In questo periodo, complice Covid-19, le donne in dolce attesa rischiano di concentrare tutta l’attenzione sull’infezione causata da Sars-CoV-2, magari dimenticando altri organi che invece debbono essere monitorati. Uno di questi è sicuramente la tiroide, una sorta di “regolatore” dell’organismo, che entra in gioco in moltissime attività del corpo, aiuta a mantenere il benessere e, in qualche modo può veder modificata la propria funzione proprio in gravidanza.
Per capire cosa può accadere e soprattutto come comportarsi, ricordando di fare sempre riferimento al proprio ginecologo, ecco qualche indicazione di Luca Chiovato, Presidente AIT (Associazione Italiana per lo Studio della Tiroide), Direttore del Dipartimento di Medicina Interna di Ics Maugeri di Pavia e Ordinario di Endocrinologia dell’Università di Pavia.
Cosa può succedere alla tiroide nella futura mamma
In primo luogo occorre ricordare che la tiroide ha bisogno di iodio. In tutte le persone, per lavorare bene, la ghiandola ha bisogno di questa sostanza. E non ci si deve dimenticare che in genere durante la gravidanza aumenta la produzione di ormoni specifici da parte di questo organo a forma di farfalla. Il fabbisogno di iodio quindi aumenta in gravidanza per sostenere un’aumentata produzione di ormoni tiroidei materni e la funzione della tiroide del feto. Venendo alle possibili manifestazioni che possono mettere in guardia occorre ricordare che a volte quadri di alterato funzionamento della ghiandola possono comparire proprio durante i nove mesi.
“Un ipotiroidismo di nuova diagnosi (nella maggior parte dei casi molto lieve o subclinico) si osserva nel 2-3 % delle gravidanze e, quasi sempre, è di origine autoimmune (quindi si parla di tiroidite di Hashimoto) – spiega l’esperto. Una gravidanza su 500 appare complicata da ipertiroidismo, quasi sempre di origine autoimmune (quello che gli scienziati chiamano morbo di Basedow). Sia l’ipotiroidismo, sia l’ipertiroidismo possono avere ripercussioni negative sull’andamento della gravidanza e sulla salute fetale-neonatale e quindi devono quindi essere curati. Occorre infatti ricordare che gli anticorpi anti-tiroide che causano l’ipertiroidismo e i farmaci anti-tiroidei attraversano la placenta e possono influenzare la funzione della tiroide fetale”.
Ultimo capitolo, quello del gozzo ovvero l’ingrandimento della ghiandola o di una sua parte. Condizioni di questo tipo presenti già prima della gravidanza possono aumentare di dimensione con comparsa o aumento di volume di noduli preesistenti. Infine, venendo al periodo successivo al parto, ci può manifestare una tiroidite autoimmune transitoria che richiede spesso trattamento sostitutivo con L-tiroxina e la cui evoluzione verso la guarigione o verso la cronicizzazione deve essere attentamente verificata una volta trascorsi 12 mesi dal parto.
Non fate mancare lo iodio
Ovviamente, caso per caso, occorre trovare soluzioni su misura. In termini generali, secondo gli esperti, l’apporto alimentare di iodio deve aumentare in gravidanza dai 150 mcg/della popolazione generale ai 250 mcg/di della gestante. Sul fronte delle terapie in presenza di cattivo funzionamento della ghiandola, Chiovato spiega che l’ipotiroidismo, anche solo subclinico, deve essere corretto somministrando una dose sostitutiva di L-tiroxina.
“Nelle gestanti che erano già ipotiroidee e sostituite con L-tiroxina prima della gravidanza la dose di ormone tiroideo deve essere aumentata del 30-50% in base all’andamento degli esami di funzione tiroidea – fa sapere l’esperto. In una donna con morbo di Basedow la gravidanza dovrebbe essere sempre programmata per consentire alla futura gestante di entrare in gravidanza eutiroidea. Nella gravida ipertiroidea è comunque necessario uno stretto rapporto tra endocrinologo, ginecologo (salute fetale) e neonatologo (salute neonatale). Infine nelle donne con gozzo nodulare preesistente alla gravidanza, l’aspetto ecografico della tiroide (dimensioni, numero di noduli e loro volume) deve essere controllato dopo il parto”.