Screening mammografico: preparazione, quando farlo e da che età

Esame diagnostico che sfrutta i raggi X, lo screening mammografico svolge un ruolo primario nella diagnosi precoce del cancro al seno

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Ivan Shashkin

Medico

Medico appassionato di immunologia ed ematologia con interesse e esperienza in ambito di ricerca.

Pubblicato: 15 Maggio 2024 09:19

Strumento diagnostico di fondamentale importanza, lo screening mammografico (o mammografia) è un test radiologico che – se eseguito a intervalli di tempo regolari – svolge un ruolo rilevante nella diagnosi precoce di alterazioni e modificazioni del seno.

Secondo le stime, sono oltre 53.000 i casi di tumore al seno diagnosticati ogni anno in Italia, con una nettissima prevalenza femminile (sebbene gli uomini non ne siano esenti) e una mortalità attestata attorno al 17%. Una percentuale che, col passare del tempo, cala sempre di più grazie proprio agli screening per la diagnosi precoce. E se la prevenzione dovrebbe iniziare a partire dai 20 anni con controlli annuali del seno eseguiti dal ginecologo o dal senologo, a svolgere un ruolo determinante è la mammografia. Un esame indolore, ma molto efficace nella diagnosi di neoplasie e superiore alla palpazione clinica, in quanto capace di individuare anomalie anche molto piccole, come le microcalcificazioni.

Che cos’è lo screening mammografico e come si svolge

Sebbene sia sostanzialmente indolore, la mammografia è ritenuta fastidiosa da alcune donne. Durante l’esame il seno viene compresso dal mammografo: una procedura, questa, che consente di uniformarne il tessuto per una maggiore qualità dell’immagine. Se lo spessore si riduce, i raggi X leggono meglio il tessuto. E riescono a fornire informazioni dettagliate sullo stato di salute dei seni.

Durante lo screening mammografico, due sono le proiezioni della mammella che di norma vengono effettuate: una cranio-caudale e una obliqua medio-laterale.

L’esame si esegue mentre la donna si trova in piedi, dinanzi all’apparecchio, svestita dalla vita in su. La mammella viene posizionata su un appoggio orizzontale, manovrato dall’operatore, che lo abbassa fino a comprimere delicatamente ma a fondo il seno. Il fascio di radiazioni, erogate dal mammografo, attraversano il seno dall’alto verso il basso e successivamente da un lato all’altro per una frazione di secondo. Lo stesso procedimento avviene con l’altra mammella. In questo modo è possibile esaminare entrambi i seni a fondo, in senso orizzontale e verticale.

Lo screening mammografico bilaterale viene effettuato su donne che non manifestano sintomi riconducibili ad un tumore. E, il suo scopo, è proprio l’individuazione precoce di una neoplasia prima che questa sia evidente alla palpazione. In caso la paziente avverta invece dei sintomi, o lo screening abbia fatto emergere qualche dubbio, il medico andrà a prescrivere alla donna una mammografia diagnostica: questa, tramite la ripresa di numerose immagini, è in grado di studiare in modo più approfondito l’anomalia riscontrata, fornendo risposte per una diagnosi più accurata.

Preparazione

La mammografia non richiede una preparazione specifica. È consigliabile effettuarla entro i primi 7/10 giorni del ciclo, evitando la fase premestruale in cui il seno è di norma più sensibile. Il giorno dell’esame è bene non utilizzare creme, deodoranti, profumi o talco, per evitare che polveri e particelle compromettano la qualità dell’immagine radiografica.

A quanti anni va fatto lo screening mammografico

Sotto i 40 anni, la densità della ghiandola mammaria rende la mammografia poco affidabile. La sua precisione diagnostica in tale fascia d’età è bassa tanto che, in casi sospetti, lo specialista preferisce prescrivere un’ecografia: un esame indolore, che permette di individuare cisti e fibroadenomi ma anche di rilevare lesioni potenzialmente maligne.

