuta la velocità di accrescimento del nodulo, le sue caratteristiche e l’eventuale presenza di ghiandole linfatiche ingrossate nella parte laterale del collo. Con gli esami del sangue si valuta la funzionalità della ghiandola (TSH) e la calcitonina, un marcatore di carcinoma midollare della tiroide.
“Fondamentale è l’ecografia, visto che la maggior parte dei noduli tiroidei maligni hanno caratteristiche ecografiche “sospette” conclude Fugazzola. La conferma definitiva di tumore si ha effettuando un esame citologico mediante agoaspirato che esamina le caratteristiche delle cellule che compongono il nodulo. Nel 10-25% dei casi però la citologia non è dirimente, non è in grado di distinguere tra nodulo benigno e maligno.
In questi casi è possibile effettuare una analisi genetica a partire dall’agoaspirato che consente di individuare le mutazioni genetiche che provocano i tumori della tiroide o la loro assenza, aiutando così nella differenziazione tra noduli benigni e maligni. Infine, come ultimo approfondimento diagnostico, e solo nel caso in cui si abbia necessità di stabilire la precisa localizzazione del tumore prima dell'intervento chirurgico, si possono effettuare una TC o una risonanza magnetica per osservare meglio il nodulo maligno, i rapporti con le strutture circostanti e le eventuali metastasi”.