Tra i 40 e i 49 anni, il seno presenta una maggiore densità: ecco dunque che lo screening mammografico può essere eseguito ogni 18 – 24 mesi, salvo che in presenza di fattori di rischio (nel qual caso, è consigliabile sottoporsi alla mammografia una volta l’anno). Sopra i 50 anni, invece, effettuarla almeno ogni due anni diventa “d’obbligo”.

Come evidenziato dall’AIRC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro), una mammografia ogni due anni tra i 50 e i 69 anni riduce la mortalità per tumore al seno del 40%: lo screening permette infatti di individuare lesioni inferiori al centimetro, una lunghezza in genere raggiunta in 5-10 anni. E, lesioni di pochi millimetri, sono guaribili nel 90% dei casi.

Controindicazioni e falsi miti

Priva di rischi e di controindicazioni, la mammografia può essere eseguita anche in gravidanza (ma solo se il medico lo ritiene strettamente necessario), durante l’allattamento e durante il ciclo mestruale, fermo restando che – tale esame – risulta più sopportabile nelle prime due settimane del ciclo, quando il seno è meno teso e meno sensibile.

Non vi sono problemi, se la paziente porta protesi mammarie. E neppure se il seno è molto piccolo o molto grande: il carcinoma può colpire seni di ogni dimensione e morfologia, ed è importante che – al di là della dimensione delle sue mammelle – la donna si sottoponga allo screening mammografico secondo le modalità stabilite dal Ministero della Salute e dalla Regione in cui risiede.

La differenza tra screening mammario ed ecografia mammaria

Se la mammografia evidenzia anomalie (microcalcificazioni, opacità nodulari, addensamenti, distorsioni del disegno mammario), lo specialista andrà a prescrivere indagini aggiuntive: mammografia diagnostica (con o senza mezzo di contrasto), visita senologica, risonanza magnetica. Esami non invasivi, ma che possono essere associati – secondo necessità – all’ago aspirato per un’analisi citologica, alla biopsia o alla microbiopsia per un’indagine istologica o ad una galattografia.

Talvolta, anziché una mammografia il medico può prescrivere un’ecografia mammaria. Se la prima è in genere indicata dopo i 40 anni per individuare noduli e anomalie di piccole dimensioni, ed è un esame radiografico, l’ecografia sfrutta gli ultrasuoni per individuare mastopatie fibrocistiche, fibroadenomi e altre formazioni (in genere benigne) specie nelle donne giovani. Quando eseguiti insieme, i due esami forniscono uno studio completo della mammella: sono infatti complementari, e permettono di studiare in modo approfondito l’architettura della ghiandola. Per questo vengono in genere prescritti a chi ha familiarità con il tumore al seno.

La mammografia digitale

Negli anni la mammografia si è evoluta sino allo sviluppo della mammografia digitale, capace di fornire al radiologo immagini in alta risoluzione dalla più facile lettura. Grazie al flat panel, il segnale X in uscita dalla mammella viene trasformato in un segnale elettrico suscettibile d’essere elaborato in una matrice numerica, con pixel di 100 micrometri. In questo modo, il radiologo può visionare sul suo schermo ad alta definizione un’immagine mammografica ad alta risoluzione, nitida e chiara, e individuare – attraverso strumenti come la lente d’ingrandimento, le inversioni di contrasto e le misurazioni – eventuali lesioni.

Un’ulteriore evoluzione è rappresentata dalla mammografia digitale con tomosintesi 3D, in grado di rilevare lesioni anche minime in modo doppiamente efficace rispetto alla mammografia tradizionale. Il merito va alla combinazione tra le immagini acquisite a due dimensioni e le immagini tridimensionali catturate dalla tomosintesi, una strumentazione che, anziché rimanere ferma, ruota attorno al seno della paziente. La durata di una mammografia così realizzata è solo di qualche minuto superiore, ma fornisce al radiologo e dunque al senologo immagini del seno più accurate e dettagliate, a fronte di una minore compressione della mammella.

Fonti bibliografiche: